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Democrazia consiliare e lotta antimperialista. Un’eredità perduta?

Il settantesimo anniversario della liberazione della Cina e i centodieci anni dal sorgere del primo soviet dovrebbero essere al centro della riflessione di chi è ancora interessato a costruire un mondo diverso da quello dominato dal capitalismo e dalla teocrazia.


Democrazia consiliare e lotta antimperialista. Un’eredità perduta?

Il settantesimo anniversario della liberazione della Cina e i centodieci anni dal sorgere del primo soviet, nel corso della rivoluzione russa del 1905, dovrebbero essere al centro della riflessione di chi è ancora interessato a costruire un mondo diverso da quello dominato dal capitalismo e dalla teocrazia. Solo riportando al centro della riflessione e, quindi, dell’azione la lotta all’imperialismo e lo sviluppo di forme di democrazia socialista sarà possibile costruire una reale alternativa alla crisi del capitalismo e al risorgere della barbarie.

di Renato Caputo

Quest’anno ricorrono gli anniversari di due eventi storici decisivi per il mondo contemporaneo: la rivoluzione russa del 1905, in cui per la prima volta si affermarono i consigli dei lavoratori (soviet) e la liberazione nel 1945 della Cina dal dominio coloniale e imperialista. Si tratta di due eventi storici epocali perché hanno aperto la strada ai due avvenimenti decisivi del ventesimo secolo: la sperimentazione della democrazia socialista e l’emancipazione dal colonialismo della quasi totalità dei popoli oppressi della terra, a seguito della epocale sconfitta del tentativo del nazi-fascismo di imporre la schiavitù coloniale a livello globale.

Di questi due epocali eventi è stato giustamente ricordato il secondo, mentre il primo non è stato commemorato praticamente da nessuno. Non si tratta ovviamente dell’aspetto celebrativo di una commemorazione che ci interessa sottolineare, ma del fatto che gli anniversari sono un’occasione importante per riflettere su momenti decisivi della nostra storia, per fare un bilancio critico in funzione del presente e della costruzione del futuro. Così la commemorazione della liberazione della Cina non può che farci riflettere su quanto tale processo di emancipazione sia stato decisivo per un popolo che a metà Ottocento, prima delle guerre dell’Oppio, era ancora fra le massime potenze economiche mondiali, per precipitare in seguito al dominio colonialista e imperialista fra i popoli più poveri e derelitti del mondo. Volendo tracciare un bilancio storico non possiamo che sottolineare come si sia trattato di un passaggio decisivo, non solo perché ha innescato, insieme alla rivoluzione immediatamente successiva, un processo di emancipazione che ha restituito dignità rispetto e benessere al paese più popolato del mondo, ma è servito da stimolo e spesso da sostegno al processo di liberazione nazionale e di lotta a colonialismo e imperialismo che ha liberato nei decenni seguenti gran parte del genere umano.

Bene ha fatto, dunque, la Repubblica popolare cinese a imporre a livello internazionale la riflessione su questo evento con il pieno supporto di tutti i paesi e popoli che sono tutt’ora in campo, a partire dall’America latina, contro le mire dell’imperialismo transnazionale di imporre forme di dominio neocoloniale a livello globale. Non a caso queste ultime potenze hanno generalmente disertato tale commemorazione, cercando in modo occulto di boicottarla e di farla passare inosservata. Anche perché la Repubblica popolare cinese costituisce oggi uno dei principali ostacoli al suo progetto di dominio incondizionato su scala globale. Non a caso le forze militari imperialiste tendono sempre più a concentrarsi e a stringere in una morsa questo paese e la Federazione russa, oltre ad aggredire qualsiasi paese che, per sottrarsi almeno in parte al loro imperio, cerca delle intese con tali paesi.

Tali eventi andrebbero ricordati come momento di riflessione storica in funzione del presente e dell’agire futuro soprattutto dai comunisti, che non a caso sono stati i grandi protagonisti di questi due eccezionali processi di emancipazione. In tal modo sarebbe possibile forse mettere da parte le piccole ambizioni, che hanno portato troppo spesso negli ultimi anni i comunisti a ricercare di ottenere un reddito soddisfacente lavorando nei governi delle potenze imperialiste, persino come ministri, rinunciando così alle grandi ambizioni di voler trasformare radicalmente il mondo. Persino in termini utilitaristici, gli unici che sembrano contare oggi, in un’epoca di completa egemonia liberale, anche per molti dirigenti comunisti tali piccole ambizioni pagano davvero poco. Anche perché le classi dominanti sono disponibili a elargire in forma di reddito una parte del plusvalore estorto ai lavoratori salariati solo a quei dirigenti in grado di controllare e tenere buoni questi ultimi. Tuttavia, è evidente che alla lunga chi svolge la funzione di impiegato del potere che ti domina, sfrutta e impoverisce finisce con il perdere qualsiasi credibilità fra le masse dei subalterni. Al contrario le grandi ambizioni coltivate almeno fino alla metà del secolo scorso dai comunisti, che miravano a liberare dalla subalternità tutti i popoli del mondo e ad abbattere il dominio oppressivo del lavoro morto sul lavoro vivo, sviluppando la democrazia consiliare li avevano portati a conseguire eccezionali risultati. Erano infatti riconosciuti dalla maggioranza degli oppressi e dei subalterni in tutto il mondo come avanguardie necessarie per la loro emancipazione, mentre ora deluse dopo decenni segnati dal prevalere delle piccole ambizioni finiscono per rivolgersi al populismo reazionario del fondamentalismo religioso e della xenofobia.

