Italia-Albania, l’accordo che seduce

La sola cosa che sappia offrire  il cosiddetto mondo “civilizzato” alle migliaia di persone che si accalcano alle porte dell’Europa è una ennesima boutade disumana e inconcludente, una strumentalizzazione sulla loro pelle a meri fini elettoralistici e nessuna scappatoia al destino dello sfruttamento.


Italia-Albania, l’accordo che seduce

Nell’ambito della giornata di sciopero generale del 17 novembre nei Settori Pubblici, in pochi sanno che ad aderirvi c’è anche il settore dei lavoratori specialistici del settore della protezione internazionale che lavorano nelle Commissioni Territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale (disseminate in tutto il Paese) e nella Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo (con sede a Roma) che afferiscono al Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno.

Le parole d’ordine dello sciopero generale proclamato da CGIL e UIL sono incentrate in particolare contro la manovra finanziaria del governo da  24 miliardi di euro, un terzo dei quali (8 miliardi di euro) è finanziato dalla previsione di nuove entrate o risparmi di spesa, la maggior parte dei quali ricavati da una spending review delle Amministrazioni Centrali, da anni in continuo smantellamento.

I sindacati promotori concordano nel denunciare che questo genere di politiche economiche e sociali che penalizzano il lavoro e i servizi pubblici sono estremamente deleterie e mortificanti rispetto al futuro dei  giovani, delle donne e dei pensionati, e di tutte le fasce più vulnerabili della popolazione se non si procede immediatamente a invertire la rotta contrastando l’ennesima manovra lacrime e sangue e alzando i salari. 

Ne sanno qualcosa, appunto, i lavoratori del settore della protezione internazionale, funzionari amministrativi reclutati in virtù di un concorso bandito nel 2017 dall’allora ministro Marco Minniti con il dichiarato obiettivo di imprimere un’accelerazione nei procedimenti in materia di protezione internazionale e di garantire decisioni di qualità affinché le persone bisognose di protezione internazionale di fatto la possano ottenere a fronte di un esame rigoroso e specialistico, condotto da personale appositamente formato. Un lavoro estremamente delicato ed estremamente difficile, con funzioni paragiurisdizionali e dal quale dipende letteralmente il destino di molte persone in fuga dal proprio Paese di origine dal momento che, in Italia - non esistendo una legge che permetta l’ingresso legale nel Paese per ricerca di lavoro sin dai tempi della Bossi-Fini - dalle maglie del sistema asilo passano i nove decimi dei migranti giunti nel Paese, anche quelli che hanno l’obiettivo di raggiungere altri Paesi europei. A fronte di questa elevata specializzazione questi lavoratori e lavoratrici dovrebbero a rigor di logica entrare di diritto nell’area neonata delle cosiddette Elevate professionalità o, quantomeno venire particolarmente valorizzati dall’amministrazione per la quale lavorano, che a prescindere del colore politico di volta in volta al governo può vantarsi dei risultati ottenuti dalle Commissioni Territoriali che hanno nel giro di pochissimo tempo abbattuto un numero spropositato di pratiche arretrate (pratiche, in questo ambito, può leggersi come sinonimo di “persone”), risalenti anche ai precedenti anni horribiles della crisi migratoria con migliaia di persone morte in mare. Invece quello che accade è che questi professionisti sono stati, nel corso degli ultimi cinque anni, ossia da quando hanno assunto servizio, spremuti come limoni, con ritmi di lavoro massacranti per un mestiere a elevatissimo rischio di burn out come questo, svolto per giunta senza alcun supporto psicologico; e a loro è stato chiesto di coprire a trecentosessanta gradi anche il resto delle mansioni tecnico-amministrative e collaterali in precedenza svolto da assistenti amministrativi via via andati in pensione e mai più rimpiazzati dall’amministrazione. Se già normalmente in tutti i settori del lavoro pubblico la carenza di organico e di dotazioni efficienti rappresentano una piaga ormai divenuta strutturale e, anzi, in certo qual modo programmatica come si diceva poc’anzi a proposito del drenaggio di risorse finanziarie dalle amministrazioni centrali, in questo specifico settore le condizioni di lavoro sono state tali per cui a oggi circa la metà dei funzionari in forze al sistema asilo hanno abbandonato il proprio lavoro per approdare a ben altri lidi e sfuggire allo svilimento continuo di una professionalità non così facilmente rimpiazzabile.

