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La storica vittoria della comunista Jeannette Jara alle primarie del centro‑sinistra cileno

Con 60,31 % dei consensi alle primarie del centrosinistra, Jeannette Jara diventa la prima candidata comunista sostenuta dal fronte progressista cileno. Un trionfo che offre al PCCh nuove prospettive di governo, ma lo espone anche a sfide interne e alla minaccia della destra.


La storica vittoria della comunista Jeannette Jara alle primarie del centro‑sinistra cileno

Nella tarda serata del 29 giugno, Jeannette Jara, esponente del Partito Comunista de Chile (PCCh) ed ex ministra del Lavoro nel governo dell’attuale presidente Gabriel Boric, ha trionfato con il 60,31 % dei voti alle primarie della coalizione governativa di centrosinistra Unidad por Chile, staccando nettamente i suoi avversari più diretti, Carolina Tohá (27,91 %) e Gonzalo Winter (9,02 %).Il risultato, oltre a sancire la sua candidatura ufficiale alle presidenziali del prossimo 16 novembre, rappresenta un evento senza precedenti nella storia politica del paese sudamericano: per la prima volta, infatti, un membro del Partito Comunista ha ottenuto il sostegno massiccio delle forze progressiste tradizionalmente guidate dalla socialdemocrazia e dai partiti più moderati.

La vittoria di Jara è stata definita dalla stampa nazionale e internazionale come una “grande anomalia” del processo elettorale di giugno. Le primarie, va detto, sono state segnate da una partecipazione inferiore al 10 % dell’elettorato — circa 1,34 milioni di votanti su un totale potenziale di 15 milioni di cileni —, ma hanno allo stesso tempo dato prova di una mobilitazione interna al PCCh e alle forze della sinistra radicale senza precedenti. Tale dato testimonia sia le difficoltà di coinvolgere ampi strati della popolazione in un contesto di stanchezza politica, sia la forza organizzativa del Partito Comunista, capace di tradurre in voti concreti la propria base militante.

Dopo le celebrazioni, però, per i comunisti cileni è giunto il tempo di fare le analisi. L’affermazione di Jara, infatti, pone il PCCh di fronte a un bivio cruciale: da un lato, l’opportunità di riscattare il proprio ruolo politico, uscendo dal ghetto dell’opposizione e dimostrando di saper guidare una coalizione ampia; dall’altro, il rischio di essere percepito come forza egemone all’interno di un fronte che storicamente è stato plurale e variegato. Se, da una parte, il successo alimenta l’orgoglio collettivo dei comunisti cileni — che, dopo essere stati messi al bando durante la dittatura, hanno recuperato spazio istituzionale solo gradualmente dal 2010 in poi —, dall’altra, la candidatura di Jara mette sotto esame la capacità del partito di mantenere la propria identità ideologica ma riuscendo a conciliare anche le posizioni più moderate all’interno della coalizione.

Indubbiamente, per il PCCh, la candidatura di Jara apre molte strade. In primis, la possibilità di portare nel dibattito presidenziale temi fondanti del programma comunista: la lotta alle disuguaglianze economiche, la riforma strutturale del sistema previdenziale, l’espansione dei diritti del lavoro e un nuovo modello di sviluppo sostenibile. A tal proposito, durante la sua esperienza come ministra del Lavoro, Jara ha già ottenuto risultati concreti, come la riduzione dell’orario settimanale a 40 ore e l’aumento del salario minimo a oltre 500.000 pesos cileni, ottenendo una popolarità trasversale tra i settori più progressisti.

In secondo luogo, l’aver conquistato il primato all’interno del centrosinistra rende il PCCh interlocutore centrale nei negoziati futuri per la formazione del programma di governo: un’occasione unica per imprimere una svolta progressista rispetto al riformismo moderato di Boric, in grado di superare i limiti delle gestioni precedenti, percepite troppo moderate e insufficienti dalle fasce popolari più vulnerabili. Il test elettorale di novembre sarà quindi decisivo non solo per il successo di Jara, ma anche per definire la direzione strategica dell’intero movimento comunista in Cile.

Tuttavia, con il successo arrivano anche grandi responsabilità e potenziali criticità. Il primo rischio è quello di un “effetto boomerang” interno: un eventuale risultato deludente a novembre potrebbe gettare ombre sul PCCh, considerato il partito capofila della coalizione. Se la gestione della campagna non riuscirà a tenere insieme tutte le anime del fronte progressista, dal Frente Amplio del presidente Boric al Partido Socialista che fu di Salvador Allende, passando per le formazioni regionaliste e umaniste, si rischia un isolamento e una frammentazione che indebolirebbe la sinergia necessaria per competere con la destra.

