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Petrolio: risorsa e conflitti

Le contraddizioni della produzione e del mercato del petrolio, nel quadro di opposti interessi geostrategici, esposte in forma di intervista collettiva dagli studenti del corso di Geopolitica e analisi dei conflitti internazionali dell’Istituto Tecnico Economico “Pacinotti” di Pisa.


Petrolio: risorsa e conflitti Credits: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/fc/US_Navy_030402-N-5362A-004_U.S._Army_Sgt._Mark_Phiffer_stands_guard_duty_near_a_burning_oil_well_in_the_Rumaylah_Oil_Fields_in_Southern_Iraq.jpg

Emiliano Barsotti: Durante il mese di aprile il mercato del petrolio è salito nuovamente sulla ribalta degli scenari geopolitici e geoeconomici registrando forti fluttuazioni nelle quotazioni. Essendo uno studente della 2B afm dell’Ite Pacinotti di Pisa che da quest'anno frequenta, come attività alternativa, il corso di “Geopolitica e Analisi dei Conflitti Internazionali” tenuto dal Prof. Andrea Vento, ho ritenuto utile rivolgere alcune domande in merito ai miei compagni di corso, sia della 3B afm (Giacomo Cacelli, Tobia Fabeni e Alessio Petrini) che della 2B afm (Federico Ciardelli e Michele Corti) in merito alla questione, per avere una visione più ampia e strutturata del mercato del petrolio e delle sue dinamiche non sempre facili da comprendere.

E.B.: Per iniziare, chiedo a Giacomo Cacelli se ci espone una breve sintesi storica dello sfruttamento del petrolio, delle sue caratteristiche e della sua importanza come fonte energetica.

Giacomo Cacelli: Il petrolio è una delle risorse naturali più utilizzate dall’uomo a partire dalla fine del XIX secolo. L'industria petrolifera nacque, infatti, nel 1859 negli Stati Uniti, nei pressi di Titusville, Pennsylvania, per l'iniziativa di Edwin Drake. Il petrolio è una fonte di energia importante e contesa. Di origine organica, è presente nel sottosuolo di alcune regioni del globo, le quali hanno così assunto grande importanza economica nel ventesimo secolo. Il petrolio viene estratto, trasportato e raffinato in enormi quantità. Queste operazioni comportano un notevole rischio per l’ambiente. I suoi derivati comprendono i combustibili più comuni, come la benzina e il gasolio, e alimentano gran parte dell’industria chimica. Per questo il suo sfruttamento è al centro della politica energetica mondiale, visto che ricopre il 33,4% del fabbisogno energetico mondiale. Nel tempo è divenuto indispensabile per la vita di tutti i giorni, soprattutto delle economie più sviluppate, e i consumi hanno registrato nel tempo andamenti crescenti, pertanto si prevede che le riserve si prevede siano destinate a esaurirsi in un futuro prossimo.

E.B.: Il petrolio è considerato una “commodity”. Sapreste dirmi il significato di questo termine?

Tobia Fabeni: È un termine inglese che indica un bene di cui c’è domanda, che viene offerto senza differenze qualitative e che viene quotato nelle borse merci.

E.B.: Quali sono le due tipologie di commodity legate al greggio e dove vengono quotate?

Michele Corti: Possiamo avere due tipi di commodity:
- Brent che viene quotata a Londra, esso viene infatti estratto dal Mare del Nord;
- WTI (West Texas Intermediate) che viene quotata a New York e proviene dal Texas, dalla Louisiana e dal Nord Dakota.

Il loro prezzo non coincide mai, dato che uno è in genere più costoso dell’altro. Nonostante questa differenza, essi sono entrambi considerati petroli “light” a causa della scarsa densità che li caratterizza e che permette la loro più agevole lavorazione e raffinazione.

E.B.: Qual'è stato l’andamento delle quotazioni del petrolio dagli anni ‘60 fino ad oggi?

