Brecht e i classici

Come nel caso di Goethe, l’adesione alla poetica ingenua dei classici di Brecht non poteva essere immediata, ma doveva passare attraverso la mediazione del moderno concetto di sentimentale, così lo sforzo compiuto per raggiungere la semplicità e l’immediata chiarezza dei classici ha dovuto necessariamente passare attraverso il vaglio critico di una tormentata poetica “romantica”.


Brecht e i classici

La nostra ipotesi interpretativa, volta a individuare una tensione all’interno dell’opera brechtiana verso un nuovo classicismo, si pone, per certi aspetti, in contrasto con l’interpretazione dominante all’interno della Brechtforschung (la critica letteraria dedicata all’opera di Brecht) [1]. Si è detto per certi aspetti, in quanto non è nostra intenzione rigettare la componente anticlassica dell’opera di questo autore, vogliamo invece mostrare come dietro a essa si celi anche la tensione al recupero di un classicismo diversamente inteso. In altri termini, questo rapporto di Brecht con la tradizione può essere esemplificato proprio considerando la complessa relazione che lega tanto la sua opera quanto la sua riflessione a quella di Goethe.

Come è noto Schiller ha contraddistinto la poesia moderna con il concetto di sentimentale, per differenziarla dall’immediatezza implicita nel concetto di ingenuità che utilizzava per contraddistinguere la poesia degli antichi. Per Schiller, questa concezione ingenua della poesia sarebbe da ritenere oggi del tutto inadeguata a caratterizzare una società come la nostra, segnata da un’intima scissione. Tuttavia il termine ingenuo [nell’originale tedesco naïf] era utilizzato da Schiller anche in un’altra accezione che è quella che ci interessa poiché è con questa accezione del termine che può essere paragonato il concetto caro a Brecht [2]. In quest’ultima accezione con ingenua [naïf], in effetti, Schiller intendeva caratterizzare la produzione di Goethe, cioè di un autore che, all’interno del mondo moderno, aveva cercato di riconquistare l’ingenuità caratteristica dell’arte antica [3].

A tal fine non era stato possibile nemmeno per Goethe cancellare la scissione del mondo contemporaneo e della sua espressione artistica, ma era stato piuttosto necessario prendere l’avvio proprio da questa. Goethe, secondo la definizione che ne dà Schiller, sarebbe, dunque, uno spirito greco condannato a vivere in un mondo nordico, che può riconquistare la sua patria originaria solo attraverso “rationalen Wege” [dei percorsi razionali]. Solo così egli poteva appropriarsi dell’ingenuità degli antichi, ingenuità che, tuttavia, aveva perduto per sempre il carattere di immediatezza che la aveva contrassegnata. Si trattava di una Naivität [ingenuità] di secondo grado che doveva portare necessariamente in sé il momento della riflessione. 

SI potrebbe sostenere che Brecht utilizza la categoria di naïf nel senso di Goethe, cioè come recupero della semplicità classica. Si tratta, però, di una semplicità artificialmente riconquistata, che deve essere considerata di natura dialettica. Dunque, come nel caso di Goethe l’adesione alla poetica “ingenua” dei classici non poteva essere immediata, ma doveva passare attraverso la mediazione del moderno concetto di “sentimentale”, così lo sforzo compiuto da Brecht per raggiungere la semplicità e l’immediata chiarezza dei classici ha dovuto necessariamente passare attraverso il vaglio critico di una tormentata poetica “romantica”. L’anelito alla purezza dei classici non è stato mai considerato da Brecht come una conciliatoria soluzione delle contraddizioni dell’epoca moderna. Egli ha certamente mirato a una superiore armonia, ma restando ben consapevole che essa dovesse farsi carico delle contrastanti tensioni del suo tempo, salvaguardandole al proprio interno.

In altri termini, in Brecht come in Goethe, il richiamarsi alla tradizione dei classici non comportava una deplorevole astrazione dalla “barbarie” della vita moderna, ma un eroico quanto disperato tentativo di ricomporre in un’unità dotata di senso la disgregazione di un mondo “condannato” a una sempre maggiore complessità [4]. 

