Da Caravaggio a Lukács

La mostra Da Caravaggio a Bernini quale occasione per alcune considerazioni sull’arte nella prospettiva di un’estetica marxista.


Da Caravaggio a Lukács Credits: https://www.coopculture.it/events.cfm?id=644

Il titolo della mostra, Da Caravaggio a Bernini (valutazione 7,5), è certamente un escamotage per attirare il grande pubblico, con i nomi di due artisti di maggior richiamo, sebbene di entrambi sia esposta una sola opera. Si tratta, però, di due grandissime opere che aprono e, almeno idealmente, chiudono un significativo percorso fra i Capolavori del seicento italiano nelle Collezioni reali di Spagna esposti fino al 30 luglio alle Scuderie del Quirinale di Roma.

Ridotta in epoca fascista a un’autorimessa, a seguito del restauro della grande architetto Gae Aulenti a fine anni novanta, è divenuta un importante spazio espositivo dove si possono ammirare le rare significative mostre di passaggio a Roma. A dimostrazione, ancora una volta, che non è affatto vero che il privato offra servizi migliori del pubblico, considerato che nessuna sala espositiva privata è in grado di offrire mostre all’altezza delle Scuderie del Quirinale. Dunque, sebbene stravolto in una società capitalista fondata sulla ricerca del profitto privato, è proprio il pubblico, proprio perché non del tutto ridotto a questa perversa logica, a poter ancora offrire delle significative esperienze estetiche. Anche se si tratta, come quasi sempre avviene, di un prodotto di importazione, in questo caso dalla Spagna da cui provengono oltre alle opere la ideazione della mostra. Se ciò costituisce il grande aspetto progressivo del modo di produzione capitalistica, che getta le basi per una socializzazione al livello internazionale delle attività produttive, testimonia anche il periodo di crisi anche creativa che sta vivendo, in particolare il nostro paese.

D’altra parte le opere sono quanto meno ben esposte e illuminate e, una volta tanto, ben presentate e introdotte nelle sale espositive. Anche la selezione appare piuttosto ben riuscita, almeno al piano inferiore, dove intorno a grandi opere di Caravaggio, Guido Reni, Guercino, Velasquez e Ribera, vi sono opere di autori minori che, una volta tanto, non sfigurano e non fungono da mero riempitivo, ma sono funzionali a contestualizzare i capolavori esposti e a farne emergere per contrasto i tratti distintivi. Da questo punto di vista significativo è il confronto, proposto nella prima sala, fra l’eccezionale rappresentazione realistica, che fa di Caravaggio un grandissimo artista, e la rappresentazione manieristica in voga all’epoca di un tema analogo (Giuditta e Oleoferne di Fede Galizia).

Appare così la differenza fondamentale, già individuata da Kant nella Critica del giudizio, fra un artista di genio e un manierista, ossia che il primo dà la regola all’arte, che il secondo si limita a riprodurre. Tale differenza, come ha evidenziato in particolare l’estetica di Lukács – il più significativo tentativo di elaborare una filosofia dell’arte su basi marxiste – si fonda sull’impostazione realistica del grande artista, che non può essere confusa con il naturalismo della rappresentazione manierista. La prima rappresenta una forma particolarmente efficace di comprensione della realtà ontologica, come già Aristotele aveva mostrato, proprio perché non si limita a riprodurre singoli aspetti dell’esistente, la mera parvenza della realtà, ma ne consente di cogliere, per dirla con la logica hegeliana, attraverso il fenomeno l’essenza. In tal modo lo Stagirita riesce a cogliere la grandezza dell’arte, al di là della condanna platonica, che condannava l’arte in quanto ancora fondata su una visione mitologico-religiosa del mondo e in quanto imitazione dell’imitazione, ovvero in quanto mera copia degli aspetti puramente fenomenici del reale, che non sono altro che ombre di quella realtà effettuale, che Hegel definiva Wirklichkeit, per distinguerla dalla mera Realität.

