Brzezinski e la futurologia - parte I

Le profezie autorealizzantesi di Z. Brzezinski


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L’anziano ex consigliere alla sicurezza di Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, è sempre sulla cresta dell’onda e continua ad elaborare analisi politiche, che da un lato riflettono le intenzioni dei vertici statunitensi, dall’altro indicano i percorsi da seguire per difendere il ruolo egemonico della superpotenza. In particolare, in un articolo di qualche mese fa, egli riconosce che il dominio globale degli Stati Uniti è in crisi a causa del riemergere della Russia quale attore politico nella scena mondiale e dell’espansione economica e commerciale della Cina. A suo parere, pertanto, bisogna prendere misure adeguate a contrastare tale declino e a impedire un avvicinamento dell’Europa alle potenze emergenti (leggi).

Come è noto, Brzezinski si è sempre dilettato di analisi politiche volte a delineare gli scenari internazionali futuri. In questo breve intervento, mi limiterò ad analizzare brevemente un articolo dell’ex-consigliere, pubblicato nel 1968, dal significativo titolo America in the Technetronic Age(leggi), nel quale egli indica i caratteri della società cosiddetta postindustriale o, se volete, postmoderna. E ciò perché in effetti egli coglie nel segno, anche perché descrive le linee politiche adottate dalla classe dirigente mondiale, a cui era ed è strettamente vincolato.

Questo aspetto è ben colto da un autore sovietico, Edward Arab-Ogly, il cui libro intitolato Nel labirinto dei vaticini è stato pubblicato in italiano dalle Edizioni Progress (Mosca) nel 1977 e che ho avuto già modo di menzionare in un precedente articolo per La Città futura. Egli sottolinea, in questo d’accordo con Brzezinski [1], che la rivoluzione tecnico-scientifica del Novecento ha determinato “mutamenti profondi e irreversibili con una conseguente accelerazione dell’evoluzione sociale”. A suo parere “tali trasformazioni sociali, politiche, economiche che in passato si sarebbero dipanate per decenni e forse per secoli”, si stanno realizzando vorticosamente nello spazio di una generazione. Egli aggiunge che nell’epoca contemporanea il potere che l’uomo ha sulla natura e sul proprio destino è straordinario e che noi e i nostri posteri potremo godere i frutti di questo avanzamento, ma ci troveremo anche a “pagare il fio delle nostre attività” (op. cit. 1977: 3).

In tale situazione, gravida di conseguenze assai variegate, “il futuro non è unico e rettilineo, ma cela in sé molteplici possibilità, sostentate però da un grado diverso di possibilità”. Secondo lo studioso sovietico ciò rende sempre più necessaria la capacità di sviluppo della previsione sociale, la cui funzione non sarebbe tanto quello di “predire un futuro già pronto, quanto [quello di] influire sulla coscienza e il comportamento degli uomini del presente al fine di sollecitarli ad un’attività determinata e quindi [a] realizzare una delle possibili varianti del futuro” (op. cit. 1977: 4-5). Potremmo definire queste previsioni “profezie autorealizzantesi”.

Ed è proprio quello che Brzezinski fa con il suo articolo del 1968, pubblicato sulla nota rivista Encounter, con il quale si inserisce pienamente nella cosiddetta futurologia, che esplose negli anni ’60 del Novecento e che dette vita a due correnti diverse, una di segno ottimistico e l’altra catastrofistica. La prima vede nella tecnologia e nelle scienze applicate la possibilità di trovare la soluzione a tutti i problemi più gravi che affliggono l’umanità, la seconda invece vede negativamente questi stessi strumenti, il cui impiego irrazionale e dissennato produrrebbe problemi quali l’inquinamento, la crisi ecologica, i processi di disumanizzazione e di impoverimento materiale e spirituale imposti agli individui che vivono nel mondo contemporaneo.

Tali correnti, la seconda vicina in ambito filosofico ai critici della modernità, non fanno una distinzione importante che è quanto mai opportuno tenere a mente: la scoperta scientifica in sé e l’uso politico-economico che di essa viene fatto e che ovviamente è deciso da chi governa l’ordine mondiale. Senza tale distinzione finiscono con l’imputare alla tecnologia e alle innovazioni il ruolo di unico elemento propulsore del cambiamento economico-sociale, in un’ottica riduzionista, che offusca la parte giocata dall’insieme delle relazioni sociali in questa direzione.

Ma quali sono, secondo Brzezinski, i caratteri della società postindustriale, così definita da Daniel Bell nel 1967 e che si sarebbe affermata a partire dal 2000? Indicherò a mio parere quelli più significativi, sottolineando che, il discorso dell’antico consigliere oscilla sempre tra l’effettiva analisi delle trasformazioni e la prefigurazione dell’indirizzo che a queste occorre dare.

