Questo Labor Day 2018 (3 settembre, ndT) segna ancora un altro anno di declino degli standard di vita per i lavoratori americani. Se si dovesse credere ai media e alla stampa, però, l'aumento dei salari smentirebbe questa affermazione. Il Wall Street Journal, il primo agosto 2018, ha strombazzato: "I lavoratori degli Stati Uniti ottengono il più grande aumento di stipendio in quasi dieci anni". Ma ecco perché quella storia mediatica è un travisamento della realtà.
Il  calo della quota di reddito del lavoro
  
  Se i salari  stavano salendo, perché la quota del lavoro sul reddito nazionale  totale ha continuato a diminuire per quasi 20 anni, compreso  quest’ultimo anno? Corrispondente a circa il 64% del reddito  nazionale totale nel 2000, la quota salari è costantemente crollata  a circa il 56% dell'attuale reddito nazionale che oggi ammonta a  circa 16 trilioni di dollari. Questo declino non è stato solo il  risultato della grande recessione del 2008-09; la metà è avvenuta  tra il 2000 e il 2008. Quindi si tratta di una tendenza di lungo  termine, radicata nel sistema capitalista statunitense del XXI secolo  di oggi e non un fenomeno recente.
  
  Un calo dell'8% della  quota di reddito per il lavoro potrebbe non sembrare molto in termini  percentuali. Ma l'8% di 16 miliardi di $ è poco meno di 1.5 trilioni  di $ all'anno. In altre parole, i lavoratori hanno perso 1,5  miliardi di $ nel solo 2017-18; se la loro quota fosse rimasta al  64%, avrebbero in tasca 1.5 trilioni di $ in più di quanto non  abbiano ora. Quel 1,5 trilioni di $ di declino della “quota del  lavoro” rappresenta una perdita di almeno 8.000 $ all'anno o più  per lavoratore. Ma l’1,5 trilioni di $ è anch’essa una  sottostima.
La  "quota del lavoro", come definita dal governo (Ufficio del  lavoro e del Congresso), comprende gli stipendi dei dirigenti e degli  amministratori delegati, i bonus di fine anno dei banchieri, i  pagamenti forfettari ai dirigenti e altre forme di reddito non  salariale. Il vero reddito da salario – escludendo cioè dirigenti  e lavoratori di supervisione – è un sottoinsieme di questa estesa  definizione ufficiale di “quota lavoro”. Ma se gli stipendi e le  retribuzioni di dirigenti, amministratori e banchieri sono aumentati  rapidamente – cosa che è effettivamente avvenuta – in termini  netti i veri redditi da salario sono scesi addirittura oltre gli 1.5  trilioni di $. Togliendo la quota dei dirigenti e degli  amministratori dalla quota del reddito nazionale spettante al lavoro, la perdita annua per lavoratore con ogni probabilità supererà i  10.000 $.
  
  Ma non è tutto. Anche considerando i  redditi salariali reali dei lavoratori non di dirigenziali e non di  supervisione (circa l'82% della forza-lavoro totale), i guadagni  salariali che si sono verificati sono stati ascritti principalmente  al 10% più ricco delle restanti famiglie della classe lavoratrice -  vale a dire professionisti nei settori tecnologico, dell’assistenza  sanitaria e della finanza, quelli con diplomi universitari avanzati,  ecc. Facendo la media dei guadagni salariali del 10% più ricco della  classe lavoratrice con il resto, i guadagni salariali del 10%  compensano la stagnazione salariale degli altri. La vera stagnazione  e il declino dei salari per il 90% dei lavoratori sono quindi ancora  maggiori. Sono circa 133 milioni lavoratori sui 162 milioni totali.  In altre parole, i 133 milioni di lavoratori hanno perso ancor più  degli 1,5 trilioni di $ di declino della “quota del lavoro”,  escludendo gli aumenti salariali netti del 10% più ricco della  classe lavoratrice. Ciò significa che i 133 milioni hanno perso  anche più di 10.000 $ all'anno ciascuno.
Guadagni  settimanali vs. Stipendi
  
  Le retribuzioni effettive dei  133 milioni sono quindi andate peggio di quanto suggerito dal calo  della “quota del lavoro” - anche dopo l'aggiustamento [di cui  sopra]. Gli stipendi sono molto  inferiori rispetto ai dati della “quota del  lavoro”.
  
