Spesa previdenziale e assistenziale fuori controllo? Una narrazione tossica

Secondo la vulgata neoliberista l'Italia spenderebbe troppo in welfare e previdenza. Si va facendo strada un ulteriore giro di vite ai danni dei diritti sociali.


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“L'Italia spende troppo per pensioni e assistenzialismo”, quante volte lo abbiamo ascoltato o letto sulla stampa?

“Una menzogna ripetuta 100 volte diventa una verità incontrovertibile”. La massima pare non sia riconducibile a Goebbels. L'attribuzione sarebbe un falso storico come innumerevoli altre frasi attribuiti a casaccio senza alcuna verifica delle fonti. Di fatto ripetere dei luoghi comuni all'infinito aiuta a costruire narrazioni il cui fine è quello di disorientare, manipolare le coscienze indirizzandole a piacimento.

Da decenni si è diffusa l'idea secondo la quale l'Italia vivrebbe al di sopra delle proprie possibilità. Per restituire forza al sistema produttivo dovremmo abbattere le attuali spese previdenziali e il welfare che sarebbero insostenibili per una economia in grande difficoltà come la nostra. Non si dice che la crisi dell'Italia inizia proprio con le grandi privatizzazioni e i processi di delocalizzazione, con una economia basata sulla contrazione del costo del lavoro, con l'abbattimento degli investimenti pubblici nella ricerca e nei processi innovativi. Di questo, e di molto altro, si sono occupati in molti. Fra questi, forse tra i primi, quasi 30 anni, fa il sociologo Luciano Gallino.

La logica seguita da tempo è quella neoliberista, per la quale le prime voci ad essere tagliate dovrebbero essere quelle destinate ai redditi, allo stato sociale, alla sanità e all'istruzione; meno soldi nel complesso alle classi sociali meno abbienti, auspicando che siano proprio le classi padronali a dispensare qualche briciola dei loro profitti come elargizione benevola (da qui la massima che dall'arricchimento di pochi deriva un generale miglioramento economico di tutti gli altri). Così facendo i diritti sociali vengono prima ridimensionati e poi cancellati sostituendoli con un'elemosina, una mera concessione delle classi sociali dominanti.

L'Italia presenta, come gli altri paesi dell'Unione Europea, una spesa sociale e previdenziale costantemente monitorata e in linea con i dettami dell'Unione stessa. I parametri di Maastricht prevedono un controllo ferreo dei conti economici impedendo l'aumento della spesa sociale e di quella previdenziale, tanto che l'innalzamento dell'età pensionabile o leggi liberticide in materia di lavoro sono state una costante in ogni paese membro. I singoli stati possono destinare maggiori fondi a una voce di bilancio piuttosto che a un'altra ma il rispetto delle regole proprie dell'austerità resta valido erga omnes.

L'Italia presenta una spesa previdenziale stabile o in lieve diminuzione. Tra il 2010 e il 2019 è cresciuta meno dell'inflazione, ossia circa l'1,4%. Se pensiamo poi alla quota di ricchezza prodotta nel paese e distribuita solo ai redditi elevati e ai capitali ci rendiamo conto che da almeno 12 anni la spesa pensionistica è non solo sotto controllo ma in calo rispetto agli anni precedenti con l'assegno previdenziale medio destinato a calare progressivamente, anche per i prossimi lustri, come conseguenza del metodo di calcolo contributivo, introdotto dal governo Dini, che rapporta le pensioni alla quantità di contributi versati e non, come era il precedente sistema alle retribuzioni degli ultimi anni.

Le “riforme” – in realtà controriforme – in materia previdenziali sono state innumerevoli e sovente sono stati proprio i governi tecnici, imposti dalla Bce, ad approvare leggi miranti all'innalzamento dell'età pensionabile e alla contrazione dei costi previdenziali con un sistema di calcolo, quello contributivo, che abbatterà sempre più il potere d'acquisto, oltre ad avere soppresso il carattere solidale del sistema pensionistico, che ora è analogo al sistema di calcolo delle assicurazioni private.

I dati ufficiali smentiscono l'aumento della spesa previdenziale. Si va in pensione a 70 anni e con assegni decisamente leggeri rispetto al passato. Ergo, nonostante l'invecchiamento della popolazione e la crescita degli inattivi, la spesa nel suo complesso non è destinata a crescere. Il problema è quindi ben altro, ossia la difficoltà di creare nuovi posti di lavoro, mentre i pochi che arrivano sono per lo più precari e a tempo determinato, sottopagati e non assicurano un costante gettito alle casse dell'Inps.

I comunicatori di regime, furbescamente, cercano di mettere le generazioni di lavoratori l'una contro l'altra, sostenendo che i giovani debbono mantenere una platea troppo elevata di pensionati. In realtà sono proprio questi giovani a non potere accedere decorosamente al mercato del lavoro perché a troppi anziani è imposto di rimanervi. La scelta di favorire nuova occupazione anticipando l'età pensionabile per gli attivi è stata solo una soluzione eccezionale e temporanea dettata da equilibri politici e dalla volontà di favorire il trasferimento allo Stato di oneri che avrebbero altrimenti fatto carico alle imprese. I datori assumono forza lavoro con contratti sfavorevoli, accrescono la produttività e scaricano l'onere del cambio generazionale sulle casse pubbliche dalle quali ricevono inoltre aiuti, sgravi e defiscalizzazioni di vario genere. Se invece volessimo considerare la spesa assistenziale, dovremmo confrontare i bilanci dei paesi dell'Unione Europea, analizzare le singole voci del welfare e forse potremmo fare una analisi comparativa degna di nota. È vero che gli aiuti nei paesi nordici sono generosi verso le giovani generazioni e meno con gli anziani; ma non si dice che gli stipendi sono anche decisamente più alti e i servizi offerti dal welfare sono decisamente superiori, per quantità e qualità. È paradossale che a destra si chieda di ridurre di un anno i contribuiti richiesti per la pensione mentre invece a “sinistra” (quale?) si invoca il rispetto della Fornero. C'è poco da meravigliarsi davanti a chi invoca la fantomatica agenda Draghi come ricetta economica e sociale per uscire dalla crisi. Perfino sul sistema di tassazione la destra va all'attacco ma in questo caso propone soluzioni a beneficio solo dei redditi elevati con una sorta di flat tax, tassa piatta, che applicata in alcuni paesi ha ridotto il gettito fiscale indebolendo le casse sociali e il welfare. Se vogliamo ragionare in termini alternativi ai due schieramenti non possiamo che addentrarci nelle spese sociali, assistenziali e previdenziali, nelle proposte relative al sistema fiscale per capire verso quali scenari ci indirizzeremo all'indomani del 25 Settembre. E fin da ora è bene sapere che il nostro paese non spende troppo in sanità, previdenza e ricerca, anzi è tra le nazioni che destinano a queste voci meno fondi in assoluto. La classica narrazione tossica diventa propedeutica per abituare le classi subalterne a interiorizzare l'idea che ogni ulteriore attacco ai diritti sociali avverrà per il nostro bene identificato con la difesa di una economia predatoria come quella neoliberista.

03/09/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Federico Giusti

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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