Federico Ciardelli: L'andamento storico del prezzo del petrolio riflette la volatilità della materia prima, oltre alla forte sensibilità della quotazione agli eventi internazionali sui mercati e, soprattutto, all’andamento dell’offerta e della domanda di greggio a livello mondiale.

Nel decennio che va dal 1946 al 1955 il prezzo del petrolio ha segnato i suoi minimi storici assoluti. Nel febbraio 1946 un barile di petrolio costava solo 1,17 dollari. Nel decennio 1956-1965 il minimo è stato toccato a 2,83 dollari al barile e il massimo a 3,07. Dal 1966 al 1975, il minimo del prezzo del petrolio è stato di 2,4 dollari; il massimo è stato toccato a 11,20. In questo periodo, con la nascita dell’OPEC, i paesi produttori imposero alle imprese estrattrici (le Sette sorelle) maggiori imposte per l’estrazione e quindi il prezzo del petrolio al barile iniziò a salire. Dal 1976 al 1985, il prezzo del petrolio iniziava a essere più volatile, a causa della globalizzazione dei mercati, arrivando a superare i 39 dollari. Durante il periodo che va dal 1986 al 1995 è proseguita la discesa del prezzo del petrolio. Dopo essere tornato ai minimi di 10 dollari al barile, tese successivamente a risalire. Infatti il 1995 si chiuse con l’inaugurazione di un nuovo “trend” rialzista. Dal 1996 al 2005, con la scoperta di nuovi giacimenti di petrolio in Alaska e nel Mare del Nord l’offerta di petrolio aumentò causando la discesa del prezzo fino a 30 dollari. Dopo aver toccato i massimi storici, poco oltre i 140 dollari al barile alle soglie della crisi globale del 2008, nel 2014 viene inaugurata una nuova fase ribassista che ha portato il WTI a toccare i minimi a 27 dollari, visti l’ultima volta 13 anni prima. Con gli anni, le tecnologie sono avanzate e i costi di estrazione del petrolio sono diminuiti.

Grafico 1: andamento della quotazione del petrolio fra il 1946 e 2015

E.B.: Quali cause hanno determinato la quotazione negativa del WTI il 20 aprile?

Alessio Petrini: Lunedì 20 aprile si è verificata una situazione eccezionale sulla quotazione che è scesa addirittura a valori negativi. La causa di questa particolare situazione è legata alle strategie speculative da parte dei grandi investitori istituzionali privati; cioè quegli operatori finanziari come le grandi banche d'investimento, società di assicurazioni, fondi di pensione e fondi speculativi (hedge funds), regolarmente registrati presso le autorità borsistiche dei principali paesi e autorizzati a effettuare transazioni dal valore particolarmente elevato.

Questi soggetti effettuano operazioni di compravendita sui cosiddetti "barili di carta” cioè i contratti future che impegnano ad acquistare o vendere ad una data futura, una determinata quantità di merce o attività finanziaria a un prezzo prefissato. Se l’attività è una merce, il future si definisce Commodity futures, mentre se è uno strumento finanziario si chiama Financial futures.

Le quotazioni dei future WTI sono precipitate quando la disponibilità del “petrolio vero” in USA è diventata eccessiva a tal punto da non sapere più dove stoccarlo, in quanto i depositi avevano raggiunto la capienza massima; a quel punto gli speculatori hanno fatto in modo di disfarsi dei contratti pur rimettendo. Conseguentemente, di fronte a un forte aumento dell'offerta, la quotazione è precipitata finendo addirittura in territorio negativo.

E.B.: Si sente spesso rammentare le "Sette sorelle". Cosa si intende con questo termine e quale è la loro strategia?

Giacomo Cacelli: In passato il mercato del petrolio era sotto monopolio delle cosiddette “Sette Sorelle”, le principali compagnie petrolifere multinazionali: la britannica British Petroleum, le statunitensi Socal, Exxon, Mobile, Texaco, Gulf Oil e l’anglo-olandese Royal Dutch Shell. Queste, fino all’inizio della prima crisi petrolifera del 1973, hanno svolto un ruolo dominante. Grazie alle concessioni ottenute decenni prima, riuscirono a controllare tutto il mercato del petrolio e sfruttare tutti i giacimenti che si trovavano nel Golfo Persico e in Medio Oriente. Sono state queste compagnie a controllare i prezzi del petrolio a livello internazionale, sfruttando in modo massiccio i giacimenti su cui potevano vantare le loro concessioni.