In questi anni ogni singolo governo che si sia succeduto a Palazzo Chigi ha messo le mani alla legislazione in materia di asilo: dopo Minniti, i decreti sicurezza di Salvini, l’intervento della Lamorgese su quegli stessi decreti, infine  il piantedosiano decreto Cutro di pochi mesi fa, in un climax ascendente di smantellamento di tutele e garanzie per gli stranieri in questo Paese. Persone che vengono descritte e percepite come un problema, un pericolo, una zavorra, trattate come oggetti da depositare e questo perchè osano varcare i confini di una Europa sempre più accartocciata su se stessa e sui propri fallimenti, sulla propria arroganza predatoria, un’Europa che non esita, nè nasconde più nemmeno un certo perverso interesse per l’ultima trovata del governo fascistoide della Meloni che ha stretto la curiosa intesa sui migranti col premier albanese Edi Rama: spendere i sudatissimi soldi dei contribuenti italiani (quasi 17 milioni di euro, solo per il primo anno di validità dell’accordo) per accollarsi le spese per la costruzione in Albania di due centri di trattenimento per persone straniere ree di provenire da Paesi extracomunitari che ci siamo arrogati il diritto di definire “sicuri”. 

L’Albania ottiene l’affarone di accelerare il processo di ingresso in UE, l’Italia delocalizza l’esame delle richieste di asilo come fosse un ramo d’azienda da spostare dove costa meno o, come in questo caso, dove questa spazzatura - perché è evidente che alla base di un simile accordo si deve presumere che non ci sia la consapevolezza di stare parlando di persone in carne e ossa - si vede di meno. L’accordo presenta illimitati problemi di natura giuridica inerenti la violazione delle normative internazionali sui respingimenti, le eventuali violazioni dei diritti umani, l’eventuale limitazione del diritto di difesa delle persone recluse, problemi di natura tecnico-esecutiva e problemi di natura economica. A carico dell’Italia sarà la gestione dello sbarco delle persone destinate a essere trattenute nel centro - provenienti da salvataggi in mare effettuati dalle autorità italiane e dai quali andranno esclusi i vulnerabili, i minori, le donne in stato di gravidanza. Per quanto a oggi almeno non è dato comprendere come possa effettuarsi e da parte di chi un serio vulnerability assessment nel mezzo del mare che possa dare luogo a uno “smistamento” oculato per capire chi possa finire in Albania e chi in Italia, non essendo altresì chiaro cosa ne possa essere dei nuclei familiari o situazioni similari. A carico dell'Italia sarebbe anche la successiva gestione: dalle procedure di sbarco e identificazione alle procedure giuridico-amministrative di esame delle richieste di asilo nelle tempistiche accelerate richieste dalle nuove normative ed entro il limite temporale imposto dall’impossibilità di trattenere a lungo le persone nella struttura. Sarà pertanto da verificare come e in quale misura sarà richiesto ai nostri funzionari delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e della Commissione Nazionale per il Diritto di Asilo di tamponare ancora una volta una situazione al limite del possibile come si prospetta quella a valle dell’eventuale operatività di questo accordo previsto per la prossima primavera: a regime, dovranno essere “processate” con modalità accelerate in pochi giorni le richieste di asilo di queste persone trattenute (si parla di tremila al mese) garantendone anche la qualità dell’esame e delle decisioni, i diritti inalienabili, il diritto alla difesa e al ricorso, il tutto probabilmente “a distanza”.

Nonostante questo una buona parte della sinistra liberal europea si mostra pubblicamente sedotta dalla soluzione prospettata dall’accordo italo-albanese.

E ancora una volta, all'avvicinarsi delle elezioni europee, la sola cosa che sappia offrire, da destra e da buona parte della sedicente sinistra, “il mondo civilizzato” alle migliaia di persone che si accalcano alle porte dell’Europa è una ennesima boutade disumana e inconcludente, una strumentalizzazione sulla loro pelle a meri fini elettoralistici e nessuna scappatoia al destino dello sfruttamento quali lavoratori clandestini in Italia o in altri Paesi del vecchio continente.

17/11/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Leila Cienfuegos

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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