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Per un bilancio del 2025 atto a rilanciare la lotta alla guerra imperialista e al bonapartismo

La crisi di sovrapproduzione porta chi vuole far sopravvivere il capitalismo alla guerra imperialista e al cesarismo regressivo. Gli anticorpi nella capacità di mobilitazione spontanea delle masse non paiono mancare. Occorre, dunque, sviluppare la capacità di dare a tali segnali di insofferenza dal basso una direzione consapevole.


Per un bilancio del 2025 atto a rilanciare la lotta alla guerra imperialista e al bonapartismo

Il 2025 ha visto un generale aggravarsi della crisi di sovrapproduzione che colpisce tutti i  Paesi a capitalismo maturo, in primo luogo gli Stati    Uniti, sempre più in deficit, in secondo luogo la Germania, locomotiva economica dell’Unione Europea in recessione, in terzo luogo l’economia italiana di fatto anch’essa in recessione e con un processo sempre più preoccupante di deindustrializzazione, in cui cresce solo il numero degli occupati, in quanto abbiamo ormai l’età pensionabile fra le più alte del mondo. L’economia mondiale non è in crisi grazie ai  Paesi in cui non è ancora maturo il capitalismo,  Paesi nei quali vi sono significativi elementi di pianificazione e di capitalismo di Stato, forma intermedia fra il capitalismo e il socialismo.

Chi vuole mantenere il modo di produzione capitalistico nonostante sia ormai un freno per lo sviluppo delle forze produttive non può che cercare di scaricare all’estero e sui ceti sociali più deboli il costo della crisi. A questo scopo porta avanti un’economia di guerra volta all’escalation della guerra mondiale a pezzetti già in atto. La militarizzazione ha dei necessari risvolti che dalla struttura economica si riverberano nelle sovrastrutture sociali, politiche, giuridiche, culturali, etc. Vi è dunque una tendenza sempre più globalizzata a forme di bonapartismo regressivo in tutti i  Paesi capitalisti.

Lo scontro in atto fra il partito imperialista progressista, liberale o liberaldemocratico e il partito imperialista reazionario – scontro che può portare Stati capitalisti sull’orlo della guerra civile, come abbiamo recentemente visto negli Stati Uniti o in Brasile – è solo sulle modalità della conduzione della guerra imperialista e sulla tipologia di cesarismo regressivo. L’imperialismo liberal-democratico deve giustificare ideologicamente per mantenere l’egemonia sul proprio elettorato le politiche di riarmo volte a implementare la guerra imperialista come operazioni di polizia internazionale, guerre umanitarie, volte a esportare la democrazia e a contrastare il totalitarismo. Ha inoltre bisogno di mantenere la forma liberaldemocratica pur portando avanti di fatto la prospettiva bonapartista, che cerca di giustificare come se si trattasse di un cesarismo progressivo.

Il partito reazionario – dopo le recenti affermazioni elettorali, per citare solo i casi principali in Usa, Giappone, Italia, Indonesia, Filippine, Cile, Argentina, Ungheria, Repubblica ceca etc. e divenuto primo partito nei sondaggi anche in Francia, Germania e Regno Unito – porta avanti senza bisogno di mistificazioni ideologiche le medesime politiche di riarmo, di guerra imperialista e di bonapartismo regressivo.

Lo scontro fra i due partiti, in particolare quello reazionario statunitense e quello liberale ancora predominante nella maggioranza dell’Unione europea a trazione franco tedesca ha reso evidenti anche sul piano sovrastrutturale le tendenze al conflitto inter-imperialista già presenti sul piano strutturale in particolare fra il blocco capeggiato dagli Usa e quello diretto dai “volenterosi”.

Tali contraddizioni favoriscono le forze antimperialiste anche sul piano sovrastrutturale del conflitto ideologico, in quanto fanno perdere credibilità alle prospettive revisioniste neokautskiane che prima della nuova affermazione di Trump blateravano di un superimperialismo a guida statunitense di cui anche le grandi potenze dell’Unione europea sarebbero divenute dei semplici vassalli, tanto che ci si illudeva che fosse indispensabile battersi per emancipare tali potenze, come se una volta entrare in contraddizione con l’imperialismo statunitense divenissero necessariamente progressiste. Mentre, al di là delle forme, l’imperialismo dei volenterosi quando si tratta dei propri interessi è pronto a scavalcare a destra gli Usa della presidenza Trump, in tale modo accrescendo sensibilmente il rischio di una guerra anche nucleare con la Russia.

Proprio a questo riguardo l’anno che si è concluso ha fatto segnare il momento in cui più ci si è avvicinati a una guerra atomica che rischia di portare all’estinzione del genere umano. Allo stesso modo nel 2025, complice anche il rafforzarsi della componente più reazionaria dell’imperialismo, sono venute meno anche quelle misure che erano state assunte per rallentare il rischio di estinzione del genere umano prodotto dal capitalismo, che porta all’autodistruzione dell’ambiente naturale indispensabile alla sopravvivenza della nostra specie.

