Losurdo e le diverse accezioni del concetto di riconoscimento

Ignorare la lotta di classe significa, di fatto, ignorare le immense lotte per il riconoscimento che hanno portato al superamento delle esclusioni verso le grandi masse dei popoli coloniali, delle classi subalterne e delle donne.


Losurdo e le diverse accezioni del concetto di riconoscimento

Il paradigma della lotta per il riconoscimento è, a parere di Domenico Losurdo, la chiave di volta per comprendere la lotta di classe portata avanti da Marx ed Engels. Anche riguardo la lotta proletaria, i due filosofi prendono di mira in primo luogo i rapporti sociali vigenti nella società capitalistica che deumanizzano e schiavizzano i lavoratori salariati; la lotta per la redistribuzione è solo un aspetto, quindi, della più generale lotta per il riconoscimento. Il punto di partenza è così Hegel, che ha sviluppato il tema della lotta per il riconoscimento “facendo ricorso a due diversi linguaggi” [1]. Losurdo cita, a tale proposito, un paragrafo dei Lineamenti di filosofia del diritto (§ 127) a lui assai caro, dove Hegel sottolinea come l’uomo che rischia di morire di fame si trova in una condizione in cui qualsiasi diritto gli è negato, tanto che la sua condizione è come quella dello schiavo: entrambi non sono riconosciuti come uomini. È invece nella Scienza della logica che Hegel sviluppa il secondo tipo di linguaggio. Così Losurdo sintetizza l’argomentazione di Hegel: “occorre distinguere tra «giudizio negativo semplice», che in relazione a un soggetto nega un predicato determinato e limitato (questa rosa non è rossa), e «giudizio negativo infinito» il quale, piuttosto che un singolo o singoli predicati, nega il soggetto in quanto tale (questa non è una rosa). E cioè: se il giudizio negativo infinito nega il genere (la rosa in quanto tale), il giudizio negativo semplice nega soltanto la specie, la determinazione specifica (il colore rosso della rosa)” [2].

Questa argomentazione può essere applicata ai rapporti sociali: chi ha subito un torto, gli è stato negato un determinato diritto e quindi si trova nella sfera del giudizio negativo semplice mentre nel caso di un delitto, la vittima viene privata di qualsiasi diritto, in qualche modo non è più sussunta sotto la categoria di uomo: questa è la sfera del giudizio negativo infinito, che nega il genere, l’universale, mentre il giudizio negativo semplice, negava la specie ovvero solo un particolare diritto. “Agli occhi di Hegel, anche sullo schiavo viene pronunciato un «giudizio negativo infinito» nella sua pienezza, in un’«infinità» pienamente adeguata al «concetto»: la negazione del riconoscimento ha raggiunto il suo apice” [3]. Anzi mentre il delitto si consuma in un istante, la schiavitù si perpetua giorno per giorno: il mancato riconoscimento è in questo caso assoluto [4].

A parere di Losurdo i due linguaggi cui fa ricorso Hegel sono ben presenti nel giovane Marx. Ne La questione ebraica la società borghese è criticata in quanto l’individuo considera l’altro come un mezzo, divenendo così strumento egli stesso. Solo riconoscendo l’altro come uomo, quindi, si può essere veramente liberi: è evidente qui, per Losurdo, l’influenza del primo linguaggio hegeliano. Il secondo linguaggio viene, invece, utilizzato nella Sacra famiglia quando il concetto di uguaglianza scaturito dalla Rivoluzione francese viene utilizzato da Marx ed Engels per indicare l’unità del genere umano contro il mancato riconoscimento che invece subiscono gran parte degli uomini nella società borghese capitalistica. La principale differenza, quindi, tra il paradigma del riconoscimento di derivazione hegeliana e quello contrattualistico o giusnaturalistico è che il primo “non dà per presupposto il soggetto da cui” gli altri due paradigmi “prendono le mosse acriticamente, come se fosse un dato immediato e incontrovertibile” [5].

Quel soggetto ignorato dal paradigma contrattualistico e da quello giusnaturalistico ha condotto, per secoli, lotte per il riconoscimento al fine di cancellare tutte le clausole di esclusione. Quando H. Arendt e J. Habermas utilizzano rispettivamente i paradigmi della “prassi” e dell’“azione comunicativa” non tengono conto del fatto che il soggetto partecipe della prassi e dell’azione comunicativa è stato al centro di tali lotte, lotte che hanno attraversato tutto il corso storico. Ignorare la lotta di classe significa, di fatto, ignorare le immense lotte per il riconoscimento che hanno portato al superamento delle esclusioni verso i popoli coloniali, le classi subalterne e le donne.

Rispetto a Hegel, Marx ed Engels aggiungono un aspetto al paradigma del riconoscimento: il primo passo delle classi subalterne verso il riconoscimento è il superamento dell’isolamento attraverso l’associazione, fondamentale per intraprendere la lotta comune e conquistare l’autostima. Così si esprime Marx nella Miseria della filosofia: “il mantenimento dell’associazione diviene per gli operai più necessario ancora di quello del salario. Ciò è talmente vero, che gli economisti inglesi rimangono stupiti a vedere come gli operai sacrifichino una buona parte del salario in favore delle associazioni che, agli occhi di questi economisti, non sono stabilite che in favore del salario” [6].