  Né i salari sono la stessa cosa dei “guadagni  settimanali dei lavoratori” (workers’ weekly earnings),  che i media spesso chiamano stipendi per sopravvalutare gli aumenti  salariali. Fonti ufficiali del governo indicano che i guadagni  settimanali sono aumentati al tasso annuo del 2,7%. Ma i guadagni  settimanali sono volatili e variano ampiamente a seconda del ciclo  economico, riflettendo le ore lavorate e i secondi lavori. E le  espansioni del ciclo economico dal 2001 sono state brevi e  superficiali. Tuttavia, la stampa e i media spesso, e di proposito,  confondono i salari con guadagni settimanali (o con il reddito  personale) per far sembrare che i guadagni per la classe lavoratrice  americana siano maggiori di quanto non siano in realtà. I dati del  Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti hanno stimato i guadagni  salariali fino al luglio 2018 al 2,5% rispetto ai precedenti 17 mesi,  secondo il Wall St. Journal, e quindi meno del 2,7% stimato per i  guadagni settimanali.
Stipendi:  i numeri reali
  
  Anche considerando correttamente i  salari per i lavoratori non dirigenti e non quadri, le statistiche  ufficiali del governo distorcono ancora al rialzo il quadro reale  anche per quanto riguarda i salari. Questa sovrastima al rialzo è  dovuta in gran parte a cinque cause:
  
  1) riportare i  salari solo per i lavoratori a tempo pieno;
  2) riportare  i salari nominali invece dei salari reali;
  3) ignorare le  richieste di pagamento dei salari futuri dovute al crescente debito  delle famiglie dei lavoratori nel presente e quindi i futuri  pagamenti di interessi;
  4) non considerare il calo delle  "retribuzioni differite" che sono rappresentate nel declino  dei sussidi pensionistici e previdenziali;
  5) prescindere  dal calo delle "retribuzioni sociali" rappresentato dal  calo dei pagamenti reali relativi ai contributi sociali;
  
  1) Mentre i dati ufficiali del governo riportano che i salari orari  stanno salendo ad un tasso annuo del 2,5%, ciò che questa statistica  non menziona è che il 2,5% è solo per i lavoratori a tempo pieno e  indeterminato. In questo modo si escludono gli aumenti salariali  inferiori, o nulli, per gli attuali 40-50 milioni di lavoratori  che non sono a tempo pieno e sono impiegati in quello che a volte  viene chiamato lavoro "contingente" o "precario".
I  loro più bassi guadagni farebbero scendere l’aumento salariale per  la forza-lavoro totale a meno del 2,5%. Un aggiustamento analogo  dovrebbe essere fatto per gli 8 milioni di lavoratori a tempo pieno  che sono diventati disoccupati e le cui "retribuzioni",  sotto forma di sussidi di disoccupazione e buoni alimentari, non  stanno certo aumentando o diminuendo. Aggiungete altri milioni di  lavoratori privi di documenti e ancora milioni di giovani e altri che  lavorano nell'economia "sommersa" (stimata ora al 12% del  PIL USA), il cui stipendio non viene stimato con precisione dalle  statistiche ufficiali salariali del governo, e l’aumento salariale  si riduce ancora di più. Quando vengono apportati aggiustamenti per  includere queste ultime categorie di salariati, e si considerano le  retribuzioni dei lavoratori precari, è la stima di chi scrive che il  vero aumento netto dei salari nominali nell'ultimo anno non sia  superiore all'1,7-2,0% complessivo e più vicino all’1 % per i 133  milioni di lavoratori.
  
  Per riassumere, escludendo gli  stipendi dei dirigenti e dei quadri, escludendo il 10% più ricco  della manodopera salariata, aggiungendo i disoccupati senza salario e  la manodopera clandestina e in nero, il risultato netto anche per il  salario nominale è di gran lunga inferiore al 2,5% ufficiale.
  
