I prigionieri politici durante l’ultima dittatura argentina

Le strategia di sopravvivenza umana e di resistenza politica dei detenuti politici nelle carceri speciali argentine esprimono valori universali da condividere con tutti.


I prigionieri politici durante l’ultima dittatura argentina

A partire dal 1974, prima che prendesse corpo la dittatura militare salita al potere con il colpo di stato del 24 marzo 1976 e durata fino al 1979, in una delle carceri di massima sicurezza dell'Argentina, nella città di Coronda nella provincia di Santa Fe, si svolge la storia di 1.153 giovani prigionieri politici.

Al pari degli altri Paesi sudamericani, la storia dell’Argentina, a causa di gravi squilibri socio-economici interni, risulta caratterizzata da molteplici fasi di instabilità politica con ben sei colpi di stato avvenuti a partire dagli anni ‘30 del ‘900.

In questo contesto politico oppressivo, i prigionieri politici, arrestati senza aver commesso reati, subiscono durante la reclusione un regime di torture, violenze e brutale detenzione senza essere a conoscenza del termine della pena, vivendo un terremoto personale. Solo nel 1983 ritornerà la democrazia e la stagione dei colpi di stato per l’Argentina sarà archiviata. Il nuovo governo democratico guidato da Raul Alfonsin, tuttavia, affronterà una lunga e problematica transizione data la pesante eredità lasciata dalle tre giunte militari guidate da Videla, Viola e Galtieri che si erano susseguite alla guida della dittatura fra il 1976 e 1983. 

Sintesi storica delle vicende politiche e dei colpi di stato dal 1930 al 1983.

Ripercorriamo a grandi linee le vicende legate ai colpi di stato argentini che hanno deposto i governi legittimi votati dal popolo. Il 6 settembre 1930 il generale Uriburu rovescia il governo costituzionale di Hipólito Yrigoyen iniziando così una lunga stagione caratterizzata dall’alternarsi di una serie di governi militari e di fasi democratiche che terminerà solo nel 1983. 

La "rivoluzione del ‘43", come chiamata dalla storiografia argentina, rappresenta il secondo colpo di stato in Argentina realizzato da militari filofascisti, anticomunisti e ultracattolici che depongono il conservatore Ramon Castillo, mettendo fine al “decennio infame”, nominato così  dalla persecuzione degli oppositori politici e da numerosi casi di corruzione.

Nel novembre 1946 Juan Domingo Perón fonda il "Partito unico della rivoluzione" detto anche Partito Peronista e il suo periodo di governo risulterà una stagione rivoluzionaria con politiche a favore del popolo argentino tra cui controllo statale sull'economia, nazionalizzazioni, industrializzazione e sviluppo di un mercato interno e neutralismo nel contesto internazionale. Nello specifico in campo economico vengono introdotte le seguenti misure: salario minimo, contratti collettivi di lavoro, diritto alle ferie, limiti ai licenziamenti, riconoscimento del diritto di sciopero, legge per la protezione dagli incidenti sul lavoro e nazionalizzazione della Banca Centrale, delle ferrovie, acqua, gas e telefoni.

In ambito sociale invece sono state adottate varie riforme all’insegna del progresso: edilizia popolare (vengono costruite più di 271mila case), alfabetizzazione delle classi popolari, borse di studio per gli studenti poveri e potenziamento dell'istruzione universitaria.

Grazie a Perón si registrano notevoli avanzamenti anche nel campo dei diritti civili tra cui: introduzione del voto alle donne, legge sul divorzio, diritto alla salute e uguaglianza giuridica dei coniugi.

Perón vince nuovamente le elezioni nel 1951, ma solo quattro anni dopo nel 1955 l’Argentina accusa il suo terzo colpo di stato, in questo caso guidato da Eduardo Lonardi contro il secondo governo di Perón, ormai andato in crisi di consenso popolare. 

Successivamente, il governo democratico di Arturo Frondizi, appoggiato dai peronisti, viene rovesciato da un golpe militare, nel 1962 quattro anni dopo le elezioni presidenziali. 

Nel 1966, il quinto colpo di stato in Argentina  viene compiuto da fazioni di militari con il sostegno di politici come l'ex-presidente Frondizi. 

Il 23 gennaio 1958, Perón, a seguito del rovesciamento del suo governo da parte dei militari, deve rifugiarsi presso l'ambasciata della Repubblica Dominicana e da lì partire per lo stesso paese. Infine, si trasferisce dalla Repubblica Dominicana alla Spagna franchista, dove il generale Francisco Franco gli diede asilo politico, arrivando a Siviglia il 26 gennaio 1960.

Perón, durante l’esilio nella Spagna franchista, aveva abbandonato i suoi propositi populisti e neosocialisti, avvicinandosi molto di più alla destra. 

Nei primi anni 1970, si apre la strada al ritorno di Perón a causa dell'instabilità politica che affligge il paese. Perón, chiamato a risolvere la difficile situazione interna, torna così dall'esilio in Argentina il 17 novembre 1972.

