Gli illusionisti della ripresa

Con il ritorno della primavera, politici e giornalisti annunciano che finalmente siamo “in ripresa”. Renzi già a metà marzo ci dava nientepopòdimenoche “fuori dalla crisi economica”.Così lorsignori e i relativi pennivendoli chiamano lo 0,6% di crescita del Pil ...


Gli illusionisti della  ripresa

Anche quest’anno, con la primavera, tornano gli annunci della ripresa economica. Ma anche questa volta si tratta di una clamorosa menzogna. Vediamo perché.

di Alessandro Bartoloni

Con il ritorno della primavera, politici e giornalisti annunciano che finalmente siamo “in ripresa”. Renzi già a metà marzo ci dava nientepopòdimenoche “fuori dalla crisi economica” [1].

Così lorsignori e i relativi pennivendoli chiamano lo 0,6% di crescita del Pil che la Commissione Europea stima per l’Italia nel 2015 (l’Istat dice +0,7). Questo è il settimo anno che lo dicono, come ben dimostrato dal collage, reperibile sul web, composto dai titoli di alcuni giornali, che qui si riporta a mo’ di promemoria.

Malgrado le costanti smentite dei fatti, a parte pochi accorti o i soliti gufi-comunisti, tutti i mass-media continuano a cantarci periodicamente fuori dal tunnel. Ma la responsabilità non è dei giornalisti, che si limitano per la maggior parte a trascrivere veline, ma degli istituti e agenzie che tali veline producono e che sarebbero preposti ad anticipare l’andamento dell’economia... se ne fossero capaci.

Si prendano ad esempio i dati della Commissione Europea già citati [2]. Nella prima riga della tabella si riporta la previsione del tasso di crescita del Pil fatta durante l’autunno dell’anno precedente, mentre nella seconda riga si riporta l’andamento effettivamente verificatosi.

 

Tasso di crescita del Pil 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014
Previsione 1,4 0,0 0,7 1,1 0,1 -0,5 0,7
Effettivo -1,2 -5,5 1,7 0,6 -2,8 -1,7 -0,4*
* Dato passibile di aggiustamento

I numeri non lasciano molto spazio all'interpretazione. Per tre anni su sette a Bruxelles non sono stati neanche capaci di cogliere l’andamento (stimavano segno positivo e si è invece andati in recessione), con una forbice che nel 2009 raggiunge addirittura i 5,5 punti percentuali. Quanto accade alle previsioni sul Pil succede anche agli altri indicatori della salute economica di un paese capitalista: investimenti, occupazione, indebitamento, ecc. Come andrà effettivamente a finire quest’anno è difficile dirlo, sicuramente è bene non fidarsi delle previsioni ufficiali che, come si vede, sono sempre errate e di parecchio.

E d’altronde come potrebbe essere altrimenti? Già Marx constatava che “non si tratta più di vedere se questo o quel teorema sia vero o no, ma se è utile o dannoso, comodo o scomodo al capitale” [3]. Tanto è vero che oggi l’Istat scrive che “l’attuale scenario previsivo incorpora le ipotesi relative agli effetti positivi delle migliori condizioni di accesso al credito generate della politica monetaria della Banca centrale europea” [4]. Che tradotto significa: grazie al Quantitative Easing di Draghi, un’azienda incapace di generare plusvalore o anche solo di realizzarlo riuscirà ora ad ottenere il credito che le serve per continuare a sopravvivere.

Il recente ottimismo, però, non è solo frutto della strutturale inaffidabilità delle previsioni causata dall’inevitabile confusione concettuale propria degli approcci teorici sottostanti i modelli econometrici utilizzati dagli istituti di ricerca di mezzo mondo. Esso è anche generato da alcune contingenze proprie dell’attuale fase. Se ne segnalano tre in particolare: la svalutazione dell’euro, il basso prezzo del petrolio e l’euforia sui mercati finanziari. Un anno fa, ad esempio, con 1 euro si potevano acquistare più di 1,37 dollari, oggi, invece, solamente 1,12. Questa svalutazione aiuta ad incrementare il già notevole surplus commerciale dell’eurozona e dell’Italia. Parallelamente si assiste aI decremento del prezzo del petrolio, in calo costante da un anno a questa parte e sufficientemente basso per permettere di tener sotto controllo i costi di produzione nei paesi importatori, quale è appunto l’Italia, anche in presenza di una svalutazione della moneta. Infine, ma non da ultimo, in Italia come nel resto dei paesi imperialisti, gli indici di borsa non hanno fatto che salire, a dispetto della realtà economica, battendo ogni record.

Che queste condizioni siano durature e sostenibili c’è però da dubitarne, se non altro a causa dell’andamento asfittico di tutti i principali indicatori economici reali e del loro andamento incerto. Tasso di cambio e prezzo del petrolio, ad esempio, nell’ultimo mese sono in ripresa rispetto al trend annuale descritto. Uno scenario di vera e propria stagnazione che, unito al probabile aumento dei tassi di interesse Usa nella seconda metà dell’anno, rischia di portare molti problemi a piccole economie come quella italiana. In compenso, però, l’attacco padronale volto ad incrementare l’economicità, la ricattabilità e la flessibilità dell’abuso della forza-lavoro (italiana e migrante) che qui da noi ha trovato in Marchionne e Renzi gli ultimi, ma migliori e più efficienti alfieri, potrebbe contribuire effettivamente a frenare la caduta dell’accumulazione dei profitti, sebbene sia lecito dubitare che tali effetti possano evidenziarsi nel giro di qualche mese come annunciato ai quattro venti da Confindustria. È evidente, infatti, come la diminuzione del salario sociale - ben al di sotto del suo valore ove si consideri la forza-lavoro clandestina sempre nell’occhio del ciclone - l’aumento del grado di sfruttamento del lavoro e l’inesorabile sequela di fallimenti, non siano stati ancora sufficienti e debbono continuare. E a questo serve il Jobs Act, l’ultimo e più ampio viatico alle tendenze antagonistiche alla caduta del saggio del profitto e all’inevitabile trasferimento dell’onere della crisi dal capitale al lavoro. Se a questo si unisce la prospettiva di ulteriori privatizzazioni e liberalizzazioni, come imposte dall’Ue in coerenza col nascente trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) e l’accordo di scambio sui servizi (TiSA), per il proletariato italiano è lecito aspettarsi una notte ancora molto lunga e buia.

 

Note

[1] La Stampa, ed. online 17/03/2015

[2] Si veda lo European Economic Forecast - Spring 2015

[3] K. Marx, Il Capitale, Libro I, Poscritto alla seconda edizione, 24 gennaio 1873

[4] Istat Le prospettive per l’economia italiana 2015-2017

15/05/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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