Storia della lotta per la liberazione della Palestina

Dalle grandi lotte per la liberazione della Palestina degli anni '70, alla necessità di accettare gli accordi di Oslo considerato il nuovo contesto storico caratterizzato dal venire meno del sostegno del blocco sovietico e dall’isolamento a seguito dell’appoggio all’Iraq sotto attacco da parte di una coalizione a guida Usa.


Storia della lotta per la liberazione della Palestina

La guerra del Kippur

Gli anni tra il 1967 e il 1973 sono definiti della “non pace” e della “non guerra”, fatti di continui incidenti nei punti caldi tra Israele e paesi arabi. Nel 1973 la maggiore regione petrolifera del mondo, il Medio Oriente, è sconvolta da una nuova crisi. I paesi arabi che circondavano Israele non avevano potuto accettare lo status quo, dopo che la guerra preventiva scatenatagli contro da Israele nel 1967 gli era costata la perdita di importanti territori conquistati dal proprio nemico, che del resto costringe milioni di palestinesi a vivere come profughi nei paesi arabi confinanti con la Palestina. Né, d’altra parte, Israele aveva approfittato della vittoria militare, per giungere a una duratura pace politica.

Il momento per la rivincita araba si presenta nel 1973, in quella che è definita Guerra del Kippur, dal nome della festività ebraica (6 ottobre) in cui Siria ed Egitto scatenano il loro attacco. È di nuovo una guerra breve, ma violenta. Inizialmente gli arabi hanno la meglio, poi gli Israeliani meglio armati si riprendono (anche grazie all’intervento degli Usa) e con il generale Ariel Sharon (1928-2014) si spingono a poche decine di chilometri da Damasco; l’Onu il 22 ottobre impone il cessate il fuoco e la guerra finisce senza vincitori né vinti.

La crisi petrolifera

Nel frattempo, i paesi arabi hanno reagito al sostegno del mondo occidentale a Israele, con un netto innalzamento del prezzo del petrolio venduto agli occidentali, che da cifre bassissime raggiunse in pochissimo tempo prezzi ragguardevoli. In tal modo, i paesi arabi produttori di petrolio si rafforzano enormemente dal punto di vista economico e di conseguenza politico. Dopo la sconfitta in Vietnam e visto l’appoggio dato al mondo arabo dal blocco sovietico, agli stati occidentali non resta che pagare questi prezzi più elevati e allo stesso tempo cercare altri acquirenti e sviluppare fonti energetiche alternative, a partire dal nucleare che proprio in questi anni ha notevole impulso. Aumentando il prezzo della benzina entra in crisi l’industria automobilistica, fra le più importanti del mondo, facendo aumentare significativamente la disoccupazione. Aumentano anche i prezzi dei prodotti industriali, perché per produrli e trasportarli occorre energia. Ciò spinge i lavoratori a lottare per un aumento dei salari corrispondente all’aumento dei prezzi dei mezzi di sussistenza. Ciò produce una spirale inflativa che si abbatte sugli strati più deboli della società: pensionati, disoccupati e contadini.

La svolta di Sadat

La guerra del Kippur aveva dimostrato che Siria ed Egitto erano capaci di tenere testa a Israele. Ciò convince Israele di non essere invincibile e, quindi, della necessità di rompere il fronte avverso, arrivando alla pace con l’Egitto. L’iniziativa fu presa da Anwar al-Sadat, che guidava l’Egitto dal 1970 dopo la morte di Nasser, e trovò immediato riscontro nel primo ministro di Tel Aviv Manechem Begin. Con la mediazione del presidente americano Carter, le trattative culminarono nel marzo del 1979 con la firma a Washington della Pace tra Israele ed Egitto. Israele restituisce all’Egitto la penisola del Sinai in cambio della sua neutralità sulla questione palestinese. I nuovi dirigenti egiziani del post Nasser, guidati da Sadat, accettano e rompono con l’Urss, avvicinandosi agli Usa. Sadat e Begin ottengono il premio nobel per la pace. Tuttavia, la causa del conflitto, ovvero l’occupazione dei territori palestinesi, i milioni di palestinesi immigrati, l’occupazione israeliana del Golan siriano e di territori libanesi impediscono di giungere a una reale pacificazione nell’area. I paesi arabi non riconoscono l’accordo e lo stesso Sadat fu ucciso in un attentato nell’ottobre del 1981, assassinio rivendicato da gruppi terroristici legati al fondamentalismo islamico, ostili alla pacificazione con Israele. Quest’ultimo, da parte sua, ricorse di nuovo alle armi: epicentro del conflitto divenne il Libano.

La guerra civile in Libano

In Libano vi era una forte mescolanza di gruppi etnici religiosi. Cristiani e musulmani avevano vissuto in pace per decenni, permettendo al paese di raggiungere un grado di prosperità tale da meritargli il nome di “Svizzera del Medio Oriente”. Ma la lotta per il potere si era via via acuita sfociando in una guerra civile nel 1975.