Dunque mentre l’artista di genio, come Caravaggio, rappresenta in modo nuovo e creativo la realtà effettuale, cogliendo la necessaria relazione fra essenza e fenomeno, e creando così un capolavoro imperituro, la cui capacità di produrre godimento estetico è garantita für Ewig – per usare l’espressione goethiana rielaborata da Gramsci – il suo epigono manierista si limita a riprodurre singoli aspetti della realtà nella sua immediatezza, nella sua parvenza, alla maniera allora in voga di un genio del passato. Dunque, per dirla con il giovane Lukács interprete di Hegel, si prende coscienza della realtà quando la si ricomprende dal punto di vista della Totalität, che sola da senso ai suoi aspetti particolari. Anche se la peculiarità della comprensione artistica della realtà, che la rende poi tanto preziosa – in quanto più vicina alla vita rispetto alle astrazioni della scienza – dipende dalla sua capacità di esprimere in una forma intuitiva la realtà nella sua complessità.

Da questo punto di vista, giovandoci ancora della lezione dell’estetica lukacsiana, possiamo dire che l’arte consentendo di cogliere in maniera intuitiva, attraverso un’esperienza particolare, mediante il destino peculiare di individui tipici, la complessità del reale, ha una forma più democratica della stessa scienza, che comprende il reale attraverso leggi e concetti astratti, che richiedono competenze generalmente fuori del comune per essere intesi. Proprio per questo una grande opera di Caravaggio è in grado di farsi apprezzare anche dal grande pubblico, è godibile universalmente, a differenza, ad esempio della Scienza della logica di Hegel che richiede, per essere fruita e apprezzata un sapere decisamente specialistico.

Un altro aspetto che si può cogliere intuitivamente attraverso la visita alla mostra alle Scuderie è la superiorità della comprensione materialistica della realtà, propria di un genio assoluto come Caravaggio, difronte alla sua visione idealistica, propria ad esempio di un grande pittore, rappresentato alla mostra da due significative opere, come Guido Reni. Per quanto notevole e apprezzabile lo sforzo di quest’ultimo di superare in una forma idealizzata le contraddizioni della realtà (cfr. in particolare la Santa Caterina), che non possono che stridere con la nostra esigenza di ordinare armonizzandola la differenza altrimenti irriducibile del reale, la sua capacità di comprendere la realtà nella sua complessità è decisamente inferiore a quella di Caravaggio. Quest’ultimo, proprio in quanto non pretende di risolvere, per dirla questa volta con Adorno, al livello del pensiero le contraddizioni del reale, proprio in quanto comprende lo scarto mai del tutto superabile fra reale e razionale, non solo ci consente di cogliere in modo più efficace il primo nella sua pur contraddittoria complessità, ma ci induce a volerlo ulteriormente razionalizzare rivoluzionandolo mediante la prassi, che compie il processo di umanizzazione del mondo naturale.

La superiorità della prospettiva materialistica del realismo di Caravaggio rispetto al naturalismo manieristico di un notevole pittore presente alla mostra, con una importante opera (Lot e le figlie), come Guercino, appare in modo altrettanto intuitivamente evidente raffrontando i quadri esposti. Nel caso di Caravaggio abbiamo una interpretazione creativa e, dunque, rivoluzionaria della realtà, che ce ne consente una comprensione maggiore, proprio in quanto il genio artistico mira a un rispecchiamento della realtà nella sua contraddittoria complessità. Al contrario un pittore di maniera per quanto eccelso come Guercino, sviluppando la sua comprensione del mondo non attraverso un drammatico confronto con la realtà storica e sociale, ma attraverso un ripensamento tutto interno al mondo idealistico dell’arte, non può che offrirci un rispecchiamento non altrettanto significativo. Dunque, per quanto possiamo ammirare le capacità fuori del comune di un Guercino di interpretate il mondo reinterpretando in modo originale il suo rispecchiamento pittorico, la sua comprensione intellettualistica del reale non ci fa apparire il suo rispecchiamento altrettanto vicino alla vita stessa, altrettanto universalmente comprensibile e immortale del rispecchiamento materialistico prodotto da Caravaggio.