Dunque ostinarsi a voler mantenere come dominante il modo di produzione capitalistico non solo impedisce l’ulteriore sviluppo delle forze produttive, ma mette sempre più a rischio la sopravvivenza stessa del genere umano. D’altra parte, sebbene nel 2025 siano ulteriormente maturate le potenzialità di una rivoluzione socialista, quanto meno nei  Paesi in cui il capitalismo – giunto alla sua fase imperialista – non ha più nulla da offrire, non sembrano essere cresciute le capacità soggettive, anche se non è da escludere la possibilità che ci sia una crescita quantitativa sotto traccia, in quanto non ha ancora prodotto un significativo rivolgimento qualitativo.

Come è noto la nostra epoca della guerra imperialista è anche l’era della rivoluzione socialista. Gli spaventosi effetti della guerra imperialista portano gli oppressi alla consapevolezza che in un processo rivoluzionario non avrebbero niente altro da perdere che le loro catene. Non a caso le più significative rivoluzioni del mondo contemporaneo sono nate dalla reazione alla prima guerra mondiale la rivoluzione d’Ottobre, alla seconda guerra mondiale la rivoluzione in Cina. Non è un caso che anche nel nostro  Paese si è arrivati più vicini alla rivoluzione con il biennio rosso, a seguito della Prima guerra mondiale, e con la resistenza sviluppatasi durante la Seconda guerra.

Anche perché nel corso della guerra i proletari imparano a combattere insieme in modo disciplinato, hanno le armi e le capacità necessarie al loro utilizzo, hanno costantemente rischiato la vita e contribuito a togliere la vita a soldati del fronte avverso. D’altra parte, in nessuno dei tanti eserciti impegnato oggi in combattimento sembra farsi significativamente strada la prospettiva di rovesciare la guerra imperialista, dopo aver fatto di tutto per impedirla, in una guerra sociale rivoluzionaria.

Certo, come è noto, nei  Paesi moderni, in cui si è sviluppata una significativa società civile, tale decisiva fase della guerra di movimento deve essere preparata da una non breve guerra di posizione per conquistare le casematte indispensabile a mettere in discussione la capacità di egemonia dell’ideologia dominante. Anche da questo punto di vista nella maggioranza dei  Paesi non sono visibili dei significativi avanzamenti, anzi, in generale, pare più probabile che in diversi casi ci sia stato un ulteriore indietreggiamento, cioè dei rapporti di forza ancora più vantaggiosi per gli sfruttatori.

Anche nel presente caso non sembra vi sia una carenza dal punto di vista delle masse degli oppressi. Anche nel 2025 abbiamo assistito a rivolte popolari di massa che hanno rovesciato governi in modo repentino e sostanzialmente imprevedibile o, quanto meno, non significativamente previsto. In diversi  Paesi africani il sostegno attivo o passivo di buona parte delle masse ha reso possibili colpi di Stato militari che hanno reso questi  Paesi indipendenti quanto meno dall’imperialismo che li aveva storicamente dominati, nello specifico l’imperialismo francese.

Anche la capacità di resistenza dei popoli nei  Paesi aggrediti nel corso dell’anno dall’imperialismo sionista è stata significativa, dalla Striscia di Gaza, alle popolazioni Sciite in Libano, al popolo dello Yemen del nord, fino al popolo iraniano. In tutti questi casi i terrificanti bombardamenti sionisti, resi possibili dal sostegno dei  Paesi imperialisti, non hanno creato né azioni di contrasto alle forze della resistenza, né hanno portato la popolazione a cedere alle pressioni anche genocidarie alla pulizia etnica.

Quello che è mancato in quasi tutti questi casi è stata la direzione consapevole da parte di una soggettività rivoluzionaria. Nei rari casi in cui c’è stata come in Sri Lanka, lo spontaneismo delle rivolte popolari ha aperto la strada ai comunisti rivoluzionari che hanno avuto la maggioranza assoluta anche in parlamento e in tutte le regioni del  Paese tranne una.

Per quanto riguarda l’Italia, nonostante da tre anni governi la componente reazionaria del partito dell’imperialismo, non solo la sinistra radicale in cui prevale il settarismo è rimasta al palo, ma anche la sinistra moderata non è riuscita e, in buona, parte non ha voluto mettere seriamente in difficoltà il governo. Anche dal punto di vista sociale i sindacati non sono riusciti a creare una opposizione di massa in grado di bloccare in modo significativo le politiche antipopolari del governo.

Ciò nonostante anche in Italia non sono mancate significative mobilitazioni di massa spontanee prima fra tutti i magnifici scioperi internazionalisti contro il genocidio del popolo palestinese, che hanno riempito le piazze con manifestazioni oceaniche nonostante che nessuna forza politica e sindacale significativa si sia realmente impegnata nel cercare di dare una direzione consapevole a tale spontanea espressione della volontà popolare di lotta.

In prospettiva sia a livello nazionale che internazionale – in primo luogo nei  Paesi a capitalismo maturo, dove ci sarebbero tutte le condizioni necessarie per costruire una società socialista, unica reale alternativa alla crisi della società capitalista – bisognerebbe cercare di dare una direzione consapevole alle masse degli sfruttati e, più in generale, degli oppressi nella mobilitazione contro la guerra imperialista e contro le derive bonapartiste delle società capitaliste. Da questo punto di vista potrebbe essere decisamente importante la lotta contro il riarmo, che sottende sia la lotta alla guerra imperialista – alla quale il riarmo inevitabilmente conduce – sia la lotta alle forze politiche che ne sono interpreti e che sono le medesime che muovono nella direzione del bonapartismo regressivo.

26/12/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo
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