La situazione si era complicata anche perché circa 250.000 profughi palestinesi si riversarono in Libano dalla Giordania, governata dal re Hussein, dove erano stati perseguitati e cacciati nel 1970. In memoria di questa repressione, che aveva causato migliaia di morti, si formò il gruppo terroristico Settembre nero”, fautore di numerosi attentati, ricordiamo nel 1973 il massacro di Fiumicino o la strage della squadra israeliana (11 morti) alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. Stabilite le loro basi in Libano, sotto la guida di Arafat, i palestinesi continuarono a opporsi con le armi a Israele, appoggiati dal gruppo islamico radicale sciita Hezbollah (letteralmente “partito di dio”, sostenuto dall’Iran e legato alla Siria, oggi è un partito che partecipa alle competizioni elettorali). A causa delle incursioni dei fedayin, Tel Aviv nel giugno del 1982 invade la parte meridionale del Libano.

L’invasione israeliana del 1982: le stragi di Sabra e Chatila

Le truppe israeliane si spinsero fino a Beirut e cacciarono i palestinesi dal paese: l’Olp fu costretta a una nuova emigrazione verso la Tunisia. In quella occasione miliziani cristiani libanesi, protetti dall’esercito israeliano ne approfittarono per compiere le terribili stragi di Sabra e Shatila (settembre 1982), per vendicarsi dell’attentato al neopresidente Bashir Gemayel, capo delle falangi cristiane (ultradestra – fascista). La strage fu orrenda: circa 2000 palestinesi, tra cui donne e bambini, furono massacrati nei campi profughi a Beirut, nell’indifferenza dei soldati di Tel Aviv. Le stragi provocarono grande indignazione in tutto il mondo e rappresentano ancora oggi una delle pagine più nere nella storia della contesa mediorientale. Israele si ritirò dal Libano meridionale solo nel 2000.

L’Intifada

Il conflitto tra Israele e paesi arabi e palestinesi rimase aperto per tutti gli anni ottanta. Israele ampliò la politica di colonizzazione nei territori occupati con le precedenti guerre. Si intensificò anche il terrorismo internazionale palestinese (attentato alla sinagoga di Roma 1982, dirottamento della nave italiana Achille Lauro e attentato all’aeroporto di Fiumicino del 1985).

Nel dicembre del 1987 scoppiò a Gaza e in Cisgiordania l’intifada (in arabo “sollevazione”). La rivolta contro l’occupazione israeliana era armata di sassi e fionde e animata dai giovani palestinesi, nati e cresciuti senza una casa, una patria, quindi pronti a tutto perché disperati. Per anni si susseguirono manifestazioni e scontri in strada. Duramente repressa da Israele, le vittime furono almeno mille; l’intifada riuscì a imporre la questione palestinese all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale.

L’accordo del 1993

Sul piano diplomatico, le tensioni sembrano allentarsi nel settembre del 1993: con la mediazione degli Usa di Bill Clinton, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e Yasser Arafat (che era stato accolto all’assemblea generale dell’ONU come rappresentante del popolo palestinese) stabilirono con una dichiarazione a Washington che i territori occupati da Tel Aviv nel 1967 (Striscia di Gaza e Cisgiordania) sarebbero passati sotto l’amministrazione di un’Autorità nazionale palestinese (Anp), primo nucleo del futuro stato palestinese. Si trattava della risoluzione Onu 242 del 1967, dopo la Guerra dei sei giorni. L’accordo formalizzato come Oslo I nel maggio del 1994, fu un fatto storico perché Israele riconobbe l’Olp, accettò la sovranità palestinese su quei territori, garantendo un proprio ritiro graduale. L’Olp in cambio riconobbe Israele. Tra l’altro, l’accordo spinse alla firma del trattato di pace tra Israele e Giordania, e la stessa Santa Sede riconobbe lo Stato di Israele. L’accordo portò anche alla cessazione dell’Intifada e sembrò preludere alla fine delle ostilità. Non fu così. Rabin nel 1995 venne assassinato da un estremista religioso ebraico contrario al ritiro israeliano da Gaza e Cisgiordania; mentre gli stessi governi di Tel Aviv non mantennero gli impegni presi.

Le difficoltà e Hamas

Vi erano altri ostacoli: lo status di Gerusalemme, che secondo l’intesa di Washington doveva essere divisa in due settori, capitale sia per Israele, sia per lo Stato palestinese; l’intenso processo di colonizzazione dei territori a ovest del Giordano e i coloni israeliani che non ne volevano sapere di andarsene e Tel Aviv che non aveva la volontà politica necessaria a cacciarli.

Anche l’Anp aveva difficoltà a contenere l’ala più dura del nazionalismo palestinese: la guida di Arafat era ora messa in discussione da gruppi terroristi islamici come Hamas (nacque nel 1987 come filiazione dei Fratelli musulmani egiziani, con lo scopo di cacciare Israele dalla Palestina e costruirvi uno Stato islamico), che rifiutavano il riconoscimento di Israele.

È stato il processo di pace a fallire o il fallimento è il risultato di un piano ben riuscito da parte di Israele per protrarre l’occupazione? Inoltre, in relazione alla Striscia di Gaza, la miseria di chi la abita può essere messo sul conto della tattica terroristica utilizzata da Hamas?

 

09/02/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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