In effetti non sostenendo più la necessità di sviluppare una forma nuova di direzione politica, fondata sulla democrazia diretta esercitata dal basso dai subalterni, nonostante l’enorme crisi di credibilità del sistema capitalistico l’unica alternativa appare la barbarie (fondamentalista e xenofoba). Ed è proprio quest’ultima, come abbiamo visto ancora in questi giorni dinanzi alla fuga di centinaia di migliaia di persone dal fondamentalismo religioso, a garantire un residuo di credibilità a un regime disumano – come dimostrano le politiche di austerity – e assolutamente inefficiente, come dimostra la drammatica crisi di sovrapproduzione in cui da decenni il modo di produzione capitalista si dibatte. Siamo così al paradosso per cui da una parte le vittime dell’imperialismo europeo e tedesco si ritrovano, per ignoranza e disperazione, a cercare un riscatto dietro le bandiere nere del fondamentalismo, dall’altra le vittime della barbarie teocratica cercano rifugio sventolando le bandiere azzurre dell’imperialismo europeo e marciando con le foto della Merkel. Dinanzi a questa spaventosa tragedia storica alcuni dirigenti sedicenti comunisti del nostro paese non trovano di meglio da fare che inseguire l’alleanza elettorale con un socialiberista che si dice pronto a governare ovunque con il partito oggi al governo, che è il più fiero sostenitore delle politiche di austerità, che alimentano il populismo di destra xenofobo e fondamentalista.

Non è un caso perciò, che mentre l’anniversario della liberazione della Cina ha avuto il giusto risalto, perché funzionale alla Repubblica popolare cinese, dell’anniversario della fondazione dei soviet quasi nessuno pare interessarsi, trovando più attuale ricercare un’intesa con chi chiede di allearsi con il partito del governo che ha cancellato l’articolo 18 e sta finendo di affossare la stessa Costituzione.

D’altra parte, come scrivevamo, tali commemorazioni debbono essere funzionali proprio a un bilancio critico del passato in funzione del presente e ancora di più del futuro. Ora è evidente che purtroppo lo scarso rilievo dato alla questione decisiva della democrazia socialista, ossia alla repubblica dei consigli quale governo dal basso dei lavoratori, non è questione degli ultimi anni. Anzi possiamo ora con il senno del poi tranquillamente sostenere che proprio tale sottovalutazione sia stata una delle cause decisive, se non la principale, del sostanziale fallimento di quasi tutti i pionieristici tentativi di transizione al socialismo inaugurati nel ventesimo secolo, comprese le due grandi rivoluzioni che si sono sviluppate proprio in Russia e Cina a seguito dei grandi eventi su cui stiamo riflettendo.

In effetti ciò che ha più colpito gli storici è che la maggior parte di tali tentativi sono stati rovesciati senza il benché minimo spargimento di sangue. L’imposizione, nei paesi che avevano tentato di costruire il socialismo, di regimi ultra liberisti, spesso dominati da potenze e capitali stranieri e da mafie interne, è avvenuto in modo incredibilmente pacifico proprio perché la grande parte dei lavoratori di quei paesi non solo non riconosceva quei governi, ma aveva difficoltà a considerare come propri gli stessi Stati a “socialismo reale”. Se di tale disaffezione è responsabile anche lo stato di assedio imposto dalla potenze imperialiste, che ha costretto a sviluppare l’industria pesante trascurando la leggera, la mancata partecipazione e identificazione delle masse dei lavoratori con governi e Stati che si definivano socialisti è stata determinante. Certo anche in questo caso un ruolo decisivo è stato svolto dalla guerra fredda e calda imposta dalle potenze imperialiste. Da questo punto di vista risultano del tutto ipocrite, vere e proprie lacrime di coccodrillo, le critiche che ancora oggi rivolgono i sostenitori di tale modo di produzione al mancato sviluppo della democrazia nei paesi in transizione al socialismo.

Tuttavia, considerato che ognuno è in ultima istanza responsabile del proprio destino, è indispensabile che i comunisti tornino a interrogarsi in primis, in funzione del presente e del rilancio nel futuro della transizione al socialismo, sui motivi che hanno impedito ai consigli di funzionare in modo adeguato sviluppando una forma di democrazia più avanzata e diretta di quelle sino a oggi conosciute.

Tanto più che la progressiva crisi degli stessi paesi sorti dalle epiche lotte contro il colonialismo e l’imperialismo nel secolo scorso, che hanno portato in generale a involuzioni e in diversi casi a veri e propri rivolgimenti, interni o indotti dall’esterno, hanno cause in buona parte analoghe. Possiamo, infatti, dire che in generale nei paesi non allineati del cosiddetto terzo mondo, nati da un essenziale movimento anticolonialista e antiimperialista spesso guidato dai comunisti, si sono riprese dal modello socialista forme di pianificazione economica, mentre in generale non si è fatto uno sforzo analogo per sviluppare forme di partecipazione popolare e di governo dal basso. Ciò ha fatto sì che invece di democrazie popolari questi paesi hanno dato vita a forme più o meno avanzate di dispotismo illuminato. Così nel momento in cui i despoti illuminati hanno perso lucidità e hanno fatto aperture tattiche alle potenze imperialiste, depotenziando le forme populiste a assistenziali del cosiddetto stato sociale, hanno perduto quel consenso popolare che per quanto passivo li garantiva dalle aggressioni imperialiste. È evidente che gli stessi paesi sopravvissuti a questi tentativi di rovesciamento interni ed esterni corrono sempre più questo rischio nella misura in cui non procedono a forme di redistribuzione delle ricchezze e di sviluppo del cosiddetto welfare state. È altrettanto evidente che tali paesi non potranno rappresentare nell’immaginario dei subalterni una reale alternativa alla crisi del modo di produzione capitalistico e al risorgere della barbarie xenofoba e teocratica se non saranno in grado di sviluppare forme di democrazia popolare.

19/09/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Renato Caputo
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