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La “soluzione finale” della questione palestinese, e la resistenza di un popolo.

Forse il progetto sionista di cancellare i palestinesi apparentemente andrà in porto, ma otterrà un altro paradossale esito: tutta l’umanità, quella umanità che non vuole rassegnarsi a diventare disumana, è divenuta palestinese. Recensione del libro di  Chris Hedges, Un genocidio annunciato. Storia di sopravvivenza e resistenza nella Palestina occupata, Prefazione di P. Odifreddi, Traduzione di N. Mataldi, Fazi, Roma 2025, XV-221 pp.


La “soluzione finale” della questione palestinese, e la resistenza di un popolo.

Sta crescendo a dismisura la bibliografia sulla “questione palestinese”, che ha ormai, inevitabilmente e giustamente, occupato lo spazio della tradizionale “questione ebraica” (da ricordare sempre le pagine immortali di Karl Marx così intitolate, del 1843 ancora oggi bollate come “antisemite” dai beceri oltranzisti del sionismo). Inchieste giornalistiche, ricostruzioni storiche, analisi politiche, si affollano sugli scaffali. Alcuni titoli sono fondamentali a partire da tutti quelli di Ilan Pappè, naturalmente. Parecchi sono stati pubblicati dall’editore Fazi, che si sta ponendo in luce per una qualificata ed efficace rappresentazione critica degli aspetti più oscuri della nostra contemporaneità globalizzata. In particolare ricordo il libro di Antony Loewenstein, Laboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo, assolutamente sconvolgente, anche se una dozzina d’anni fa il compianto Alfredo Tradardi (fondatore dell’ISM, International Solidarity Movement), con Enrico Bartolomei e Diana Carminati avevano affrontato pionieristicamente il tema con Gaza e l’industria israeliana della violenza (Derive/Approdi). Sempre Fazi pubblica ora Un genocidio annunciato di Chris Hedges, uno dei più validi cronisti, Premio Pulitzer, e, insieme, analista di politica internazionale, scrittore di vaglia, collaboratore di diverse importanti testate giornalistiche. Lodevolmente l’editore aggiunge in Appendice, nella versione italiana, l’ormai famoso

Rapporto delle Nazioni Unite, steso e presentato da Francesca Albanese: Il genocidio come cancellazione colonialeIn particolare ricordo il libro di Antony LoewensteinLaboratorio Palestina. Come Israele esporta la tecnologia dell’occupazione in tutto il mondo, assolutamente sconvolgente, anche se una dozzina d’anni fa il compianto Alfredo Tradardi (fondatore dell’ISM, International Solidarity Movement), con Enrico Bartolomei e Diana Carminati avevano affrontato pionieristicamente il tema con Gaza e l’industria israeliana della violenza (Derive/Approdi). Sempre Fazi pubblica ora Un genocidio annunciato di Chris Hedges, uno dei più validi cronisti, Premio Pulitzer, e, insieme, analista di politica internazionale, scrittore di vaglia, collaboratore di diverse importanti testate giornalistiche. Lodevolmente l’editore aggiunge in Appendice, nella versione italiana, l’ormai famoso Rapporto delle Nazioni Unite, steso e presentato da Francesca Albanese: Il genocidio come cancellazione coloniale


Il libro di Hedges è una lucida ed efficace denuncia di tutto il male rappresentato e gettato sui Palestinesi da Israele, un male che si fatica a raccontare perché ti porta nell’abisso di quell’orrore. Protagonista è una entità statuale, quella sionista-israeliana, tanto piccola quanto potente, guidata da una cricca di psicopatici nichilisti i quali, aggrappandosi a testi sacro-scritturali (Antico Testamento, Talmud, Torah, specialmente, ma interpretati in modo furbescamente scorretto, nascondendo ad esempio le affermazioni reiterate secondo cui un ebreo non può, non deve possedere terra, che è di Dio, e che gli ebrei non sono una nazione, tesi che viene configurata come “blasfemia; infatti migliaia di ebrei ortodossi delle varie correnti sono assolutamente antisionisti) ritengono di avere il “diritto” di occupare terre e case di un popolo già ampiamente disfatto, e sull’orlo dell’estinzione, procurata dalla politica ferocemente sterminazionista di Tel Aviv. Alla quale, va detto, la popolazione nella sua larghissima maggioranza (si stima sulla base degli ultimi sondaggi oltre l’80%) concede un inquietante favore, unita alla sua leadership dal disprezzo verso i Palestinesi e gli arabi in genere, nella perversa convinzione di poter oggi ancora rappresentare il “popolo eletto”, e costruire un percorso esiziale (per i palestinesi) “dal fiume al mare”.  Hedges riesce in questo libro, come e più che nei suoi precedenti, a combinare fredda analisi e sguardo compassionevole verso le vittime, fornendo gli elementi essenziali della necessaria, imprescindibile ricostruzione storica, mostrando la natura radicalmente antinomica del “conflitto”. Scrive, con stile degno di Tacito: “I palestinesi rivogliono la loro terra. Poi parleranno di pace. Gli israeliani vogliono la pace, ma chiedono la terra dei palestinesi” (p. 18). 