  I  guadagni salariali nominali per 133 milioni di lavoratori sono non  più dell’1,5%; ovvero, l'uno per cento in meno rispetto al 2,5%  ufficiale.
2) Il guadagno salariale ufficiale del 2,5% riportato dal governo è  quello che viene chiamato il salario nominale, non il salario reale.  Il salario reale - o quello che i lavoratori possono effettivamente  spendere - è il salario nominale adeguato al tasso di inflazione.  Allora, qual è stato il tasso di inflazione? E quanto è  accurato?
  
  Esistono diversi indici di prezzo in base ai  quali è possibile adeguare i salari: l'indice dei prezzi al consumo  (IPC), l'indice delle spese per consumi personali (PCE) e altri.  Tuttavia, quello riportato più spesso dai media è l’IPC. L'IPC a  metà anno era ufficialmente aumentato del 2,9% rispetto all'anno  precedente. Quindi, se si applica l'IPC al guadagno orario  ufficiale del 2,5%, ciò significa che i salari reali dei lavoratori  sono diminuiti dello 0,4% nell'ultimo anno. (O diminuito  dell’1,4% se si considerano le precedenti rettifiche al salario  nominale).
Ma sia lo 0,4% che l’1,4% sono sottostimati. Ecco perché: l'IPC sottovaluta volutamente il vero tasso di inflazione (e più alto è il tasso di inflazione, più basso è il salario reale). Innanzitutto, attenua l'inflazione di anno in anno calcolando la media dei tassi di inflazione annui mediante la cosiddetta “indicizzazione concatenata”. Inoltre, l'IPC non considera tutti i prezzi, ma un "paniere" degli acquisti più probabili di beni e servizi da parte delle famiglie. Assegna quindi "pesi" agli articoli in questo carrello. Per le famiglie della classe lavoratrice, i pesi dovrebbero essere maggiori per l'alloggio, l'assistenza sanitaria, l'istruzione, l'assicurazione e altre cose essenziali, ma non lo sono. I pesi quindi non riflettono il vero impatto dell'inflazione sulla riduzione dei salari reali.
C'è poi un altro problema. Il Dipartimento del lavoro arbitrariamente ritiene che gli aumenti di qualità di un particolare bene o servizio nel paniere riducano il prezzo per quel prodotto. Il prezzo del prodotto nell'IPC è spesso molto inferiore a quello che una famiglia paga effettivamente sul mercato. Ad esempio, uno studente può pagare 800 $ per un computer portatile per la scuola, ma il Dipartimento del Lavoro lo riporta nell’IPC come solo 500 $ dal momento che presuppone che la qualità di quel laptop sia superiore a un portatile da 800 $ di tre anni fa. Ma questa è una distorsione del prezzo effettivo pagato sul mercato dalla famiglia della classe lavoratrice. L'inflazione è sottostimata. Un altro problema nell'IPC è la propensione del governo a sottostimare i prezzi degli acquisti online da parte delle famiglie.
Queste  supposizioni arbitrarie introdotte nell’IPC servono a diminuire il  tasso effettivo di inflazione. E se l'IPC è sottostimato, il  guadagno sul salario reale è stimato più alto di quello che è in  realtà. Il vero tasso di inflazione è quindi indubbiamente  superiore al 2,9% ufficiale e, di conseguenza, i salari reali sono  addirittura inferiori a quelli ufficialmente segnalati.
  
  Mentre  gli economisti mainstream in genere sostengono che le famiglie non  sanno realmente quanto l'inflazione stia davvero aumentando, la  verità è che lo sanno molto meglio degli economisti che fanno  affidamento su stime statistiche del governo scorrette e arbitrarie  sull'inflazione. Chiedete a qualsiasi lavoratore della classe  lavoratrice se i prezzi sono aumentati solo del 2,9% l'anno scorso,  quando i costi dell'affitto stanno salendo rapidamente (spesso a  tassi a due cifre), i premi dell'assicurazione sanitaria e i costi di  detraibilità e di rimborso del medico ospedaliero stanno aumentando  del 20-50%, per non parlare dell'assicurazione auto, dei costi della  benzina in forte aumento nell'ultimo anno, istruzione, trasporti,  ecc. E negli ultimi sei mesi, i prezzi hanno cominciato a salire  ancora più diffusamente, dato che una vasta gamma di prezzi vengono  aumentati dalle aziende statunitensi in previsione degli effetti  delle guerre tariffarie di Trump.
  