E.B.: Sapete darmi informazioni in merito alla fondazione dell’OPEC e ai presupposti che ne hanno indotto la nascita?

Alessio Petrini: L’OPEC, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio, venne fondata nel settembre del 1960 a Baghdad e dal 1965 ha sede a Vienna. Gli attuali paesi membri sono: Algeria, Venezuela, Angola, Ecuador, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Libia, Nigeria e Qatar. Quest’associazione è stata costituita per unificare e coordinare le politiche relative alla produzione e all’esportazione del petrolio sotto il controllo dei rispettivi governi. Dal 2007 al 2009 e dal 2011 al 2014 ha perseguito l’obiettivo di garantire stabilizzare i prezzi di mercato, dato il notevole aumento della quotazione dovuto alla crescente domanda da parte di paesi emergenti come la Cina. Il suo scopo inoltre è quello di arginare il potere delle Sette sorelle in modo da creare un fronte comune. È una sorta di cartello (Trust) che, tramite il controllo dell’offerta, cerca di influire sulla determinazione del prezzo.

E.B.: Quali sono le finalità di questa organizzazione?

Tobia Fabeni: Grazie al ruolo dell’OPEC, i paesi produttori che hanno nazionalizzato la risorsa, possono oggi ottenere maggiori ricavi rispetto alle Royalties corrisposte in precedenza dalle Sette sorelle. L’organizzazione regola l’aspetto economico col fine di valorizzare al meglio le proprie risorse, evitando che vengano sfruttate dalle multinazionali. Il petrolio è una risorsa non rinnovabile e, come detto precedentemente, si sta esaurendo a velocità preoccupante: entro qualche decennio sarà sempre più difficile soddisfare la richiesta mondiale e già alcune delle Sette sorelle sono in crisi e rischiano il tracollo.

E.B.: L'OPEC è una organizzazione compatta o ci sono delle divisioni interne?

Alessio Petrini: L'Opec ha spesso avuto posizioni diversificate al suo interno e addirittura alcuni stati si contrappongono tra di loro come recentemente l'Arabia Saudita e l'Iran. Ma non è questione di oggi, bensì un di conflitto decennale per l'egemonia regionale in Medio Oriente, acuita dalle differenze religiose: l’Iran è in gran parte musulmano sciita, mentre l'Arabia Saudita si considera la principale potenza musulmana sunnita. Questo scisma dell’Islam si riflette nella carta geopolitica del Medio Oriente, dove i paesi a maggioranza sciita o sunnita, guardano rispettivamente all’Iran o all’Arabia Saudita come paesi guida da cui ottenere sostegno politico, economico e militare. Per questo alcuni analisti hanno varato i termini Asse Sciita (Iran, Iraq, Siria Hezbollah libanesi e gli Houthi in Yemen) e Polo Sunnita (Arabia S., le altre petromonarchie del Golfo Persico, Giordania ed Egitto).

E.B.: Si sente molto parlare dei carburanti non convenzionali e in particolare dello “Shale oil”. Che cosa mi sapete dire in proposito?

