È uscita a  luglio presso l’editore Asterios di Trieste la prima traduzione italiana di Facing the Anthropocene di Ian Angus,  col titolo Anthropocene. Capitalismo  fossile e crisi del sistema terra. [1] L’autore è un attivista  ecosocialista canadese e direttore del sito Climate  & Capitalism assai presente nel movimento e nell’attuale dibattito  ambientalista internazionale.
  
  Il libro di  Angus che, a detta di John Bellamy Foster – direttore di Monthly Review e tra i maggiori studiosi dell’attuale crisi  ambientale –, è tra i più documentati ed esaustivi testi divulgativi del  panorama attuale, coniuga l’analisi dello stato  di salute del pianeta, drammaticamente compromesso  dal capitalismo fossile, con la tesi politica che solo un movimento  ecosocialista possa invertire la rotta disastrosa su cui l’umanità si è da  tempo incamminata.
  
  A definitivo  chiarimento di una lunga diatriba sorta in ambito ambientalista, che ha avuto  una recente eco anche sulle pagine del Manifesto,  nell’articolo della Castellina del 18 agosto scorso (“Su ecologia e lotta di  classe, Bertinotti sbaglia”), Angus spiega nell’appendice del libro la ragione  della scelta del termine “Anthropocene” al posto di altri (per esempio,  “Capitalocene”), sottolineando come l’inizio di questa nuova era, appunto  l’Anthropocene, succeduta all’Olocene, si collochi circa a metà del secolo  scorso, con quella che viene chiamata la “Grande  Accelerazione”, che ha visto una drammatica  e improvvisa impennata di alcuni nevralgici parametri ambientali interconnessi,  dall’innalzamento delle temperature allo scioglimento dei ghiacciai, dalle  emissioni di anidride carbonica alla deforestazione, dalla desertificazione  alla riduzione della fertilità dei suoli…, che indicano un’inversione di una  situazione geologica, appunto quella dell’Olocene, rimasta quasi immutata per  migliaia di anni. Nuova era geologica che purtroppo proseguirà anche dopo  un’augurabile non lontana fine del capitalismo e di cui una società diversa  dovrebbe provare a contenere i danni.
  
  La causa di  questa svolta decisiva viene individuata espressamente, pertanto, non  nell’umanità nel suo complesso – come qualcuno è tentato di leggere il termine  “Anthropocene”– ma nel capitalismo, e in particolare in una particolare fase  della sua storia, cioè nel capitalismo fossile. Infatti, se sin dalle sue  origini questo sistema ha avuto un pesante impatto ambientale, è appunto il  capitalismo fossile, cioè quello basato sul massiccio utilizzo dei combustibili  fossili, ad aver impresso alla storia del Pianeta una svolta decisiva.
  
  Infatti, come  precisa G. Sottile nella sua introduzione al volume Il 21 maggio dello scorso anno(2019), “l’Anthropocene Working Group  ha formalizzato la proposta di considerare quella in cui viviamo una nuova  epoca successiva all’Olocene, definita Anthropocene, il cui inizio viene datato  a partire dalla metà del secolo scorso, con quella che è stata definita la  Grande Accelerazione. L’AWG individua questa nuova realtà cronostratigrafica in  una serie di fenomeni imputabili alle recenti attività umane, che consentono di  paragonare «l’umanità» a una potente e distruttiva forza geologica. Fondamentali cicli naturali sono stati  compromessi a causa dei processi di industrializzazione e urbanizzazione per  come li abbiamo conosciuti e delle attività militari in campo nucleare,  cosa che ha procurato il riscaldamento globale a cui stiamo assistendo, nonché  una generale devastazione del pianeta; e molti di questi cambiamenti sembra  persisteranno per millenni. La più importante traccia (primary marker) che segnala lo spartiacque tra le due epoche  geologiche viene individuata nella presenza di radionuclidi dovuta alle  esplosioni nucleari, che al ritmo di una ogni 9,6 giorni hanno caratterizzato  il Secondo dopoguerra dal 1945 al 1988”.
  
  Il libro di Ian  Angus, come John Bellamy Foster scrive nella sua introduzione al volume, “si  distingue soprattutto per la sintesi che l’autore fa dei due aspetti  dell’Anthropocene (geologico e storico, o ancora naturale e sociale, climatico  e capitalistico). Angus dimostra che il capitalismo  fossileè un folle treno che, se  non viene fermato, provocherà un apartheid  ambientale globale e trascinerà l’umanità verso una tappa storica che il  grande storico marxista britannico E. P. Thomspon definiva «sterminista», una  tappa chiamata a sconvolgere le condizioni di vita di centinaia di milioni,  anche miliardi di persone e a minacciare le condizioni stesse della vita sul  Pianeta così come la conosciamo. … Secondo Angus, i pericoli sono tali che solo un approccio nuovo e radicale alle  scienze sociali e ai rischi sociali (prendendo sul serio l'avvertimento di  Carson secondo cui, compromettendo i processi biologici della Terra, finiamo  per «nuocere alla specie umana») può  fornire le risposte che permettano di affrontare l’epoca dell'Antropocene.  L'urgenza è così pressante che «domani, sarà troppo tardi». Ed è proprio «la  capacità dell’autore di mostrare che l'Antropocene è una nuova tappa  dell'interazione tra società e natura imputabile a trasformazioni storiche (e a  sottolineare l'importanza dell’imperativo ecologico come la grande sfida del  XXI secolo) a rendere così indispensabile la lettura” di questo libro, conclude  Foster.
  