  Con l'inflazione  ufficiale IPC al 2,9% e le retribuzioni nominali ufficiali al 2,5%,  la differenza salariale – stando ai dati governativi - è del  -0,4%. (…) Ma quel salario reale (…) non tiene conto delle  correzioni al salario nominale di cui al punto 1), cioè l’esclusione  degli gli stipendi dei dirigenti e quadri, per includere le  retribuzioni dei lavoratori temporanei e part-time, includendo gli  stipendi persi dei disoccupati e la manodopera clandestina e  sotterranea, ecc. Tali adeguamenti ridurrebbero il salario nominale  dal 2,5% all’1,5%.
  
  Quando questi aggiustamenti al  ribasso sono fatti al salario nominale ufficiale del 2,5%  (riducendolo all'1,5%), combinato con un aggiustamento al rialzo del  tasso di inflazione IPC al 3,5% (dal 2,9%), ciò che risulta è un  declino dei salari reali del 2,0 % per i 133 milioni di  lavoratori.
  
  I media e la stampa riportano che i salari  reali hanno ristagnato lo scorso anno. I guadagni nominali dei salari  sono stati all'incirca pari al tasso di inflazione. Ma stimando  correttamente i salari nominali (con gli aggiustamenti) e stimando  adeguatamente un tasso di IPC leggermente superiore, i salari reali  non sono rimasti stagnanti ma hanno continuato a diminuire, almeno  per i 133 milioni di lavoratori.
  
  Ma la "storia dei  salari" non è ancora completa, anche quando si definiscono e si  adattano correttamente i salari nominali, l'inflazione e i salari  reali. Né i media né il governo danno alcuna considerazione nei  loro calcoli delle variazioni salariali ai salari differiti o ai  salari sociali o all'impatto degli interessi e del debito sulle  retribuzioni future.
3) I salari futuri rappresentano una categoria mai considerata dalle  statistiche ufficiali del governo. Cosa sono i "salari futuri"?  Rappresentano i salari nominali e reali rettificati al ribasso per  riflettere il costo del credito, e quindi i pagamenti degli interessi  sul debito, sostenuti nel presente, ma che impatteranno sui salari  futuri quando gli interessi sul debito verranno rimborsati. Non è un  segreto che le famiglie delle classi lavoratrici statunitensi si sono  sempre più indebitate, dal 2000 a oggi, per finanziarsi l’acquisto  di beni di consumo poiché i loro stipendi e redditi reali sono  costantemente stagnanti o in diminuzione. Il credito, e quindi il  debito, è stato il modo principale in cui hanno cercato di mantenere  il loro tenore di vita negli ultimi vent'anni (in precedenza ciò  avveniva aggiungendo più ore di lavoro al reddito familiare con  l’ingresso del partner nel mondo del lavoro, ma ciò si è  stabilizzato intorno al 1999). L'aggiunta di secondi e terzi posti di  lavoro è stato un altro modo per aggiungere reddito salariale alla  famiglia, poiché le retribuzioni per il lavoratore primario nella  famiglia sono diminuite.
  