Giacomo Cacelli: Parlando di petrolio non possiamo non menzionare gli USA che producono shale oil. Questo è il petrolio di scisto ricavato dalla frammentazione delle rocce con la tecnica della frantumazione idraulica detta Fracking. Grazie a questo tipo di estrazione gli Stati uniti sono passati in pochi anni da paese importatore di greggio al maggiore produttore globale con 12 milioni di barili al giorno. Questo ha mutato gli equilibri geo economici e geostrategici, in quanto gli Usa non sono più dipendenti dalle importazioni dal Medio Oriente. In questo modo si sono resi autonomi nella produzione di petrolio e sempre di più hanno mostrato minore interesse nei riguardi dell’oro nero degli Sceicchi d’oriente. Questa nuova situazione ha ridotto l'importanza strategica del Medio Oriente e sta danneggiando l'economia dei principali paesi esportatori. I Sauditi, tradizionali alleati Usa, non si rassegnano a questa nuova realtà e sono fortemente infastiditi perché gli investitori americani non sembravano più così interessati al loro greggio e soprattutto non sono più disponibili ad acquistare le azioni dell’Aramco, la società petrolifera di Stato recentemente in parte privatizzata. Con i proventi dell'Aramco, l'Arabia Saudita finanzia l'acquisto di armi e le guerre, in primis per la guerra dello Yemen, i movimenti Jihadisti e i megaprogetti del principe Mohammed bin Salman.

E.B.: Anche la Russia pur non essendo membro dell'OPEC ha un ruolo importante nella geopolitica del petrolio.

Tobia Fabeni: La Russia non vuole cedere alla crisi dei prezzi e non vuole ridurre la produzione al fine di tagliare fuori dal mercato le società Usa, che operano nel settore dello shale oil che hanno costi di estrazione molto alti per ciascun barile di petrolio. Mosca preferisce autofinanziarsi con le riserve del fondo sovrano russo (150 miliardi di dollari) per coprire le mancate entrate pur di raggiungere il suo scopo. Anche l’Arabia Saudita non ha ridotto l'estrazione in quanto anche lei ha interesse a far fallire le società USA, in quanto fastidiose concorrenti.

E.B.: Quali sono i paesi che subiscono i maggiori contraccolpi economici da queste tensioni in atto?

Alessio Petrini: Questa contrapposizione finisce per colpire pesantemente quei Paesi la cui economia è dipendente dal petrolio, come Algeria, Iraq, Libia, Venezuela, Iran e che stanno subendo pesanti contraccolpi in questa lunga fase di basse quotazioni. In particolare: l’Algeria che sta attraversando una turbolenta fase di transizione politica assai critica, l’Iraq dove ci sono continue rivolte e la Libia che è devastata dalla guerra civile.

E.B.: Qual è la situazione dell'Arabia Saudita e qual è il suo ruolo geopolitico e geoeconomico all'interno del settore petrolifero?

Giacomo Cacelli: Nel 1933 nacque la società Aramco, la compagnia nazionale saudita di idrocarburi. È tra le più grandi compagnie petrolifere al mondo ed è il più importante finanziatore del governo saudita che la possedeva quasi al 100%. Produce più di 10 milioni di barili al giorno, finanziando purtroppo guerre, acquisto di armi e i megaprogetti del principe assassino Mohammed Bin Salman, chiamato così in quanto ritenuto responsabile dell’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi del Washington Post, tra le voci più critiche della monarchia saudita e in particolare dell’erede al trono Mohammed Bin Salman.

L'eccessiva dipendenza dell'economia saudita e dei suoi conti pubblici dall'oro nero, in questa fase di calo delle quotazioni, sta lentamente indebolendo questo paese. Oggi i maggiori esportatori mondiali, Russia e Arabia Saudita, non si mettono d’accordo su tagli ancora più consistenti alla produzione e stanno spingendo fuori mercato lo shale oil americano.

E.B.: Ho sentito in tv parlare anche di Opec Plus. Cosa significa?

Tobia Fabeni: Il 30 novembre del 2016 l'Opec decise di tagliare la produzione di 1,2 milioni di barili al giorno, a partire dal primo gennaio del 2017. A causa dell'eccessiva offerta, all'inizio del 2016 le quotazioni del greggio erano precipitate sotto i 30 dollari al barile. A seguito di questa situazione nasce l’Opec Plus, che vede oltre i paesi interni al cartello, unirsi anche stati esterni come la Russia. Tutto questo col fine di risollevare le sorti delle quotazioni del petrolio, l’unico modo per riportarlo a livelli ragionevoli era quello di calare l’offerta diminuendo quindi la produzione.