  Come, nel caso  di Paul Burkett, John Bellamy Foster e altri studiosi, Angus attinge a piene mani all’analisi marxiana del capitalismo,  integrandola con aspetti già presenti nel Moro ma finora persi di vista o non  sempre valorizzati dai suoi studiosi, in particolare col concetto di frattura  nel “ricambio organico” (Stoffwechsel)  o metabolismo fra uomo e ambiente sotto il capitalismo, reso in inglese con la  locuzione “frattura metabolica” (metabolic  rift). Argomento questo su cui è possibile trovare oggi nel mondo  anglosassone un vivacissimo dibattito e una serie sconfinata di studi,  purtroppo poco conosciuti nel nostro paese. Adottando tale concetto, Angus se  ne serve come strumento analitico nel corso della sua esposizione, in  particolare nelle prime due parti del libro, intitolate “Una situazione senza  precedenti” e “Il capitalismo fossile”.
  
  Angus mostra  con ogni evidenza come anche l’approccio  neomalthusiano al problema ambientale sia sostanzialmente debole: non è la  crescita demografica esponenziale ad aver innescato l’attuale crisi ecologica  mondiale, poiché pochi paesi ricchi da soli inquinano più del resto degli  abitanti del pianeta e perché, tanto per portare altri esempi, le forza armate  Usa incidono su questo bilancio più di interi Paesi africani e il traffico  aereo e quello marittimo dei cargo ha un impatto ambientale devastante. Ciò non  significa che la crescita della popolazione mondiale non conti, ma è un aspetto  che va compreso nella sua reale incidenza e nelle sue effettive proporzioni.
  
  Attraverso  un’abbondante messe di dati, l’autore, nelle prime due parti, mostra come  l’aumento in particolare delle emissioni di CO2 abbia alterato e  compromesso in modo irreversibile i cicli vitali e la salute degli oceani, la  cui acidificazione prefigura scenari – come studi più recenti dello stesso  Angus confermano – veramente drammatici non solo per la vita delle specie  ittiche ma anche per quella di noi uomini, considerando l’azione che l’oceano e  la vita che ospita svolgono nella regolazione climatica e nella produzione  dell’ossigeno atmosferico.
  
  La terza parte  del libro è, invece, quella politica. Essa, come sottolinea Gennaro Avallone,  sociologo dell’Università di Salerno, “apre, in maniera totalmente esplicita,  alla proposta e discussione politica, invitando, tra l’altro, ad andare oltre  le dispute teoriche, tuttavia non necessariamente da abbandonare, per favorire l’unità di azione verso la  costruzione di un «contropotere ecologico». Come? Lavorando «con tutti  coloro che sono disposti ad unirsi alla lotta contro i cambiamenti climatici in  generale e l’industria dei combustibili fossili in particolare». Un impegno di  portata storica, al quale il testo di Angus mette a disposizione una base di  conoscenza e di analisi utilissima per orientarsi e capire verso quali  obiettivi prioritari indirizzare l’azione, dandosi la prospettiva di un pianeta  libero dal carbone, oltre che dal nucleare, e da tutti gli altri fossili usati  per produrre energia”.
  
  La proposta politica che attraversa  l’intero volume e si concretizza nella parte finale si presenta pertanto come  la diretta e necessaria conseguenza dell’analisi scientifica condotta  all’inizio: la salute del Pianeta, come  la giustizia sociale, non possono trovare soluzioni nell’attuale sistema  economico; solo una svolta ecosocialista potrebbe invertire la rotta.  Richiamando quanto auspicava Marx nel Capitale,  “La libertà…  può consistere soltanto in  ciò, che l’uomo socializzato, cioè i produttori associati, regolino  razionalmente questo loro ricambio organico con la natura…, con il minore  possibile impiego di energia e nelle condizioni più adeguate alla loro natura  umana e più degne di essa”. È qui, proseguiva Marx, che inizia “il vero regno  della libertà”.
  
  Note:
  
  [1] Ian Angus, Anthropocene. Capitalismo fossile e crisi  del sistema terra, Asterios, Trieste, luglio 2020