Il 24 luglio si è tenuta un’interessante iniziativa nell’aia di Corte Torcolo a Cavaion Veronese, in provincia di Verona, nella serata di apertura dell’Art&Sound Festival organizzato da Liberamente. In quell’occasione il Festival ha ospitato la Pastasciutta Antifascista, promossa dall’ANPI sezione Basso Garda. Ogni anno, in centinaia di località italiane le sezioni ANPI promuovono la Pastasciutta Antifascista per ricordare la pastasciutta offerta dai Fratelli Cervi, il 25 luglio 1943, agli abitanti di Campegine per festeggiare la destituzione di Mussolini. Con questo gesto semplice: offrire un piatto di pasta, i Fratelli Cervi vollero festeggiare la fine della dittatura e l’inizio della Liberazione.
Il festeggiamento di quell’atto simbolico è stato affiancato alla presentazione del libro “Pop Palestine. Viaggio nella cucina popolare palestinese” della chef palestinese Fidaa I A Abuhamdiya e di Silvia Chiarantini. L’ANPI locale in questo modo ha voluto ricordare la Resistenza antifascista mettendola in connessione con la resistenza attuale del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana. Come traspare dal titolo, il libro ci conduce nei contesti popolari, sociali e storici dove sono nate e ancora si trasmettono le ricette della cucina palestinese presentate. Il libro, quindi, racconta anche la vita e la cultura palestinese, evidenziando la brutalità dell’occupazione israeliana nella vita quotidiana.
All’iniziativa ha partecipato, oltre alla chef palestinese Fidaa, il giornalista Michele Giorgio, in collegamento da Gerusalemme, il quale ha contribuito con le sue riflessioni a dare un indirizzo più politico all’iniziativa. È importante ricordare che la chef Fidaa ha ribadito di sentirsi a disagio a parlare di cucina, mentre il suo popolo è affamato a Gaza da Israele, che sta usando il cibo come arma contro i palestinesi. Questo è senz’altro uno degli aspetti più brutali della guerra contro Gaza. La consegna dei viveri è militarizzata dall’occupante ed è usata come arma per dividere tra di loro i palestinesi costretti a lottare per accaparrarsi un po’ di cibo, spesso sotto i colpi dei soldati israeliani. La carestia incrementa le morti di civili provocate dai bombardamenti. Il chiaro intento è quello di far emigrare un popolo che si ostina a non voler abbandonare la propria terra.
Era presente anche l’artista palestinese originaria di Gaza Ola al Shrif che esponeva alcune sue opere. A chiusura del dibattito la pittrice gazawi, che a causa del conflitto ha dovuto abbandonare la città, ha testimoniato come la guerra stia profondamente influenzando la sua produzione artistica, in cui esprime i sentimenti nati dalle sue esperienze di vita durante il conflitto a Gaza. Durante l’iniziativa i relatori e il pubblico hanno fatto riferimento alla situazione attuale in Palestina. Parlando della cultura palestinese, nello specifico della cucina, si è parlato dell’oppressione di questo popolo da parte dell’occupante israeliano. Oppressione che a Gaza ha assunto gli elementi caratteristici del genocidio, come giuridicamente riconosciuto e sostenuto anche dalla relatrice speciale ONU Francesca Albanese.
Il libro presentato è in realtà una ristampa del 2024 di un libro del 2016, che prevede un aggiornamento, anche se non recentissimo, sugli avvenimenti di Gaza. Per le ricette dell’enclave palestinese gli autori del libro hanno dovuto ricorrere all’aiuto di una giovane palestinese, Majd, che ha inviato le ricette, non essendo Silvia Chiarantini entrata a Gaza dal 2010. L’ingresso nell’enclave è infatti proibito da parte degli occupanti dal 2013, ovvero da molto prima degli avvenimenti del 7 ottobre 2023.
Durante la presentazione Fidaa ha illustrato alcuni cibi e ricette relazionandoli alla cultura palestinese. Emblematico è il caso del cocomero, di come questo frutto prima degli accordi di Oslo, essendo fino ad allora proibito ai palestinesi esporre la propria bandiera, simboleggiasse la bandiera palestinese. Il frutto ha infatti gli stessi colori della bandiera palestinese: il rosso e il bianco della polpa, il verde della buccia e il nero dei semi. Per questo il cocomero veniva alzato dai palestinesi con l’intento di mimare l’esposizione della propria bandiera. Oppure l’Adas wa Reqaq, ovvero lenticchie e sfoglia, piatto che si cucinava in Palestina fin dal tempo degli Amorrei quando veniva soddisfatto un desiderio, offrendolo in grandi quantità a parenti e amici. Prepararlo “per tutta la Palestina” è il desiderio di Suaad Al-Natsheh, nata a Hebron nel 1937 e vittima della Nabka, il giorno in cui ci sarà la Liberazione della propria terra.
Durante la presentazione del libro si è parlato dello za’atar, una miscela di spezie, a predominanza di timo, mangiata a colazione con pane e olio. I palestinesi ritengono che questa spezia renda più intelligenti e Fidaa la usava in grandi quantità quando studiava per gli esami a Padova. Gli israeliani hanno proibito dal 1977 ai palestinesi la raccolta del timo, considerandola una specie protetta. Con i terreni confiscati ai palestinesi i coloni israeliani hanno coltivato il timo producendo lo za’atar, che hanno proclamato una spezia israeliana. In questo modo gli occupanti si sono appropriati di una parte della cultura degli occupati, con l’intento di cancellarla dalla memoria collettiva. La rimozione dell’identità di un popolo passa anche per la cancellazione della cultura. In questo modo il colonialismo d’insediamento israeliano si appropria della cucina palestinese con l’intento di cancellare il popolo palestinese non solo fisicamente, cacciandolo dai territori occupati, ma anche culturalmente. Un domani, non essendoci più portatori della memoria collettiva, queste ricette e questa cultura saranno sempre state israeliane.
La cultura nazionale di un popolo non è solo un insieme di opere artistiche e letterarie, ma un insieme più ampio di pratiche, valori e idee che costituiscono il senso comune di quel popolo formandone l’identità collettiva. La cucina, con gli aspetti folkloristici a essa connessi, fa parte della cultura nazionale. La cultura nazionale palestinese, come ogni cultura nazionale, non è processo statico ma dinamico, soggetto a, mutazioni e possibile di rimozioni. I colonialisti per questo cercano di sussumere alcuni aspetti della cultura palestinese nella cultura israeliana, arrestano gli intellettuali cercando di colpirne la produzione letteraria e di impedirne il ruolo fondamentale per la coesione palestinese nel processo di Liberazione nazionale. Non è un caso che per gli israeliani i palestinesi sono arabi, non palestinesi, in questo modo è negata la loro identità nazionale e la possibilità di uno stato di Palestina.