Un secondo rischio riguarda la percezione esterna: la narrazione mediatica di Jara come “candidata comunista” potrebbe essere usata dalla destra per dipingerne un’immagine eccessivamente ideologizzata e lontana dalle esigenze concrete dei cittadini moderati e centristi. In un Paese segnato da crescenti problemi di sicurezza e intransigenza economica, l’accusa di voler importare modelli di stato troppo interventisti, sventolando i soliti mantra della propaganda anticomunista latinoamericana contro Cuba e Venezuela, potrebbe nuocere al consenso di Jara, specialmente in un eventuale e probabile ballottaggio contro un candidato di destra.

A conferma della sfida che attende il PCCh, subito dopo il trionfo di Jara si è manifestato un movimento di convergenza della destra cilena volto a isolare e attaccare la candidatura comunista. L’esempio più clamoroso è la decisione di Francesca Muñoz, deputata del Partido Social Cristiano (PSC), di ritirare la propria candidatura e di annunciare il proprio appoggio a José Antonio Kast, leader del Partido Republicano di estrema destra e già candidato sconfitto al ballottaggio da Gabriel Boric nel 2021. Muñoz ha motivato la scelta con la condivisione di “valori comuni” quali l’opposizione all’aborto e la difesa di un “Cile sicuro e prospero”, ma appare quanto meno sospetto il fatto che questa decisione sia arrivata poche ore dopo la vittoria di Jara alle primarie del centro-sinistra.

A nostro modo di vedere, questa convergenza strategica fra centro-destra ed estrema destra non è un incidente di percorso, ma un chiaro tentativo di ricompattare l’elettorato conservatore e liberal‑cristiano attorno a un unico candidato contro la sinistra. La mossa di Muñoz invia un segnale forte: i partiti tradizionali di ispirazione centrista non disdegnano l’alleanza con posizioni ultraconservatrici pur di impedire l’affermazione comunista. È la riprova che il PCCh e la sua candidata dovranno fare i conti non solo con un avversario politico, ma con un blocco di potere trasversale, sostenuto dalle forze conservatrici e reazionarie sia nazionali che internazionali, disposto a scendere a compromessi ideologici estremi pur di fermare l’avanzata progressista.

Per rispondere efficacemente a queste minacce, è essenziale che il PCCh e la leadership di Jara mantengano un discorso chiaro e convincente, incentrato sui bisogni reali delle persone: lavoro, sicurezza, sanità, istruzione e ambizione di uno sviluppo ecologicamente sostenibile. Dal canto suo, la candidata comunista ha già lanciato un monito al fronte progressista: “Di fronte alla minaccia dell’estrema destra, rispondiamo con unità, dialogo e speranza”. L’unità dovrà valere sia sul piano organizzativo — rafforzando i legami con i partiti alleati e coinvolgendo le reti sociali della coalizione — sia su quello ideologico, conciliando le posizioni più radicali con un’istanza pragmatica che parli al “popolo delle periferie” e alla piccola e media imprenditoria, spesso preoccupata ma non necessariamente schierata a destra. L’esperienza delle primarie ha dimostrato che il PCCh è capace di mobilitare, ma ora deve dimostrare di saper rappresentare non solo la propria base, ma una maggioranza sociale più ampia.

Tirando le somme della nostra analisi, la storica vittoria di Jeannette Jara segna indubbiamente un nuovo capitolo nella storia del Partito Comunista cileno. Dopo anni di marginalità politica, il PCCh ha ottenuto il riconoscimento di partner principale in un ampio fronte progressista, con la concreta possibilità di tornare a incidere nel governo del Paese. Le opportunità sono molteplici: dall’avanzamento di riforme sociali profonde, alla costruzione di un modello economico inclusivo e sostenibile, fino alla riaffermazione del ruolo internazionale del Cile come paese indipendente e sostenitore del multipolarismo.

Ma le sfide non mancano: gestire la coalizione senza smarrire la propria identità, resistere agli attacchi di un blocco conservatore e di estrema destra sempre più compatto, e dimostrare, con un programma credibile, di poter rispondere alle angosce reali dei cittadini senza rinunciare ai valori di classe e alla visione marxista. Se Jara e il PCCh sapranno governare questa fase con intelligenza strategica e coesione interna, la credibilità e la forza dirompente del Partito Comunista potrebbero diventare il motore di una svolta storica, capace di fondere giustizia sociale e stabilità politica in un patto di progresso duraturo per il Cile.

04/07/2025 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Giulio Chinappi
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