Per una storia della Palestina dopo la nascita dello Stato ebraico

Nel giro di appena venti anni, dal 1947 al 1967, l’intero territorio della Palestina è stato progressivamente occupato da sionisti in gran parte originari dell’Europa e degli Stati uniti. In tal modo lo Stato di Israele è divenuto un avamposto occidentale nei paesi non allineati.


Per una storia della Palestina dopo la nascita dello Stato ebraico

I colonialisti inglesicolpiti dai sionisti, che in un primo momento avevano accolto in Palestina in funzione antiaraba, anche all’estero con attentati terroristici e pressati dalla netta posizione anticolonialista dell’Unione sovietica – si vedono costretti a scaricare sulla neocostituita Onu la patata bollente della questione palestinese, che avevano reso sempre più complicata. Con la risoluzione n. 181 del 29 novembre del 1947, l’Onu approvò un piano, appoggiato tanto dagli Usa quanto dall’Urss, che prevedeva la formazione di due Stati diversi, uno per ogni popolo, con l’internazionalizzazione della città di Gerusalemme. Gli ebrei accettarono il piano che gli lasciava il controllo addirittura della maggioranza del territorio palestinese, gli arabi non poterono che respingerlo, dal momento che prima dell’insediamento sionista, funzionale al colonialismo britannico, da secoli costituivano la stragrande maggioranza degli abitanti della regione.

Così, quando il 14 maggio 1948 gli inglesi si ritirarono dalla Palestina, lo stesso giorno ne approfittarono i sionisti che da Tel Aviv proclamarono lo Stato d’Israele, con David Ben Gurion a capo del governo provvisorio. Immediatamente, i paesi arabi dell’area si mobilitarono anche militarmente, dal momento che il sorgere di uno stato ebraico avrebbe comportato per gli arabi l’emarginazione politica, sociale ed economica sulla propria terra, sebbene fossero ancora la maggioranza. Iniziava quella che fu definita la prima guerra arabo-israeliana. Egitto, Transgiordania, Siria, Libano, Iraq e Arabia Saudita inviarono limitati contingenti militari contro Israele, ma il conflitto, che si protrasse dal maggio del 1948 al gennaio del 1949, si chiuse con la sconfitta della Lega araba da parte dei sionisti meglio armati, organizzati e soprattutto motivati dei paesi arabi che avevano tutti mirato a limitare al massimo il proprio impegno nel conflitto.

Gli effetti della guerra del 1948-49

Tel Aviv mantenne l’occupazione di gran parte del territorio palestinese che aveva occupato nel corso del conflitto. La Transgiordania come compensazione si annesse l’area a ovest del fiume Giordano della Palestina, chiamata Cisgiordania e cambiò il proprio nome in Giordania. Anche Gerusalemme fu spartita tra la Giordania che sottopose al proprio controllo Gerusalemme est e Israele che si impadronì della zona occidentale della città, dichiarandola capitale dello Stato ebraico. Questa situazione rese inapplicabile la soluzione dei due Stati prospettata dall’Onu, aprendo un contenzioso destinato a tragici sviluppi fino ai nostri giorni.

La sconfitta comportò la catastrofe (Nakba) per il popolo palestinese, con lo spaventoso esodo e l’emergenza umanitaria subita da circa un milione di palestinesi, che furono cacciati dalle loro case dalla pulizia etnica sionista o le abbandonarono per non vivere sotto il dominio dello Stato ebraico. Molti si rifugiarono in Giordania, dove però sopravvissero in condizioni di grande disagio, assiepati nei campi profughi. Più in generale molti palestinesi furono costretti ad abbandonare la propria terra e a sopravvivere come profughi nei paesi arabi vicini, dove tutt’ora sono costretti a risiedere circa cinque milioni di sfollati o loro discendenti. Iniziava così un conflitto fra palestinesi, in teoria supportati dai paesi arabi, e sionisti destinato a divenire sempre più acuto e drammatico.

Anche l’esistenza dello Stato ebraico non si rivelò agevole, trasformandosi progressivamente in una testa di ponte occidentale fra paesi non allineati, in un’epoca in cui il colonialismo e l’imperialismo erano costretti sempre più sulla difensiva. In tal modo Israele ha finito con l’investire ingenti quote delle proprie risorse a scopi militari anche se ha trovato il supporto di significativi flussi finanziari sia da parte delle comunità ebraiche di tutto il mondo sia, in particolare, dagli Stati Uniti e dagli alleati di questi ultimi. Perciò la società israeliana è stata sempre fortemente militarizzata, con una parte molto significativa della popolazione sempre preparata a combattere.

La crisi di Suez

Quando giovani esponenti della borghesia progressista egiziana dopo aver strappato il controllo del paese ai tirapiedi del neocolonialismo britannico, sotto la direzione di Nasser svilupparono un movimento pan-arabo per contrastare il predominio imperialista sulla regione, si trovarono ben presto in contrasto con i sionisti che avevano occupato buona parte della Palestina.

Quando l’Egitto sotto il dispotismo illuminato di Nasser progettò di irrigare vaste zone desertiche, evitando gli effetti catastrofici delle periodiche inondazioni del Nilo e potenziando le fonti energetiche del paese con il progetto di edificare un’enorme diga sul fiume ad Assuan, il ministro degli esteri anticomunista statunitense Dulles fece fallire ogni tentativo del paese di ottenere in occidente il finanziamento necessario all’opera.

