Un mondo in guerra

Nel conflitto mondiale tra i Paesi imperialisti occidentali e il variegato fronte dei BRICS emerge la necessità di una proposta politica autonoma dei sostenitori del socialismo e dell'emancipazione dell'umanità.


Un mondo in guerra Credits: https://www.visionofhumanity.org

Il primo a parlarne è stato Francesco nel 2014, quando utilizzò l'espressione “Guerra mondiale a pezzi”. Oggi però è più giusto parlare, invece, di un mondo in guerra. I due conflitti paralleli in Ucraina (e in Russia) e a Gaza (e in Israele, ma anche in Cisgiordania) fanno intravedere due campi avversi e armati l'uno contro l'altro. 

Uno è il campo imperialista che racchiude l'Occidente spinto sul campo di battaglia dagli Stati Uniti e alleato ai paesi dell'UE, al Giappone e a una serie di realtà coloniali o post-coloniali come Israele o Taiwan.

Dall'altro spicca il profilo di un campo oggettivamente antimperialista, ma con enormi difficoltà a interpretare questo ruolo da un punto di vista soggettivo: ovvero con un progetto comune di alternativa per il futuro comune dell'umanità.

L'imperialismo

Il campo occidentale è pervaso da tensioni interne, tutte derivanti dai nodi irrisolti del passato, aggravati dalla crescente difficoltà alla valorizzazione dei grandi capitali, all'estrazione di plusvalore, alla redistribuzione parziale dei profitti alle aristocrazie operaie in modo da formare nei vari Paesi adeguati cuscinetti ammortizzatori che evitino la ripresa del conflitto di classe dal basso (dall'alto infatti non si è mai fermato).

In questo contesto, le bolle finanziarie e immobiliari (2007), si alternano alle spese militari e alle relative avventure (Afghanistan 2001, Iraq 2003,  guerra civile siriana 2011, intervento militare contro lo Stato islamico 2014, conflitto russo-ucraino a partire dal 2014 e ora anche il riemergere dello scontro israelo-palestinese) e alla gestione capitalistica della pandemia da Covid-19, con gli enormi profitti per le multinazionali farmaceutiche nel contesto di una generale depressione economica (su questo aspetto si consulti il bel libro di Alessandro Bartoloni, Critica marxista della vaccinazione COVID, Transeuropa, 2023).

Gli Stati Uniti sono l'epicentro di questo coagulo di conflitti irrisolti di classe, di razza, e di genere come dimostrano nel corso del tempo da una parte i movimenti progressisti quali “Occupy Wall Street” (2011), “Black lives matter” (2013) e dall'altra il trumpismo con l'assalto a Capitol Hill (6 gennaio 2021). Tuttavia, le rivolte nelle banlieu francesi (2005 e 2023) e lo stesso imperversare degli episodi terroristici di matrice isalamista dimostrano che nemmeno il Vecchio Continente è pacificato.

I rapporti tra le classi nelle società del campo occidentale forniscono una potente spinta oggettiva a politiche sempre più favorevoli al colonialismo interno ed esterno a questi Paesi, al militarismo e al razzismo. Tutti ciò anche contro gli apparenti interessi economici dei singoli Paesi: ad esempio l'Europa e l'Italia in particolare non hanno alcun interesse economico diretto a sostenere l'Ucraina nel conflitto con la Russia, ma lo fanno comunque facendo pagare il prezzo alle proprie classi lavoratrici attraverso l'inflazione. La spiegazione di questo atteggiamento è rintracciabile nel grado di integrazione del capitale nordamericano e di quello europeo: sta di fatto che oltre il 40% degli scambi mondiali avviene tra USA e Unione Europea.

In questo campo, la spinta al colonialismo rappresenta per il grande capitale l'unica alternativa alla disgregazione. Il colonialismo non ha soltanto una dimensione “esterna” di aggressione alle risorse di altri popoli, ma anche “interna” come assalto a ciò che rimane dei “beni comuni” (acqua, aria) e del salario indiretto delle classi lavoratrici (pensioni, salute, cultura, risorse naturali in quanto scambio organico tra uomo e natura).