  Ma l'interesse sul debito è una pretesa sugli stipendi, da pagare in futuro. Vuol dire  spendere il futuro reddito salariale nel presente. E il capitale  americano è più che contento di finanziare il consumo delle  famiglie concedendo sempre più credito (e quindi debito) alle  famiglie invece di pagare più salari.
Un altro metodo con cui il declino dei salari è stato "compensato" è quello di fornire importazioni a basso costo di beni di base come abbigliamento, articoli per la casa, persino alcune categorie di alimenti. Ma l’altra faccia della medaglia delle importazioni a basso costo è la perdita di posti di lavoro ad alta retribuzione. Quindi la mancanza di guadagni salariali è in parte compensata dalle importazioni a basso costo e da un massiccio aumento del credito disponibile per le famiglie. Il debito delle famiglie americane è ora ai livelli storici, superiore a quello del 2007. Più di 13 trilioni di $ di debito, inclusi 1.5 trilioni di $ di debiti studenteschi, più di 1 trilione di $ di carte di credito, 1,2 trilioni di $ di debito per automobile e il resto di mutui. I soli pagamenti degli interessi per una famiglia media sul debito delle carte di credito sono stimati a non meno di 1.300 $ all'anno. I costi del debito, inoltre, stanno aumentando rapidamente dal momento la banca centrale statunitense continua a far salire i tassi.
Inoltre, il rapporto tra debito-interessi e salari è diventato un circolo  vizioso. Gli imprenditori danno poco in termini di aumenti salariali  e le famiglie ricorrono ad un maggiore credito-debito e, quindi,  richiedono aumenti salariali inferiori. Questo ciclo sembra che  in alcune aree si sta rompendo, tuttavia, poiché gli insegnanti e i  lavoratori del terzo settore a salario minimo e altri stanno lottando  per salari più alti. Ma il problema generale continuerà  probabilmente, dal momento che lo strumento per ottenere guadagni  salariali in periodi di congiuntura favorevole - i sindacati –  stanno declinando ulteriormente e non svolgono più il loro ruolo  storico. Conoscendo questo, e seppellendo le famiglie sotto le  offerte di carte di credito e altri crediti, le imprese si rifiutano  di concedere aumenti salariali, salvo casi isolati.
  
  4) e 5): Un'altra area che dovrebbe ma non viene considerata  'salario' da parte delle agenzie governative che riportano le  variazioni salariali sono le pensioni e i benefici sociali. Anche  questi sono in effetti salario. Le pensioni sono pagamenti  dilazionati dei salari. I lavoratori rinunciano agli aumenti  salariali immediati per fare in modo che i datori di lavoro  forniscano i contributi, in luogo delle retribuzioni immediate, ai  loro piani pensionistici. Dopo la pensione, vengono poi pagati questi  "salari differiti" dai loro piani pensionistici.
Ma  i veri piani pensionistici, definiti “pensioni a prestazione  definita”, sono stati costantemente distrutti - con l'assistenza  dei governi sia repubblicani che democratici – dagli imprenditori a  partire dagli anni '80. La distruzione si è accelerata dal 2001  ed ora è nelle fasi finali. Le pensioni a benefici definiti sono  state progressivamente sostituite con piani privatizzati, "401k"  e "IRA", riducendo drasticamente i costi e i rischi per gli  imprenditori. I sostituti del piano 401k si sono dimostrati un  disastro e grossolanamente insufficienti per fornire "retribuzioni  differite" per i pensionati. (…) Non sorprende che il segmento  più veloce della crescita della forza-lavoro statunitense sia  costituito da lavoratori di età superiore ai 67 anni che devono  rientrare a lavoro per sopravvivere. (…)
  