Il presidente Peron soffriva da tempo di numerosi problemi di salute, complicati da una polmonite, al punto che dovette subito demandare alla moglie gran parte del lavoro politico, e negli ultimi mesi fu privo ormai di poteri decisionali, accentrati nelle mani di Isabel; Perón morì improvvisamente il 1º luglio 1974. Una folla imponente partecipò ai funerali a Buenos Aires.

Il sesto e ultimo colpo di stato è quello del 1976 guidato dai capi delle forze armate contro Isabel Martínez de Perón, terza moglie di Perón, che porterà alla guida dell’Argentina le giunte militari: la prima giunta 1976-81 guidata da Jorge Videla, la seconda guidata da Viola (pochi mesi nel 1981) e la terza di Gualtieri (1981-1983) che condurrà il Paese alla guerra delle Falkland/Malvinas contro il Regno Unito nel 1982, il cui esito negativo accelererà la caduta del regime militare e il ritorno alla democrazia con l'insediamento del presidente eletto Raúl Alfonsin il 10 dicembre del 1983.

Incontro con Sergio Ferrari: la testimonianza di un ex detenuto politico.

Sergio Ferrari, ex prigioniero politico detenuto nel carcere di massima sicurezza di Coronda, che si trova a 500 Km ad est di Buenos Aires, racconta, nel libro scritto insieme ad altri suoi compagni di sventura “Grand hotel Coronda” delle condizioni disumane in cui hanno vissuto e dell’opera di annientamento psicologico che hanno subito durante gli anni di prigionia.

Sergio Ferrari venne rinchiuso nel carcere di Coronda all’età di 20 anni dove ha vissuto tantissimi anni sotto la dittatura militare per questo quando parla ai giovani che sono l’unica forza in grado di risollevare la crisi economica, sociale e climatica del nostro pianeta, pensa che quando lui aveva la loro età, a differenza loro, non era libero né di esprimersi né di agire.

In carcere, infatti, oltre a subire torture fisiche gli veniva impedito di parlare, di scrivere, di leggere, di interagire con gli altri. Le visite dei familiari avvenivano ogni 45 giorni e duravano soltanto 15 minuti senza contatto diretto e comunicando attraverso un tubo.

Nel libro vi è la testimonianza di come chi è uscito vivo dal carcere abbia fatto a sopravvivere. La prima sfida era riuscire a comunicare con gli altri. Attraverso uno strumento chiamato “El Periscopio” i detenuti controllavano i movimenti delle guardie e, quando nessuna di queste era nel corridoio del padiglione, cominciavano a parlare tra loro dalle finestre. Per questo motivo le finestre vennero chiuse e i detenuti misero in atto altre strategie per comunicare: o parlavano tra loro tramite il tubo del lavabo oppure picchiettavano sul muro con l’alfabeto Morse.

I carcerieri-aguzzini giurarono a Sergio ed ai suoi compagni che sarebbero usciti dal carcere “o pazzi o morti” invece ne sono usciti vivi e lucidi tanto da raccontare al mondo tutto quello che di più disumano e umiliante hanno subito. Chi li ha tenuti prigionieri ha tentato di annientarli fisicamente e psicologicamente ma evidentemente non c’è riuscito.

A distanza di 45 anni, Sergio sente ancora i compagni di sventura come fossero suoi fratelli; hanno scritto il libro tutti insieme e tutti insieme hanno deciso di tradurlo anche in italiano perché questo libro contiene e trasmette valori universali da condividere con tutti.

Il libro "Grand hotel Coronda". Racconti di prigionieri politici sotto la dittatura argentina 1974-79 del Collettivo " El periscopio".

"Coloro che hanno preso la decisione di torturare gli uomini, di condurli sino alla follia e assassinarli non saranno mai coloro che scriveranno l'ultima pagina della storia. I ricordi sovversivi dei sopravvissuti di Coronda denunciano i loro torturatori. Gli ex prigionieri hanno ottenuto giustizia e i criminali sono stati condannati. Inizia, così, una nuova pagina: che non trionfi mai l'oblio, che non si ripetano più gli atti disumani che sono stati commessi in quell'orribile carcere argentino. Grand Hotel Coronda, un libro indispensabile." (Leonardo Boff, teologo).

"Questa testimonianza dei prigionieri di Coronda è un nuovo contributo al riscatto della memoria collettiva, che respira nascosta sotto l'amnesia imposta." (Eduardo Galeano, giornalista e scrittore). 

"Questo libro rappresenta un atto di grande generosità. La generosità della memoria che non è mai un dovere, specie per chi ha attraversato i territori più estremi del dolore, ma una scelta, un cammino, un dono." (Don Luigi Ciotti, presidente Associazione Libera).

"Non ci sentiamo vittime della nostra storia. Siamo stati e continuiamo ad essere attori sociali che desiderano cambiamenti strutturali, da costruire con la gioia della consapevolezza umana. Ed è per questo che, sebbene alcune di queste pagine riflettano sofferenze molto profonde e assenze insostituibili, l'umorismo, come appare nella maggior parte del racconto, è sempre stato un'arma letale contro i nostri carnefici." (Gli Autori, Collettivo El Periscopio).

27/05/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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