E.B.: Perché il petrolio è causa di tensioni e conflitti anche armati?

Alessio Petrini: Recentemente sono scoppiate guerre in Medio-Oriente per l’accaparramento delle risorse tra vari paesi. Questi ultimi sono tutti paesi produttori di petrolio come è stato il caso della guerra scatenata da Bush e Blair nel 2003 contro l'Iraq di Saddam Hussein, accusato falsamente di detenere armi di distruzione di massa o quella contro la Libia di Gheddafi nel 2011 promossa dalla Nato, in particolare da Francia e Stati Uniti. Entrambe le aggressioni sono state effettuate senza approvazione del Consiglio di Sicurezza Onu e pertanto atti scellerati fuori del diritto internazionale. Oggi sono interessati da tensioni e conflitti paesi che purtroppo hanno già di per sé problematiche interne assai importanti, come l’Algeria, in una fase di transizione politica assai critica, la Siria, l’Iraq e la Libia, strangolate dalle guerre civili. Questi paesi, in una situazione del genere, possono subire colpi fatali; in questi paesi il petrolio è tutto. Queste guerre sono state promosse per vari interessi delle potenze occidentali sfruttando le contrapposizioni fra sunniti e sciiti.

Lo scontro sunniti/sciiti con gli anni è cresciuto e si è allargato anche all’Africa del nord, Libano, Iraq, Siria, Yemen ed altri ancora. Dietro tutto questo ci sono dei burattinai che per scopi economici comandano e muovono a loro piacimento i conflitti di questi paesi. Sicuramente gli Stati Uniti e la Francia rappresentano potenze protagoniste di questi conflitti.

Il Medio Oriente, oramai da decenni, è una delle aree di massima tensione al mondo, un vero e proprio campo di battaglia dove si misurano le capacità di potenza di attori regionali quali Israele, Egitto, Iran, Turchia, Arabia Saudita, ma anche potenze mondiali come USA e Russia. A farne le spese sono milioni di persone costrette, per l’instabilità politica, per la violenza e per i continui bombardamenti, a lasciare le proprie case per trovare rifugio altrove o addirittura all’estero, in particolare in Libano, Giordania e Turchia.

E.B.: Esistono delle relazioni fra le sanzioni economiche unilaterali comminate dagli Usa al Venezuela e all'Iran? Hanno influito sul mercato del petrolio e sulle economie di questi due paesi?

Giacomo Cacelli: Il crollo delle quotazioni del petrolio e le forti sanzioni americane in paesi come Iran sono devastanti, il loro sistema sanitario non può fronteggiare l’emergenza coronavirus. In questi Paesi il petrolio paga tutto o quasi: la crisi globale da pandemia potrebbe far fuori vecchi attori e resuscitarne altri, come l’Isis, che sembravano dimenticati.

La realtà venezuelana e quella Iraniana sono sempre state al centro dei calcoli geopolitici ed economici delle potenze neocoloniali, in particolar modo per gli USA. Questi due paesi insieme dispongono di quasi la metà delle riserve di petrolio. Gli USA hanno finto di voler portare loro la democrazia col solo scopo di egemonizzarli. Laddove non hanno potuto mettere in atto l’opzione militare hanno utilizzato l’arma delle sanzioni, uno strumento di ricatto che ha messo in croce il popolo, esposto alla fame e alle malattie.

Quello che succedeva ieri in Iran succede oggi anche in Venezuela. Queste sanzioni mirano ad isolare i paesi impedendo loro di commercializzare il petrolio e bloccando le riserve d'oro depositate nelle banche occidentali. Diviene quindi impossibile garantire cibo e medicinali ai cittadini. Oggi Washington impedisce alle banche e alle aziende USA di fare transazioni commerciali col Venezuela per minarne la stabilità economica, sociale e politica.

13/06/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/f/fc/US_Navy_030402-N-5362A-004_U.S._Army_Sgt._Mark_Phiffer_stands_guard_duty_near_a_burning_oil_well_in_the_Rumaylah_Oil_Fields_in_Southern_Iraq.jpg

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