Per poter reperire i capitali necessari, il paese, divenuto uno dei paesi guida dal movimento dei non allineati, decise di nazionalizzare la compagnia internazionale, controllata in particolare da francesi e inglesi, che gestiva il canale di Suez. Francia, Regno Unito e Israele si accordano per una aggressione imperialistica a sorpresa del paese, che si dispiegò nell’autunno del 1956. Israele invase la striscia di Gaza e il Sinai, mentre gli anglo-francesi, dopo aver bombardato a terra l’aviazione egiziana, occuparono il canale. L’Urss che con l’occasione ruppe i rapporti diplomatici con Israele, che aveva contribuito in modo decisivo a creare illudendosi di un suo possibile sviluppo in senso socialista – lancia un ultimatum ai tre aggressori, minacciando anche la guerra atomica. Anche gli Usa condannarono l’intervento, essendo contrari al fatto che Francia e Regno Unito tornassero a controllare quell’area. Dinanzi alla minaccia sovietica e cinese, privi della copertura statunitense, i tre aggressori furono costretti alla ritirata.

La guerra dei sei giorni

Anche dopo la conclusione di quella che è stata definita la seconda guerra arabo-israeliana del 1956 la tensione nell’area non diminuì e precipitò nuovamente nel 1967.

Si creò un comando unificato arabo cui aderì oltre a Egitto e Siria, la Giordania. Nasser fece ritirare le truppe dell’Onu dalla zona del canale di Suez, in quanto non in grado di tutelare i confini dalle minacce sioniste e cercò di impedire il transito delle navi israeliane nel mar Rosso, chiudendo lo stretto di Aqaba. La Siria programmò di deviare nel proprio territorio le acque delle sorgenti del Giordano sulle alture del Golan, che fornivano gran parte dell’approvvigionamento idrico di Israele. Da parte sua lo Stato ebraico pianificava una aggressione da spacciare come preventiva. Forte del sostegno dell’imperialismo francese e statunitense Israele bombardò di sorpresa gli aeroporti di Giordania, Egitto, Siria e Iraq e occupò le Alture del Golan (strappandole alla Siria), Gaza e Sinai (sottratti all’Egitto), la Cisgiordania (strappandola alla Giordania) e Gerusalemme triplicando così il proprio territorio. In soli sei giorni i sionisti riportarono una vittoria totale (5-10 giugno 1967). Nasser si dimise, ma il popolo egiziano lo costrinse a tornare al potere. Così sfruttando l’avventurismo egiziano, i sionisti poterono portare a termine i loro piani da sempre rivolti a portare a termine l’occupazione della Palestina, ponendo sotto il proprio dominio anche la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

I problemi aperti dopo la risoluzione ONU

L’ambiguità della risoluzione ONU n. 242 del 1967 lasciò irrisolte molte questioni. Gli stati arabi ora supportati dall’Urss continuarono a non riconoscere Israele, mentre ai profughi della guerra del 1948-49 se ne aggiunsero altri 400.000, provenienti dalla striscia di Gaza e dai territori occupati della Giordania. Si trattava di una vera e propria questione umanitaria, ma anche di una polveriera nel cuore del Medio Oriente. Allo stesso tempo Israele iniziò la colonizzazione degli ultimi territori occupati in ordine temporale, che non cedette, nonostante le proteste sovietiche e ciò suscitò dure reazioni nel mondo arabo. I palestinesi rimasti in Israele reclamavano una dignitosa condizione di vita e il diritto all’autodeterminazione nazionale. Di fronte all’impotenza dell’Onu, sempre più ostacolata dal veto statunitense e dal suo pieno sostegno al sionismo, si sviluppò la lotta armata del popolo palestinese, che in tale conflitto asimmetrico utilizzò anche la tattica terrorista.

Tra i rappresentanti dei profughi si distinse presto l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), nata nel 1964 dall’unione di vari partiti e formazioni laiche (esclusi gli islamisti) e capeggiata da Yasser Arafat (1929-2004, leader della formazione palestinese al-Fatah) fino alla sua morte. L’Olp, movimento nazionalista a carattere laico di tendenza marxista, sosteneva che solo la distruzione dello Stato sionista (almeno fino al settembre del 1993, quando Arafat firmò gli accordi di pace con Israele) avrebbe permesso agli arabi palestinesi di ottenere la libertà e incoraggiò per lungo tempo le azioni armate, gli attentati e i sabotaggi dei feddayn (in arabo vuol dire “devoto”, l’Olp utilizzava il termine per indicare i guerriglieri disposti a sacrificare la vita per la causa palestinese) contro gli occupanti. I partigiani palestinesi, riuniti nell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, furono duramente repressi dagli israeliani.

A rendere più aspro il conflitto vi fu l’occupazione sionista di Gerusalemme, città considerata santa dalle tre religioni monoteistiche, iniziata nel 1948 con la parte occidentale ed estesa, a partire dal 1967 all’intera città. Si tratta di un atto di forza che molti mussulmani ancora oggi non intendono accettare.

03/02/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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