Egli comincia con l’affermare che l’America (ovviamente gli Stati Uniti) stanno diventando negli anni ’60 una società tecnetronica, che è plasmata culturalmente, psicologicamente, socialmente ed economicamente dall’impatto della tecnologia e dell’elettronica (computer e comunicazioni).Tale cambiamento provoca un’ulteriore divisione tra i diversi paesi del mondo, sempre più differenziati, ed impone agli americani [2] l’obbligo di alleviare le sofferenze del confronto da ciò suscitato (1968: 16).

A suo parere, per questo suo mutamento l’America rappresenta un caso speciale e unico, perché sarebbe la prima società a sperimentare il futuro, soprattutto grazie alla sua “creatività”, dalla quale scaturiscono innovazioni tecnologiche ma anche tendenze culturali, costumi, valori nuovi, che gli altri paesi consciamente o inconsciamente imitano. Tali processi danno vita alla cosiddetta “americanizzazione” (1968: 23) che tende a rendere omogeneo il mondo attuale, incrementando inevitabilmente il ruolo egemonico statunitense, che rappresenta per molti, gente comune e analisti politici, la società ideale fondata sulla “democrazia più grande del pianeta”.Occorre osservare che, nel delineare i tratti della società statunitense nell’era tecnetronica, Brzezinski individua anche problemi e criticità a cui bisogna trovare una soluzione, ma sempre avendo in mente la finalità di rafforzare il predominio statunitense.

In seguito alla rivoluzione tecnologica-scientifica, egli segnala che il comportamento umano diventerà meno spontaneo e meno misterioso, in quanto sarà predeterminato e sottoposto ad una programmazione deliberata. Per esempio, l’uomo sarà in grado di determinare il sesso dei suoi figli, di modificare e controllare la propria personalità, di potenziare con l’uso di droghe le sue capacità intellettive, in ciò con l’aiuto anche dell’uso del computer. La vita umana nel XXI secolo potrebbe raggiungere i 120 anni. La possibilità di un più ampio controllo chimico della mente, la messa a rischio dell’individualità provocata dalla tecnica dei trapianti, la manipolazione genetica pongono una serie di problemi: fino a che punto queste procedure possono giungere e in quale misura debbono essere limitate?

Brzezinski aggiunge che gli scienziati prevedono che alla fine del secolo (il Novecento) i computer, affiancati nei laboratori dai robot, ragioneranno come gli esseri umani e saranno anche in grado di elaborare un pensiero creativo. Innovazione che dovrà essere accompagnata da un articolato e ampio dibattito sulla natura dell’uomo.

D’altra parte, la rivoluzione informatica comporta anche un formidabile immagazzinamento di informazioni, il loro reperimento automatico e la loro utilizzabilità, aspetti dai quali non può non scaturire lo sviluppo di “una totale sorveglianza politica” sui cittadini, del tutto non rispettosa della loro vita privata [4].

Questi significativi cambiamenti saranno accompagnati dallo sviluppo della cibernetica e dell’automatizzazione, in seguito al quale l’ozio diverrà la pratica comune e il vero e proprio lavoro un privilegio riservato agli individui più dotati di talento. Cambierà il senso stesso della vita sociale, non più orientata alla realizzazione di una qualche obiettivo, ma focalizzata sul divertimento e sullo spettacolo (sport di massa, televisione), il quale fornirà un oppiaceo alle masse ormai prive di scopo (1968: 17) [3].

Possiamo convenire con Brzezinski che queste previsioni si sono realizzate, anche se è possibile darne un’altra lettura dal punto di vista di chi è oggetto pressoché inerme di questi mutamenti. In primo luogo, sicuramente le forme di controllo si sono fatte più sottili e più capillari ed hanno relegato a nicchie assai isolate e poco incisive i dissensi che pure esistono, tanto che un regime di tipo fascista o nazista tradizionale è oggi non è probabilmente necessario nel mondo occidentale a garantire la stabilità e la riproduzione dell’assetto attuale. In secondo luogo, il lavoro – nel senso pieno e gratificante - è sicuramente diventato un privilegio, ma non nel senso che le grandi masse si sollazzino nell’ozio, sia pure distratte e fuorviate dagli oppiacei massmediatici; esse sono sprofondate nel lavoro dequalificato e informale, privo di qualsiasi tutela e diritto.

(continua sul prossimo numero)

Note

1. Il quale scrive che, alla fine del Novecento, il mondo si trova in un’epoca di trasformazione più drammatica per le conseguenze storiche e umane che avrà di quelle provocate sia dalla Rivoluzione Francese che da quella bolscevica (1968: 16).

2. Uso sempre il linguaggio dell’autore che ovviamente identifica una parte del continente americano con il tutto.

3. Nel 1967 era uscito il celebre libro di Guy Debord, La società dello spettacolo.

4. A questo proposito possiamo menzionare il programma di spionaggio Echelon, istituito di concerto da Stati Uniti e Gran Bretagna e attivo dal 1966, che controlla almeno il 90% delle comunicazioni in tutto il mondo (http://www.telesurtv.net/news/Snowden-confirma-existencia-de-red-de-espionaje-Echelon-20150804-0002.html).

15/10/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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