Il campo antimperialista

C'è però anche chi dice no sul piano internazionale alle mire di conservazione dell'egemonia occidentale e statunitense in particolare, ben rappresentata dal signoraggio del dollaro. Si tratta del sempre più vasto campo dei BRICS (originariamente Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) e che ora ingloba anche Paesi come l'Iran e perfino la rivale Arabia Saudita. Questo settore persegue anche l'obiettivo di creare una propria moneta di scambio che assesterebbe un colpo devastante alla posizione ancora dominante degli USA nello scenario finanziario internazionale.

Il limite del campo antimperialista è rappresentato dall'assenza di un autentico progetto globale per l'umanità alternativo al feroce declino dell'imperialismo occidentale. Questi Paesi, di fatto, hanno un unico, e peraltro robusto, collante rappresentato dall'aggressività del campo occidentale che li induce a sorvolare sulle reciproche differenze (e diffidenze) per la difesa dal comune avversario.

Ma quello che vale per la negazione, ha difficoltà a divenire realtà positiva.

Inoltre, alcuni di questi Paesi come la Russia o l'Iran sono guidati da forze conservatrici che non possono dare alcuna garanzia di un futuro migliore ai propri popoli. L'Iran, in particolare, è guidato da una teocrazia apertamente in guerra con alcuni settori di massa della propria società (donne, minoranze etniche, masse giovanili), il che la rende una società di fatto instabile. Un altro esempio è rappresentato dal Myanmar dove la sanguinaria dittatura militare è in aperto conflitto con una parte rilevante della società e non ha neppure più il monopolio del potere delle armi.

L'assenza di un soggetto politico internazionale che rappresenti gli interessi e le speranze delle classi lavoratrici del mondo impone un limite e una fragilità enorme alla battaglia contro l'imperialismo, in quanto le bandiere del nazionalismo o dell'integralismo religioso non esercitano alcun fascino e non offrono alcun progetto di emancipazione al complesso delle masse popolari occidentali, fornendo di fatto un ausilio al loro ricompattamento sotto le insegne dell'imperialismo.

Per questo è necessario che la proposta politica dei comunisti, nella difesa necessaria di ogni Paese e popolo vittima delle aggressioni e delle provocazioni imperialiste, assuma però un profilo autonomo innalzando le bandiere della pace, dei diritti delle minoranze di genere e nazionali con un chiaro progetto progressista, democratico, laico, fomentatore di partecipazione dal basso.

L'Italia

Anche il nostro Paese soffre dell'assenza di un partito della classe lavoratrice (comunista) e di un fronte unitario progressista. I comunisti continuano a essere dispersi in mille sette diverse che si guardano in cagnesco. Ma nessun progetto unitario nascerà da una fusione a freddo tra queste sigle o, peggio ancora, tra alcune di queste sigle.

L'unità di un soggetto di classe può nascere solo nel fuoco di un ritrovato protagonismo delle masse popolari, di una battaglia unitaria per la riconquista dei molti diritti perduti.

Il recente sciopero generale della Uil e della Cgil ha dimostrato l'esistenza di un mondo del lavoro sofferente dal punto di vista del salario e delle condizioni complessive di esistenza (sicurezza sul lavoro) composto da donne di origine straniera, da precari di ogni tipo, da famiglie di fatto, ma soprattutto monoreddito, del tutto ostili alla retorica sciovinista e fintamente patriottica del governo in carica.

Queste persone sono un grande patrimonio per la sinistra di classe che per intercettarle, per mobilitarle, semplicemente per parlare con loro deve riscoprire un nuovo alfabeto e nuove (vecchie) bandiere che abbandonino il settarismo e il culto del proprio orticello.

Queste lavoratrici e lavoratori hanno bisogno di riconoscersi in una indicazione semplice di lotta radicale per la pace che dica loro che le vittime della guerra ci sono anche da noi perché il volto dei conflitti e delle spese militari nel nostro Paese si chiama inflazione, si chiama riduzione di fatto degli investimenti nel servizio sanitario nazionale e nella scuola.

La sinistra di classe torni a fare politica, impiegando anche (ma non soprattutto) i prossimi appuntamenti elettorali. In questo Paese c'è un intero popolo che non può aspettare in eterno e c'è un mondo in guerra che bisogna evitare che vada in pezzi. 

 

05/01/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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