Questa comune esigenza spinse Brecht ad approfondire in questi anni lo studio e la riflessione su quegli autori tedeschi che tra il diciottesimo ed il diciannovesimo secolo si erano interrogati sulla relazione che doveva intercorrere tra arte drammatica e narrazione epica [5]. Egli aveva trovato conferma in queste eminenti riflessioni dell’importanza della questione da lui stesso presa in esame: come era possibile sottomettersi all’esigenza di una trattazione epica imposta dai nuovi contenuti conservando, però, le caratteristiche fondamentali attribuite dalla tradizione al genere drammatico, ovvero la sua capacità di sintetizzare, di dare rappresentazione sensibile a quei contrasti ideali che caratterizzano e vivificano le relazioni interumane? Brecht, nella sua riflessione sull’arte drammatica era, quindi, costretto a muoversi tra due necessità egualmente sentite ma sostanzialmente opposte. In altri termini, egli avvertiva l’esigenza, ereditata e dalla poetica aristotelica e dall’estetica hegeliana, di un dramma che, come genere ultimo dell’evoluzione storica, fosse in grado di ricomprendere al suo interno l’essenziale momento narrativo del genere epico, purificandolo però degli elementi più eterogenei alla sua essenza: le maggiori concessioni fatte dall’epico all’irrazionale e alla disparità del materiale, che opponevano una perpetua resistenza alle necessità di coerenza dell’opera drammaturgica [6]. Non bisognava però dimenticare il rischio che necessariamente correva questo tentativo di ricomposizione: la sua tendenza a sacrificare alla produzione di un dramma bello, alla sua stessa pienezza e completezza espressiva il dover essere morale della ricerca, finendo così per occultare dietro le esigenze di totalità, di concordanza interna e perfezione formale la discordanza ineliminabile del reale, le tendenze disgregatrici dell’epoca moderna.

La tendenza dell’ultimo Brecht a una classica essenzialità e immediatezza non significa, quindi, una fuga di fronte alle contraddizioni laceranti della sua epoca in un’unitaria ma astorica sfera dell’estetico, capace di ricucire la spaccatura tra essere e dover essere. Le stesse soluzioni goethiane, pur considerate con interesse da Brecht, gli apparivano sempre più un fragile compromesso reso ormai inattuabile e inattuale, poiché la frattura stessa che Goethe aveva tentato di colmare gli appariva ormai un abisso insondabile. Del resto Brecht non poteva sfuggire, nella sua lettura e interpretazione dei classici, al fascino esercitato dalla negazione ed ironia nietzschiana. La possibilità stessa di una fiduciosa contemplazione dell’equilibrio dei classici era per sempre bandita dall’orizzonte brechtiano. Dalle ceneri dell’armonia classica riemergeva, così, l’azione negatrice della realtà costituita e la coscienza dell’inevitabilità della rottura radicale con il dato.

Note:

[1] Più di un autore si è, tuttavia, distanziato da questa tendenza preminente. Si consideri ad esempio quanto ha scritto Reinhold Grimm a proposito della produzione lirica di Brecht dell’esilio: “non si potrebbe piuttosto riconoscere in tali versi la semplicità nobile, la noble simplicité dei classici?” Grimm, R., Brecht und Nietzsche, in Brecht und Nietzsche oder Geständnisse eines Dichters. Fünf Essays und ein Bruchstück, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1979, p. 32.

[2] Naturalmente non si intende qui asserire una diretta ripresa da parte di Brecht del concetto di Schiller. D’altra parte, ci sembra il caso di sottolineare gli aspetti che accomunano la concezione del naïf nei due autori, piuttosto che di evidenziarne, come è stato generalmente fatto fino a ora, le differenze.

[3] Tale accezione ci permette di rendere maggiormente perspicuo il senso dell’ultima tanto contestata quanto poco compresa Kehre [svolta] dell’opera di Brecht: l’aspirazione a un classico equilibrio.

[4] È il tema hegeliano del “Verweilen[dimorare, trattenersi, soggiornare]. Occorre soggiornare a lungo sulla soglia dell’abisso, per ottenere la forza necessaria a farsene carico, riconoscendone la necessità senza esserne annientati.

[5] La questione se fosse possibile rimettere in discussione la netta bipartizione della tradizione aristotelica tra drammatico ed epico era stata al centro del carteggio tra Schiller e Goethe ed era presente nella stessa estetica di Hegel, nel difficile equilibrio ivi ricercato tra l’adesione alla poetica classica dei generi e le nuove esigenze della rappresentazione artistica, tematizzate dalla poetica romantica.

[6] Come ha scritto Willet, il genere epico era caratterizzato dalla “stessa debole connessione fra gli avvenimenti che ritroviamo nelle «histories» shakespeariane o nel romanzo picaresco, ed è in questo senso che il termine veniva usato dagli scrittori tedeschi del settecento – per esempio, Goethe e Schiller nella loro corrispondenza o il precursore di Büchner, Lenz” Willet, John, The Theatere of Bertolt Brecht. A study from eight aspects, Methuen, London 1959, tr.it. di E. Capriolo, Bertolt Brecht e il suo teatro, Lerici, Milano 1961, pp. 241-42.

06/10/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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