Anche se la condizioni materiali di vita continuano a essere misere, il fatto di associarsi e organizzarsi è già un grande risultato. Coloro i quali venivano additati quali “barbari”, “selvaggi” oppure “schiavi” ora “hanno cessato di essere tali, perché si sono reciprocamente riconosciuti come membri di una classe sfruttata e oppressa, chiamata a conseguire l’emancipazione con la lotta” [7].

Mentre in Hegel la lotta per il riconoscimento viene fatta valere tra singoli individui, ovvero un individuo può essere libero solo nella misura in cui riconosce ed è riconosciuto dall’altro; per Marx ed Engels tale paradigma vale anche tra i popoli. I due pensatori, in effetti, in più occasioni affermano che “non può essere libero un popolo che ne opprime un altro”. Ciò è particolarmente vero, evidenzia Losurdo, se volgiamo lo sguardo alla storia del Novecento: “a ben guardare, è la storia dell’Occidente nel suo complesso che può essere letta alla luce del principio per cui non è libero un popolo che ne opprime un altro: il Novecento è il secolo in cui il dominio totalitario e le pratiche genocide che attraversano in profondità la tradizione coloniale fanno la loro irruzione nello stesso continente da cui ha preso le mosse questa vicenda, sull’onda del tentativo di Hitler di edificare un impero continentale in Europa orientale, assoggettando, decimando e schiavizzando gli «indigeni» che l’abitano” [8].

L’assunzione, da parte di Losurdo, della lotta del riconoscimento come paradigma della lotta di classe, ossia il riconoscimento di tutto il peso che ha avuto la filosofia hegeliana nell’opera di Marx, porta talvolta Losurdo a non evidenziare altrettanto adeguatamente come il materialismo storico marxiano si sia sviluppato attraverso il superamento dialettico dell’idealismo, che implica tanto la tesaurizzazione, quanto la negazione, la critica [9]. Perciò dopo aver riconosciuto il tema del riconoscimento hegeliano come fonte del concetto marxiano di lotta di classe, sarebbe altrettanto necessario analizzare gli elementi di novità introdotti da Marx, che non possono essere così secondari se appunto il Moro di Treviri non si serve più del concetto di Anerkennung [riconoscimento], ma del concetto di Klassenkampf [lotta di classe] [10].

Note:

[1] Losurdo, Domenico, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Laterza, Bari 2013, p. 101.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem

[4] Su tale questione cfr. Losurdo, D., Hegel e la libertà dei moderni, Editori Riuniti, Roma 1992, cap. VII § 5 e 7.

[5] Id., La lotta, op. cit., p. 103. Si potrebbe tuttavia aggiungere, che in realtà anche il paradigma hegeliano del riconoscimento può presupporre il soggetto, come appare evidente nella celebre dialettica servo-padrone. Occorre, inoltre, ricordare che in Hegel il riconoscimento fra gli uomini, proprio perché nasce dalla lotta per il riconoscimento e dal rapporto servo-signore, non è necessariamente paritario. D’altra parte il paradigma contrattualistico è invece egualitario sul piano fenomenico del mercato, facendo ovviamente astrazione dal piano noumenico della produzione.

[6] Marx, Karl, Engels, Friedrich, Opere Complete, Editori Riuniti, Roma 1972-90, vol. VI, pp. 223-24.

[7] Losurdo, D., La lotta, op. cit., p. 105.

[8] Ivi, p. 107.

[9] La traduzione, da parte di Losurdo, del concetto di lotta di classe della tradizione marxista nel concetto di riconoscimento di matrice hegeliana tende a far, ancora una volta, venir meno le differenze fra queste due tradizioni. Resta, tuttavia, da comprendere perché storicamente la lotta di classe è stata generalmente combattuta richiamandosi a Marx o si è cercato di contrastarla proprio in contrapposizione a questo autore, mentre in tale ambito sono quasi del tutto assenti i riferimenti a Hegel. In altri termini, ci si potrebbe chiedere perché se Marx, anche in questo caso, non ha fatto altro che riprendere una concezione già presente in Hegel, come mai la Wirkungsgeschichte del concetto di lotta di classe si sia sviluppata quasi esclusivamente in riferimento alla concezione del Moro di Treviri.

[10] In altri termini, il considerare il passaggio dal piano individuale a quello collettivo rispetto alla teoria del riconoscimento, il contributo decisivo dato da Marx ed Engels rispetto a Hegel, porta da una parte a perdere di vista che lo stesso filosofo idealista abbia considerato il tema del riconoscimento nel confronto sociale fra signoria e servitù, dall’altra a porre troppo in secondo piano gli elementi di novità introdotti dalla concezione materialista della storia, rispetto alle precedenti concezioni.

 

13/10/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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