L’autore percorre episodi dell’aggressione permanente degli israeliani ai palestinesi, un’autentica scia di sangue, di cui la pubblica opinione non ha contezza.  La lettura di queste pagine è sconvolgente quanto le immagini che ogni giorno la televisione, la Rete, e qualche giornale (pochissimi), ci offrono. Gaza è naturalmente il cuore del racconto ma ci sono anche i Territori Occupati, la cosiddetta Cisgiordania, dove, ci ricorda Hedges, dal 7 ottobre alla stesura del libro dunque diversi mesi or sono, più di mille abitazioni sono state distrutte o confiscate dall’esercito israeliano: i loro proprietari legittimi scacciati, divenuti anch’essi popolo delle tende. Non sono questi crimini orribili? Perché non se ne parla? Certo il massacro quotidiano a Gaza mette in ombra il resto, ma si tratta di un “resto” che dura da oltre tre quarti di secolo e perdura anche adesso, mentre io scrivo e voi leggete. Vi bussano alla porta voi aprite e vi trovate davanti dei mostri bardati di divise e mitra spianato, che, con modi brutali, vi danno mezz'ora per raccattare le vostre cose. Se protestate vi malmenano, ogni tanto vi arrestano o vi uccidono semplicemente. Gli energumeni sono seguiti dai nuovi “proprietari”, branchi di immigrati dai Paesi Baltici, dalla Polonia, dall’Africa, che si siedono ai vostri tavoli e si apprestano a dormire nei vostri letti. 

L’altro scenario è rappresentato dai caterpillar, che arrivano e in una manciata di minuti tirano giù le mura gli arredi, e la vostra stessa vita, distruggendone la memoria, ogni tanto ci scappa il morto. Il caso della militante statunitense Rachel Corrie, schiacciata da un bulldozer, nel 2003, è dolorosamente noto. Quello che il libro ricostruisce è un esproprio continuo, che nel corso dei decenni, dopo la costituzione di questo Stato abusivo chiamato Israele ha rosicchiato, giorno dopo giorno, terra ai palestinesi, rendendo alla fine impossibile la costituzione di quel loro Stato che era previsto nelle risoluzioni ONU 1947-1948 che diedero, in modo assai contrastato peraltro, il via libera alla sua creazione. Ma Israele già sul nascere si estese oltre i confini stabiliti, e nessuno fermò i governanti di Tel Aviv, terroristi che avendo vinto erano diventati statisti. 

Tutto questo come è potuto accadere, come può accadere ogni giorno, ogni ora? Tale la domanda che percorre il libro, e la risposta sta essenzialmente nella gigantesca rete di propaganda, efficientissima, che Israele con l’eterno sostegno USA ha realizzato fin dai suoi esordi statuali. Il libro ci fornisce una serie di esempi che producono stupore e a volte sconvolgimento perché siamo nel regno della fantascienza e della fantapolitica, tanto capillare tanto efficace tanto pronto il sistema di monitoraggio del possibile dissenso internazionale e di compravendita del consenso grazie a un reticolo lobbistico, che trova nelle sedi diplomatiche e sovente in quelle “religiose”, cioè le Comunità israelitiche, i suoi punti di forza palesi in combutta con gruppi di pressione segreti o para-segreti. 

La “lobby” per antonomasia negli USA è quella israeliana che anche quando si trova davanti una opinione pubblica critica o addirittura ostile verso Israele fa sì che vengano continuamente approvate leggi pro-Israele, stanziati fondi in una misura inimmaginabile, che si fa persino fatica a scrivere, trattandosi di milioni di miliardi di dollari. E col trascorrere degli anni le diverse Amministrazioni insediate a Washington hanno perso qualsiasi potere di persuasione, non sono in grado di esercitare un ruolo di mediatore, o di facilitatore di dialogo con il mondo arabo. Ormai da decenni è Tel Aviv che dispone e Washington ubbidisce. La forza israeliana oltre che nelle armi (di cui è debitrice sempre agli USA) e nelle strutture lobbistiche, sta anche nella ideologia vittimistica: loro, gli ebrei, di cui lo Stato israeliano dovrebbe essere il centro di raccolta mondiale, giocano immancabilmente la parte delle vittime. Loro sono vittime anche quando rubano imprigionano violentano ammazzano distruggono, a loro tutto è concesso, in quanto appunto, sono vittime, sono anzi le vittime per antonomasia, per eccellenza. È come se la storia dicesse per loro conto: “non avrai altra vittima all’infuori di me”. 

