Quale alternativa all'attuale modello di contrattazione?

Gli accordi del 2009 non sono  religione o men che mai un tabù. Rilanciamo una discussione ampia e trasversale a sola tutela del potere di acquisto e di contrattazione


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Gli accordi contrattuali del 2009 sono ancora oggi vigenti come del resto il Testo unico sulla Rappresentanza nel privato siglato da Cgil Cisl Uil e Confindustria. Questi due accordi dovrebbero essere non solo discussi e analizzati, ma a nostro avviso rappresentano il punto di partenza di ogni riflessione sindacale e politica per chiunque voglia mettere in discussione lo stato delle cose presenti, perché concorrono alla perdita del potere di acquisto e di contrattazione che oggi ipotecano qualsiasi ipotesi di cambiamento e ingabbiano lo stesso conflitto sociale. Se i sindacati rappresentativi giudicano i due accordi vantaggiosi per la forza lavoro, i dati economici e la semplice osservazione della realtà smentiscono tanto ottimismo. Negli ultimi 40 anni i salari italiani hanno perso potere di acquisto più che in ogni altro paese dell'Unione Europea; negli ultimi 35 anni hanno ridotto ai minimi termini il diritto di sciopero, criminalizzato con leggi liberticide i picchetti operai e i blocchi stradali; l'età pensionabile è stata innalzata senza colpo ferire; nel corso del tempo i governi tecnici, di destra o di centrosinistra hanno approvato decreti legge e sottoscritto accordi dimostratisi svantaggiosi per la forza lavoro e tali da circoscrivere e pregiudicare ogni forma di lotta conflittuale.

Accordi interconfederali e leggi sono andati di pari passo, accordando ai sindacati rappresentativi il monopolio della rappresentanza, ottenendo in cambio dagli stessi l'assenso verso regole capestro che hanno ridotto ai minimi termini la democrazia nei luoghi di lavoro e nella società.

Nonostante tutto ciò gli accordi del 2009 sono giudicati da settori del Governo e della parte datoriale troppo vantaggiosi per la forza lavoro e per questo mirano a un nuovo sistema di regole regressive.

Gli accordi sopra menzionati hanno determinato tempistiche e modalità nei rinnovi dei contratti nazionali particolarmente svantaggiosi. Ricordiamo che i contratti nazionali vengono mediamente siglati con 32 mensilità di ritardo e compensati, si fa per dire, da una dozzina di euro al mese alla voce "indennità di vacanza contrattuale" che poi saranno detratti dai futuri aumenti al momento della firma del nuovo contratto.

L'Istat, per il 2023, ha previsto una perdita del potere di acquisto pari al 6,6%, eppure le piattaforme contrattuali di Cgil Cisl Uil partono da rivendicazioni economiche decisamente più basse. Fatti due conti (non serve un master in economia) ci accorgiamo di quanto avanzate e realistiche sarebbero invece le richieste di incrementi salariali non inferiori a 200 euro al mese. Solo poche settimane fa, dopo giorni di sciopero e di manifestazioni, in Germania i sindacati hanno ottenuto aumenti per il 2023 di 200 euro al mese e l'impegno di incrementare le buste paga di un ulteriore 6-7% a inizio 2024.

In tutti i paesi dell'area euro si parla di contenere i salari salvo poi scoprire che dopo scioperi e blocchi le concessioni ai sindacati locali sono state ben altre.

Se guardiamo all'accordo del 2009 si capisce quanto astratta fosse l'idea di recuperare, dopo tre anni, l'eventuale potere di acquisto perduto nella precedente tornata contrattuale. Chiedere il rispetto di quella intesa sarebbe non solo controproducente ma una mera illusione. La triennalizzazione dei contratti, gli aumenti calcolati con il codice Ipca sono il vero problema, e nascondersi dietro alla centralità del contratto nazionale non è servito a scongiurare le deroghe al contratto stesso su materie e istituti rilevanti. Le deroghe sono state pensate proprio per aggirare il contratto nazionale con lo stesso assenso di chi quel contratto avrebbe dovuto, almeno in teoria, difenderlo.

Il codice Ipca si è dimostrato da subito svantaggioso per il potere di acquisto dei salari, pensato a livello europeo per contenere le dinamiche salariali scollegando una volta per tutte l'andamento dei salari dal reale costo della vita.

Alla luce di tali considerazioni si rendono necessarie poche riflessioni accompagnate da qualche proposta per aprire un dibattito nei posti di lavoro.

- Il codice Ipca va rivisto ma in un'ottica diametralmente opposta a quanto proposto dalle associazioni datoriali. Serve un meccanismo nuovo che permetta recuperi reali del potere d'acquisto ancorando i salari all'effettivo costo della vita soprattutto dopo la pubblicazione degli ultimi dati Istat. Se i sindacati avanzano rivendicazioni economiche inferiori ai dati Istat dove pensiamo di andare?

- Il sistema delle deroghe ai contratti ha fatto solo la fortuna delle parti datoriali perché alla fine si raggiungono due obiettivi importanti: la disarticolazione del contratto nazionale da una parte e dall'altra vengono barattati irrisori aumenti con l'accrescimento della produttività, degli orari e dei ritmi. Rifiutare in toto il sistema delle deroghe significa, almeno per noi, rimettere in discussione gli stessi accordi del 2009.

- L'indennità di vacanza contrattuale è una autentica miseria che permette ai datori di ritardare per anni la firma dei contratti nazionali, determinando in questo modo la progressiva perdita di potere d'acquisto dei salari. Sarebbe auspicabile invece ripristinare i vecchi meccanismi con l'erogazione degli arretrati contrattuali e prevedendo un'indennità pari ad almeno 60 euro al mese ma senza detrarre le cifre erogate dagli aumenti contrattuali ottenuti con la firma del nuovo contratto. In questo modo i datori pubblici e privati non siglerebbero con anni di ritardo i contratti dovendo pagare mensilmente una indennità assai onerosa.

- L'accordo del 2009 non teneva conto degli andamenti economici derivanti da pandemia e guerra e rientrava dentro un quadro di cosiddetta pace sociale senza conflittualità e con un'inflazione decisamente bassa se confrontata con quella attuale. Sarà il caso di ripensare a quella vecchia scala mobile liquidata con eccessiva fretta e senza la quale i salari hanno perduto progressivamente potere d'acquisto. La scala mobile sarebbe la risposta giusta alle politiche di moderazione salariale, oggi invocate dalla Meloni ma vigenti in Italia già alla fine degli anni ottanta.

Non ci illudiamo che proposte semplici siano oggi incluse nel dibattito sindacale e politico. Forse, invece di costruire analisi complesse, dovremmo ripartire dai bisogni reali, e soprattutto dalle forme e dagli strumenti indispensabili per recuperare salario e diritti sociali

16/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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