Negli ultimi vent’anni la sinistra italiana ha conosciuto una profonda crisi di rappresentanza, che ha aperto un divario crescente tra il “popolo della sinistra” e i suoi leader politici. Se la base sociale continua a mobilitarsi attorno a valori universali quali antifascismo, solidarietà internazionale, giustizia sociale, stipendi e pensioni, i partiti che dovrebbero rappresentarla appaiono sempre più incapaci di portare in parlamento questi valori e istanze delle classi sociali sottomesse dal capitalismo. Il caso di Gaza è diventato la cartina di tornasole di questo scollamento. Da un lato, piazze gremite e compatte, animate da un popolo che ha saputo mobilitarsi in maniera autonoma. Dall’altro, il ceto politico che, colto di sorpresa, ha cercato di cavalcare la protesta senza averla né prevista né generata. A ciò si aggiunge il comportamento ambiguo dei partiti parlamentari: alla Camera, il Partito Democratico, i Verdi e Sinistra Italiana hanno scelto di astenersi su una mozione che sosteneva il piano di pace americano per Gaza. Un’astensione che non equivale a un voto contrario e che conferma una postura esitante, rivelando la distanza tra la compattezza delle piazze e l’ambiguità delle istituzioni. Dallo scioglimento del PCI, passando per le trasformazioni in PDS, DS e infine Partito Democratico, fino al declino di Rifondazione Comunista, la sinistra italiana ha smarrito ogni radicamento di massa. Il ceto politico che ne è scaturito è oggi percepito come un’aristocrazia chiusa, più interessata a seggi e posizioni che a rappresentare i bisogni sociali reali.
Il moltiplicarsi di sigle comuniste che non superano l’1% testimonia una crisi di legittimità. Il ceto politico ex comunista, pur proclamandosi alternativo, ha replicato le stesse logiche di conservazione dei piccoli apparati. In questo quadro, la frammentazione serve a proteggere micro-leadership, non a rispondere a un popolo che si mobilita da solo, o anche per appelli di modeste sigle sindacali. Le mobilitazioni per Gaza hanno sorpreso lo stesso ceto politico della sinistra. Per anni, i partiti avevano considerato la base elettorale passiva e rassegnata. Al contrario, migliaia di persone hanno dimostrato capacità autonoma di mobilitazione, senza guida né regia partitica. Queste proteste sono state dunque spontanee, nate dal basso e inattese sia per la sinistra istituzionale sia per la destra. I leader hanno tentato di cavalcarle, ma non ne sono stati gli artefici: la piazza ha dimostrato di poter esistere indipendentemente dal sistema dei partiti.
La manifestazione di oggi 3 Ottobre contro la guerra a Gaza e contro lo sterminio che Israele sta perpetrando ha avuto un grande successo, sia per la partecipazione numerosa sia per la varietà delle presenze. Lo sciopero, formalmente convocato dal sindacato di base e dalla CGIL, ha visto in realtà l’adesione spontanea e autoconvocata di molte persone, segno di un movimento che cresce dal basso e non si lascia semplicemente dirigere dalle sigle ufficiali. Questo rifiuto netto della guerra, che attraversa non solo la sinistra ma anche altri larghi strati del quadro politico, mette in difficoltà la linea del governo e col tempo costringerà anche le dirigenze politiche della sinistra a rivedere le loro posizioni più allineate al blocco atlantico o a una lettura univocamente filo-occidentale dei conflitti in corso. Alla fine tutti questi eventi metteranno in crisi il ceto politico di sinistra, che pensava di vivere di rendita su posizioni oggi non più percorribili. La crisi di rappresentanza della sinistra italiana alla fine sarà così evidente che non si potrà nascondere con giochi di prestigio parlamentare. Il contrasto tra popolo e ceto politico si è visto con chiarezza anche nelle istituzioni. Quando alla Camera è stata votata una mozione sul piano di pace americano per Gaza, Partito Democratico, Verdi e Sinistra Italiana si sono astenuti in blocco. Questa astensione non ha rappresentato un rifiuto, bensì un segnale di incertezza e ambiguità, che testimonia la difficoltà – o la mancanza di volontà – di opporsi frontalmente agli equilibri internazionali dominanti che hanno nella guerra il loro scopo precipuo. Mentre il popolo nelle piazze chiedeva con forza la fine dello sterminio e una condanna netta dell’aggressione israeliana, i partiti hanno scelto una posizione di sospensione e neutralità apparente, che evidenzia lo scarto crescente tra coscienza popolare e rappresentanza politica. Da oggi la sinistra istituzionale dovrà prendere atto che non basterà condannare Israele a parole ma bisognerà fare delle pressioni politiche e anche istituzionali contro Israele.
Il popolo della sinistra resta radicato ad un antifascismo militante e vivo. I partiti, al contrario, riducono l’antifascismo a memoria rituale, incapace di tradursi in scelte concrete. L’astensione parlamentare sul piano di pace ne è la prova: un gesto che rivela la perdita di legittimità, poiché segnala l’incapacità di dire “no” quando il popolo si aspetta una posizione chiara.
Le proteste spontanee per Gaza, sia pur convocate dalla Cgil, dimostrano che il popolo esiste e che può mobilitarsi senza partiti. Ma rivelano anche l’urgenza di un cambiamento. Nella sinistra alternativa comunista la stagione dei “partiti infinitesimali” è finita, e con essa l’illusione che il ceto politico tradizionale possa ricostruire un progetto di sinistra credibile. La domanda aperta è se nascerà una nuova rappresentanza capace di tradurre queste mobilitazioni in progetto politico, o se il popolo continuerà a lottare senza i suoi rappresentanti.
La vicenda di Gaza dimostra come il divario tra popolo e ceto politico sia ormai strutturale. Le piazze si muovono con forza, i partiti restano esitanti e ambigui. L’astensione parlamentare di PD, Verdi e Sinistra Italiana sul piano di pace americano fotografa in modo plastico questa distanza: un popolo che chiede chiarezza, e un ceto politico che risponde con ambiguità. Il futuro della sinistra, soprattutto quella alternativa è comunista, dipenderà dalla capacità di trasformare questa energia dal basso in una nuova forma politica, realmente antifascista e internazionale, che rifugga da rendite di posizione personale e si rinnovi profondamente nella classe dirigente. Anni fa Stefano Garroni diceva che un partito comunista veramente di massa sarebbe potuto nascere solo se l’attuale classe dirigente dei dei partiti comunisti infinitesimali fosse uscita di scena. Diversamente, la distanza diventerà definitiva: un popolo vivo senza rappresentanza, e un’aristocrazia politica senza popolo.