Il Venezuela è attualmente sottoposto a una forte pressione militare da parte degli Stati Uniti, che hanno dispiegato nel Mar dei Caraibi una delle più grandi flotte militari, comprendente portaerei e sottomarini dotati di testate nucleari, al largo delle coste venezuelane. Difficilmente ci sarà un’invasione di terra, grazie alla preparazione del popolo venezuelano e delle milizie popolari. È più probabile, invece, un bombardamento mirato a distruggere l’economia del Paese, che possiede la più grande riserva mondiale di petrolio, nel tentativo di destituire il presidente Nicolás Maduro.
L’alleanza tra popolazione, polizia e militari si concretizza nella Milizia Bolivariana, un corpo civile volontario integrato nell’esercito, i cui membri ricevono formazione militare e assumono ruoli precisi in caso di emergenza o invasione — pratica già adottata a Cuba. Questo dimostra che l’esercito venezuelano non è più elitario come quelli dei Paesi occidentali, spesso affidati a mercenari. L’alto livello di patriottismo del popolo venezuelano sarà difficile da disgregare. Il governo venezuelano teme un possibile “falso incidente” orchestrato dagli Stati Uniti per giustificare un intervento militare. Maduro ha più volte ribadito la volontà di pace, sottolineando che il Venezuela non ha mai cercato conflitti né invaso altri Paesi.
Le accuse di narcotraffico mosse da Washington sono considerate pretestuose: secondo dati ONU, solo il 5% della cocaina sudamericana transita per il Venezuela. Il dispiegamento di forze statunitensi non ha prodotto alcuna prova concreta, analogamente al falso pretesto delle “armi di distruzione di massa” in Iraq. Le false accuse di narcotraffico sono facilmente smentite dai fatti: negli Stati Uniti, come in molti altri Paesi, la droga è utilizzata come strumento di controllo sociale, per rendere il proletariato più dipendente e manipolabile. Gli USA, pur potendo contrastare efficacemente a casa loro non solo la cocaina ma soprattutto i farmaci a base d’oppio — principali responsabili della dipendenza di massa nel Paese — scelgono di non farlo.
Maduro ha inoltre denunciato un piano per simulare un attacco all’ambasciata statunitense a Caracas, fornendo in anticipo alle autorità USA i nomi dei presunti responsabili. Il Venezuela sta quindi subendo una doppia aggressione: militare ed economica. La Repubblica di Trinidad e Tobago, isole vicinissime alle coste venezuelane, ha offerto l'opportunità alle truppe statunitensi di effettuare una esercitazione militare, contribuendo così ad aumentare il livello di pressione e e di allerta nell'area.
Le cause di questa aggressione sono molteplici. Una delle principali è il fatto che il Venezuela detiene la più grande riserva di petrolio al mondo e la quinta di gas naturale. Ciò non significa che sia il maggiore produttore o venditore, ma che controllarlo permetterebbe di appropriarsi di una ricchezza enorme, che prima della Rivoluzione Bolivariana era privata e sottratta al popolo. Oggi, invece, l’estrazione del petrolio è gestita dallo Stato e i proventi finanziano i programmi sociali del Paese. Le sanzioni statunitensi hanno colpito duramente il settore petrolifero, impedendo la fornitura di ricambi e tecnologie per le raffinerie, in gran parte di produzione americana. L’embargo ha ostacolato la manutenzione degli impianti e la sostituzione dei macchinari. Per aggirare il blocco, il Venezuela ha diversificato l’economia e rilanciato la produzione petrolifera con l’aiuto di Iran e Cina, che hanno fornito ricambi e costruito nuove raffinerie con materiali non statunitensi. In un primo momento, dopo l’embargo USA, la produzione è crollata da 4 milioni di barili a poco più di 100.000, mettendo in ginocchio l’economia nazionale. Oggi la produzione è risalita a oltre un milione di barili— un notevole miglioramento, anche se ancora lontano dai livelli pre-embargo.
Un’altra ragione dell’aggressione è lo spirito rivoluzionario e antimperialista del governo venezuelano. Il Venezuela, insieme a Cuba, rappresenta uno dei principali oppositori del genocidio del popolo palestinese da parte del governo sionista israeliano, e costituisce un modello alternativo di sistema politico ed economico in America Latina. Il fatto che, nonostante le sanzioni e l’embargo, il Venezuela stia registrando una ripresa economica è un altro motivo di ostilità da parte dell’imperialismo nordamericano: non si vuole che i popoli latinoamericani vedano che un modello alternativo può funzionare. Secondo i dati ufficiali della CEPAL (Commissione Economica dell’ONU per l’America Latina e i Caraibi), l’economia venezuelana è cresciuta per 18 trimestri consecutivi, pari a quattro anni e mezzo. Le previsioni per il 2025 indicano una crescita del 6%, la più alta del continente, superiore persino a quella di Stati Uniti e Canada. Questo successo non è solo una ripresa dopo il crollo precedente, ma il risultato di politiche economiche mirate, come l’incentivo alla produzione interna di beni alimentari per evitare carenze. L’inflazione è scesa a due cifre nel 2024 (54%), un miglioramento significativo rispetto ai tassi iperinflazionistici degli anni passati, sebbene il bolívar continui a perdere valore rispetto al dollaro a causa della guerra economica statunitense. La microimprenditorialità è stata incentivata tramite microfinanziamenti a tasso zero e la liberalizzazione della compravendita in dollari, misura che ha permesso a molti piccoli imprenditori di resistere all’inflazione. Sebbene gli stipendi pubblici in bolívar restino bassi, i lavoratori ricevono bonus mensili equivalenti a 100, 200 o 300 dollari, mentre i servizi di base restano quasi gratuiti, garantendo un tenore di vita dignitoso. Queste politiche hanno stimolato l’economia e favorito il ritorno di centinaia di migliaia di venezuelani emigrati, spesso delusi dalle condizioni di vita e dal razzismo incontrati all’estero.
