L’unione inquilini di Roma svolta a sinistra

Il disagio abitativo dei romani alimenta un business milionario che non attenua il problema ma lo aggrava. Le soluzioni ci sono.


L’unione inquilini di Roma svolta a sinistra

Con l’elezione il 5 maggio di Fabrizio Ragucci a segretario dell’Unione Inquilini della capitale, il sindacato nato nel 1968 procede verso una maggiore radicalità della propria azione. Secondo il neo-segretario, Il problema-casa opprime cinquantamila romani: famiglie in lista d’attesa per un alloggio popolare, sfrattati, inquilini dei residence, affitti in nero, centri d’accoglienza e campi Rom, persone costrette a vivere in edifici occupati ecc. Una “malattia cronica” che può essere risolta solo attraverso l’assegnazione di alloggi popolari (oggi sono 400 e ne servono almeno il triplo); un piano straordinario di edilizia popolare che non offra il sacrificio di ulteriori ettari di agro alla speculazione ma che punti sulla rigenerazione del patrimonio esistente, pubblico e privato; il rilancio dell’Ater come organo pubblico; l’aggiornamento dell’accordo territoriale tra le associazioni di categoria per trasferire agli inquilini almeno parte dei benefici fiscali di cui godono i proprietari grazie alla “cedolare secca” sugli affitti.

Per il sindacato degli inquilini, non c’è bisogno di inondare le periferie di nuovo cemento, di quartieri senza servizi, di edilizia agevolata che permetta ai costruttori di usare i fondi pubblici per coprire i costi ed i prezzi di mercato per fare i profitti o di violare l’obbligo di realizzare le opere di urbanizzazione e di pubblico interesse. Al contrario, serve una politica edilizia capace di trasformare le caserme abbandonate, le stazioni dismesse, i depositi e tutte le aree inutilizzate o confiscate alla criminalità in “luoghi di rinascita urbana e sociale”; di guardare alle diverse tipologie di famiglie, portatrici di diverse esigenze abitative (immigrati, single, coppie senza figli, anziani soli); e di sequestrare gli alloggi calmierati che i costruttori utilizzano per spremere gli inquilini oltre il dovuto.

Il neo-segretario opportunamente sottolinea che: “il disagio abitativo dei romani alimenta un business milionario che non attenua il problema ma anzi lo aggrava. Nei residence, nei centri di accoglienza e nei campi Rom attrezzati, migliaia di persone vivono in una condizione di degrado e di precarietà permanente, un vero e proprio esilio civile che appare inoltre insostenibile per le casse comunali”. E malgrado l’emersione di Mafia Capitale e la nuova amministrazione pentastellata, nulla è cambiato.

Il dipartimento Politiche abitative del Comune di Roma, come sa chi lo frequenta, è un ufficio blindato e dissestato: poco personale, strutture inadeguate, pratiche infinite. Aperto due mattine a settimana con i telefoni che squillano a vuoto, per ore. La sindaca, dal canto suo, tanto per dimostrare da che parte sta, ha impiegato un anno solo per assegnare la delega alle politiche abitative e nei dieci mesi successivi la delega è poi passata di mano…due volte! Così si realizza la promessa grillina di “superare l’emergenza abitativa”. Una mancanza di direzione politica cui i burocrati suppliscono attraverso una vera e propria “autogestione dipartimentale che conferisce ai funzionari poteri di indirizzo che sarebbero esclusiva competenza degli assessori” e che porta all’arbitraria rivisitazione della politica codificata ed al respingimento delle legittime istanze dei cittadini.

Anche riguardo le occupazioni di case popolari, Ragucci sembra avere le idee chiare: “Non un colpo di spugna o una sanatoria generalizzata, ma una procedura di regolarizzazione utile a restituire diritti e doveri a migliaia di famiglie che ancora risultano letteralmente abbandonate a loro stesse. Allo stesso modo, è doveroso riconoscere alle migliaia di persone che vivono in stabili pubblici o privati abbandonati (non in case popolari) il diritto a una moratoria degli sgomberi che permetta la corretta applicazione della ‘circolare minniti’ e della Delibera Regionale sull’emergenza abitativa”.

Un sindacato che riconosce nei benefici fiscali dati dalla “cedolare secca” l’origine dell’impennata dei contratti a canone concordato e che ora chiede che quanto la collettività rinuncia non vada solo a beneficio dei proprietari ma venga ripartito anche con gli affittuari, modificando le tabelle ed i parametri con cui si calcola l’affitto. Una redistribuzione, tuttavia, che è destinata a rimanere sulla carta senza l’azione di controllo della polizia locale, dell’agenzia delle entrate e della Guardia di Finanza che, al di là della retorica grillina, non è cambiata in meglio per gli inquilini e, c’è da scommetterci, non cambierà ora che andranno al governo della Nazione.

12/05/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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