  Gran parte del  debito crescente per i pensionati è dovuto al crollo del salario  sotto forma di pagamenti mensili delle prestazioni pensionistiche, in  quanto i piani a benefici definiti sono stati distrutti dagli  imprenditori e dal governo in collusione e sostituiti da pensioni  private con meno benefici. Le insolvenze, l'aumento del lavoro  precario a tempo parziale da parte dei pensionati e l'escalation dei  tassi di povertà degli anziani sono state le conseguenze. Tuttavia,  nessuna di queste riduzioni di salari differiti è stata  contabilizzata nelle statistiche sui salari generali dalle agenzie  governative statunitensi.
Un  simile declino delle retribuzioni è associato ai pagamenti mensili  delle prestazioni di previdenza sociale - vale a dire, quello che  potrebbe essere definito un "salario sociale" simile alla  pensione privata differita. È 'finanziato' dai pagamenti delle  imposte sui salari nel fondo di previdenza sociale da cui vengono  pagati i benefici mensili al momento del pensionamento. Anch’esso  in differita, come i pagamenti delle prestazioni pensionistiche  private, il salario sociale rappresenta i contributi, tramite  l'imposta sui salari, alla previdenza sociale che sono fatti in luogo  di salari diretti che verrebbero pagati ai lavoratori se non ci fosse  alcuna imposta sui salari. (…) Le prestazioni di sicurezza sociale  sono quindi una forma di "salario sociale". E nella misura  in cui i benefici della sicurezza sociale sono ridotti, il salario  sociale (differito) è ridotto. Questa riduzione delle retribuzioni è  stata attuata dal governo con l’innalzamento dell'età pensionabile  a 67 anni per beneficiare delle prestazioni pensionistiche di  sicurezza sociale; con la sospensione o mancata attuazione delle  rettifiche del costo della vita per i pagamenti mensili; con i tagli  ai sussidi SSDI, cioè l'assicurazione di invalidità di sicurezza  sociale. Tutti rappresentano di fatto tagli al salario sociale.  L'aumento delle franchigie e dei pagamenti annuali per Medicare è  un'altra forma di riduzione dei salari sociali. E Trump progetta di  ridurre ulteriormente Medicare nella sua ultima legge di bilancio,  che rappresenta ancora un ennesimo taglio sociale.
  
  Come la  pensione a prestazione definita, le riduzioni del salario sociale  sotto forma di pagamenti di sicurezza sociale rappresentano categorie  di salario a tutte gli effetti che interessano oggi 50 milioni di  lavoratori pensionati negli Stati Uniti; forme di salari che gli enti  governativi statunitensi responsabili per la stima delle variazioni  salariali non includono nei loro calcoli delle variazioni salariali.
In  sintesi
  
  Contrariamente al racconto dei media, alle  false dichiarazioni della stampa padronale e alle statistiche delle  agenzie governative degli Stati Uniti, i salari reali per la  stragrande maggioranza della forza-lavoro degli Stati Uniti,  specialmente i 133 milioni cuore della classe lavoratrice, non sono  nemmeno vicini all’aumento negli Stati Uniti di Trump. Nemmeno  sotto Obama, Bush o Clinton. Dal 1980 e l'avvento della  ristrutturazione capitalista neoliberista degli Stati Uniti e  dell'economia globale, un elemento chiave delle politiche neoliberali  è stato quello di comprimere i salari - per tutti tranne che per il  10% circa che il capitale USA considera essenziale per la sua  ulteriore espansione e, ovviamente, per gli stipendi degli  amministratori e dirigenti. Il resto della forza-lavoro statunitense  ha subito una costante stagnazione dei salari e un declino nel lungo  termine. Il ritmo è aumentato o diminuito in momenti diversi, ma la  direzione a lungo termine del declino e della stagnazione non è  cambiata.
  
  Quando per valutare la variazione salariale non  ci si limita a considerare solo i dipendenti stabili e a tempo pieno,  quando vengono considerate categorie di lavoratori ora  convenientemente escluse, quando le retribuzioni vengono adeguate ai  veri tassi di inflazione, quando vengono contabilizzati gli effetti  degli interessi e dei debiti e quando i salari "differiti"  e i pagamenti dei salari "sociali" sono presi in  considerazione in termini di salari in generale – diventa allora  evidente che le retribuzioni degli Stati Uniti sono in calo da un  bel po’ di tempo a questa parte e che quel declino continua nel  2018 nonostante i racconti dei media e del governo sul fatto che  i salari in America starebbero aumentando.
  
  Traduzione  dell’articolo “Labor Day 2018 & The Myth of Rising Wages”  di Jack Rasmus (jackrasmus.com),  economista statunitense, autore di ‘Central Bankers at the End  of Their Ropes: Monetary Policy and the Coming Depression’, Clarity Press, 2017, ‘Obama’s Economy: Recovery for the Few‘,  Pluto Press, 2012, ‘Epic Recession: Prelude to Global  Depression‘, Pluto Press, 2010, e ‘The War at Home: The  Corporate Offensive from Ronald Reagan to George W. Bush‘,  Kyklosproductions, 2006.
  
Traduzione a cura di Francesco Delledonne