Il miglioramento economico, ottenuto nonostante sanzioni ed embargo, non era affatto scontato: in tali condizioni, la norma sarebbe un ulteriore impoverimento, anche sul piano sociale e sanitario. Il Venezuela, invece, ha continuato a investire nel settore sociale e sanitario. La Rivoluzione Bolivariana ha portato all’eradicazione dell’analfabetismo, al rafforzamento dei livelli culturali e alla centralità del benessere collettivo, grazie alla nazionalizzazione di risorse strategiche come petrolio, gas e oro. Sono stati consegnati oltre 5 milioni di appartamenti arredati — spesso con elettrodomestici di produzione cinese — a cittadini e immigrati venezuelani. Il settore sportivo è cresciuto notevolmente, con atleti di fama internazionale come Yulimar Rojas e successi in competizioni tecnologiche e robotiche. L’istruzione gratuita e universale resta una priorità per la formazione della coscienza popolare, mentre il sistema sanitario, pur colpito dalle sanzioni, viene rinnovato grazie alla collaborazione con la Cina. Il mantenimento di questi programmi sociali, nonostante l’embargo, è una dimostrazione di resilienza.
La nomina di María Corina Machado al Premio Nobel per la Pace appare come un ulteriore, chiaro, tentativo politico di destabilizzare il Paese. Alleata delle forze di estrema destra, Machado promuove un cambio di alleanze geopolitiche, allontanando il Venezuela dai suoi partner storici. La sua candidatura è stata paragonata a quella di Barack Obama, che ricevette il premio in modo preventivo pur avendo condotto diverse guerre. Machado infatti ha costantemente promosso la rivolta violenta contro il governo Maduro, nonché invitato Trump a invadere il Venezuela. Non solo, anche in passato, ha rivestito un ruolo chiave nei tentativi di golpe fascisti del 2002 contro Chavez, del 2019 quando Juan Guaidò si autoproclamò presidente e, da ultimo, gridando falsamente ai brogli elettorali durante le elezioni del 2024. Machado ha inoltre elogiato Donald Trump e Benjamin Netanyahu, segnalando un chiaro allineamento con le destre estremiste internazionali. Il suo programma politico prevedrebbe neoliberismo e privatizzazioni selvagge, l’ingresso del Venezuela nella NATO e la rottura dei legami con Russia, Cina, Iran, Cuba e Nicaragua, in sintonia con forze come Vox in Spagna e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, con cui ha altresì condiviso il progetto dell' "Internazionale nera" assieme ad altri impresentabili quali l'argentino Milei, Bolsonaro, Le Pen. Sembra evidente che il curriculum della signora Machado, il suo operato, i suoi riferimenti ideologici e parole d'ordine che incarna appaiono in aperto contrasto con i principi cui si dovrebbe ispirare un premio quale il Nobel per la Pace. Non a caso, secondo numerosi osservatori, il Nobel viene spesso utilizzato per favorire figure ostili a governi indipendenti e non allineati con gli Stati Uniti. L'individuazione della Machado quale destinataria del premio ha infatti profondamente indignato e diviso l'opinione pubblica dinnanzi ad un personaggio ombroso e controverso come lei che, in tutta risposta, alla notizia della vittoria del Nobel ha reagito dedicandolo a Donald Trump e manifestando il suo elogio al premier israeliano per la gestione della guerra. Non esattamente quello che ci si aspetterebbe da un premio pensato per elogiare la promozione del dialogo e i metodi non violenti per la risoluzione delle controversie. Tanto che il Consiglio della Pace norvegese si è persino rifiutato di organizzare la tradizionale fiaccolata di consegna del premio in suo onore, sottolineando non solo la distanza tra la vincitrice e i valori promossi dal Nobel per la pace ma anche denunciando la natura politica delle decisioni dell'Istituto, i cui membri sono in parte nominati dal governo norvegese.
Mentre la maggioranza in Venezuela ritrova l'unità con diverse forze (ad esempio col Partito Comunista Venezuelano) l’opposizione venezuelana mantiene una base elettorale del 30-35%, ma è indebolita dalla mancanza di un leader unificante e divisa tra fazioni estremiste e moderate. Il sistema elettorale venezuelano, che combina conteggi elettronici e manuali, rende praticamente impossibili i brogli. Molti leader dell’opposizione vivono all’estero, alcuni coinvolti in scandali economici o beneficiari dei beni venezuelani sequestrati (come CITGO o Monómeros). Chi è rimasto partecipa comunque alla vita politica nazionale, amministrando regioni e comuni.
La bassa affluenza alle elezioni locali, spesso strumentalizzata dai media occidentali, è dovuta al fatto che milioni di venezuelani all’estero non possono votare alle regionali, riservate al corpo elettorale residente. Il processo elettorale in Venezuela è tra i più avanzati al mondo: in ogni seggio ci sono due fasi di verifica del voto. L’elettore vota elettronicamente, riceve una copia cartacea del voto, la verifica e la deposita nell’urna. Il voto è considerato valido solo se il conteggio elettronico coincide con quello cartaceo.