Quello che il libro ci fa capire che la devastazione di Gaza, lo sterminio dei suoi abitanti, il progetto di annessione delle terre palestinesi, non nascono dal nulla e non hanno a che fare con la vicenda del 7 ottobre 2023; quello è stato il magnifico pretesto per compiere una decisa, terribile accelerazione del progetto di cancellazione di un popolo, senza badare ai mezzi ma soltanto all’obiettivo: distruggere e impadronirsi per fare ancora una volta spazio ai coloni ebrei, rivendere a lotti quella lingua di terra, insediare villette, palazzi con piscine, impianti, strutture istituzionali dei nuovi padroni. Il “Piano Gaza”, con i lucrosi affari che promette – su cui gli avvoltoi occidentali, ma anche qualche arabo, stanno da tempo volteggiando, pronti a godere dei benefici della guerra.  Ma Hedges avverte, e non si può che dargli ragione (lo sto scrivendo da molto prima del 7 ottobre), che le conseguenze saranno ancora più catastrofiche per Israele, insomma sarà una classica vittoria di Pirro. Scrive Hedges: “Nel momento in cui Israele porterà a termine la distruzione di Gaza avrà segnato la propria condanna a morte. La sua facciata di civiltà, il suo decantato presunto rispetto dello Stato di diritto e della democrazia, la sua narrazione mitica del coraggioso esercito israeliano e della nascita miracolosa della nazione ebraica –che così bene ha saputo vendere alle opinioni pubbliche occidentali – si ridurranno a un cumulo di cenere Il capitale sociale di Israele sarà andato in fumo. Verrà rivelato il volto – brutto, repressivo e pieno di odio – del regime di apartheid che è sempre stato, facendogli perdere il sostegno delle giovani generazioni di ebrei americani. […] Una volta che la sua strage di massa sarà completata Israele diventerà un dispotismo una nazione stagnante la cui vita pubblica sarà dominata da fanatici religiosi e integralisti. Entrerà a far parte del club dei regimi più retrogradi e disprezzati del mondo” (pp. 73-74). 

In realtà io penso che sia già così. La strage degli innocenti a Gaza, l’oscena pratica di sopraffazione dei palestinesi della Cisgiordania, con quotidiani arresti illegittimi, e detenzioni arbitrarie, furti e distruzioni di abitazioni orti e uliveti, ha generato un odio profondo quanto diffuso, che cresce in forza e intensità giorno dopo giorno, e si tratta di un sentimento che colpisce gli israeliani tutti non solo i loro governanti e talvolta si tramuta in odio per tutti gli ebrei paradossale risultato della politica di “difesa” ! In realtà, sotto tutte le giustificazioni che vengono ripetute dai sionisti e dai loro innumerevoli propagandisti, la verità definitiva che Hedges scolpisce con parole indelebili: “Israele cerca di cancellare non solo i palestinesi ma proprio l’idea di Palestina” (p. 92). Ma egli ci invita a un’ultima riflessione: “Il volto coloniale distorto di Israele rispecchia il nostro stesso volto in Occidente. Ci attribuiamo virtù e qualità civilizzatrici che sono, come in Israele, giustificazioni inconsistenti per spogliare e privare popolazioni occupate e assediate dei loro diritti, portandogli via la terra e ricorrendo alla protratta prigionia, alle torture, alle umiliazioni, alla povertà forzata e agli assassinii per tenerle soggiogate” (p. 92). E ancora più nitidamente, risolutivamente, ecco la sentenza di Hedges che non possiamo non sottoscrivere: “Il nostro passato, compreso il passato recente in Medio Oriente, si basa sull’idea di sottomettere o cancellare le razze ‘inferiori’ della Terra” (p. 93).

Israele è la nostra longa manus, e la Shoa, le persecuzioni e l’antisemitismo non sono ormai che una foglia di fico per celare questa verità. Ma il mondo se n’è avveduto. E forse il progetto di cancellare i palestinesi apparentemente andrà in porto, ma otterrà un altro paradossale esito: tutta l’umanità, quella umanità che non vuole rassegnarsi a diventare disumana, è divenuta palestinese. E davvero mille fuochi di solidarietà, di sostegno, all’insegna non solo di una concordanza politica ma altresì di una forte empatia verso un popolo martoriato si sono accesi nell’intero globo terrestre. Senza dimenticare che in realtà, a dispetto dello sforzo genocidario di Israele, i Palestinesi resistono, e Hedges fornisce un campionario di casi, che sono innanzi tutto di strategie di sopravvivenza, e però anche di resistenza. Aggiungo, che ogni volta che riescono, i Palestinesi in grado di reggere armi e usarla, contrattaccano, provocano danni al nemico, che naturalmente li nasconde all’opinione pubblica interna e internazionale. Quanti sono i membri dell’IDF caduti? Sembra un migliaio, almeno. L’attacco di terra iniziato qualche giorno fa, infame tentativo di realizzare una vera e propria endlösung della “questione palestinese”, non sarà una passeggiata per “l’esercito più morale del mondo”, i cui membri sono forti quando bombardano da 2-3000 piedi di altitudine, ma quando scendono sul terreno non reggono il confronto con i militanti armati dei gruppi di resistenza. E questo deve darci speranza, perché la fine dello sterminio si potrà avere in primo luogo grazie ai palestinesi; noi di lontano dobbiamo e possiamo aiutarli in ogni modo, anche e in primo luogo tentando di attivare un intervento armato sotto egida ONU. Le condizioni ci sono e non possiamo non percorrere anche questa via, pur consapevoli che i primi attori del processo di liberazione devono essere e saranno i Palestinesi.

27/09/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Angelo D'Orsi
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