La mostra, attraverso il percorso storico, che ci ripropone, mediante l’immediatezza della rappresentazione estetica del mondo, ci porta a reinterrogarci sulla tragedia storica del nostro paese che, pur avendo anticipato con la rivoluzione dei comuni, allora la rivoluzionaria società borghese, ha finito per essere per secoli dominata da paesi come la Spagna nel caso specifico illustrato dalla mostra, ma anche la Francia e in qualche modo l’Inghilterra dove si erano affermati stati nazionali unitari. Sono stati questi ultimi infatti a fornire la misura adeguata atta alla realizzazione storica di quella società moderna, borghese, che i comuni avevano pur precedentemente adombrato. L’incapacità di questi ultimi a trovare la misura atta a valorizzare la propria qualità, l’affermarsi del particolarismo campanilistico, ha portato gli staterelli italiani, eredi dei comuni, a contendersi il ruolo di satelliti dei grandi stati nazionali in via di formazione.

Vediamo così, come tutta la ricchezza culturale prodottasi in Italia, a seguito di questa rivoluzionaria esperienza storica dei comuni, finisce per essere svenduta alla Spagna, dalle classi dominanti asservitesi alle signorie, pur di mantenere i propri privilegi nei confronti del popolo minuto. Così vediamo come parte significativa del patrimonio artistico e degli stessi grandi artisti italiani sia stato posto al servizio della Spagna che nel suo secolo d’oro, si è in modo sempre più deciso appropriata dello stesso ruolo guida svolto nella precedente epoca storica dall’Italia.

Assistiamo così, nel corso della mostra, a come l’allievo spagnolo abbia progressivamente superato il maestro italiano, attraverso l’emergere di pittori di eccezione come Velázquez, rappresentato alle Scuderie da un capolavoro quale Tunica di Giuseppe e Ribera, presente con almeno quattro opere d’eccezione, fra cui spiccano S. Girolamo penitente e Giacobbe e il gregge di Labano. Possiamo così vedere come gli spagnoli sappiano fare propria la lezione della grande arte italiana, che i potenti del nostro paese gli avevano svenduto per il piatto di lenticchie delle loro piccole ambizioniegoistiche, sviluppandola in modo progressivo attraverso una rinnovata capacità di rispecchiare artisticamente il mondo. Mentre gli artisti italiani, ridotti progressivamente ad artisti cosmopoliti, per il mancato sviluppo in senso nazionale della società comunale italiana, hanno finito alla fine del secolo a ridursi a dipingere alla maniera spagnola, come possiamo vedere nelle opere presenti alla mostra di un Luca Giordano.

Infine la mostra ci permette di comprendere in modo intuitivo quanto il soggetto dell’opera sia importante, ma quanto sia altrettanto importante la forma artistica che assume nell’opera di genio. Limitiamoci a due opere a questo proposito essenziale esposte alle Scuderie. Fra le grandi opere di Ribera esposte spicca, per la sua relativamente mediocre qualità, il Ritratto equestre di Don Giovanni d’Austria di Ribera. In tal caso il carattere reazionario del soggetto raffigurato, il repressore della rivolta di Masaniello, la natura strumentale dell’opera prodotta su commissione, impone al pittore non solo un soggetto non sentito, che gli resta esteriore, ma una forma convenzionale. L’opera non è più strumento di godimento estetico, ma è ridotta a mezzo di riproduzione della forza lavoro dell’artista e strumento atto a rappresentare la volontà di potenza del committente.

Al contrario il Crocifisso del Bernini, pur essendo un tema all’epoca convenzionale, in linea con l’ideologia dominante, è decisamente un capolavoro, infinitamente superiore alle opere del suo rivale Algardi che, pur rappresentando un tema in controtendenza (delle divinità pagane) rispetto alla dominante ideologia della Controriforma, risultano opere di maniera e non certo di genio. Mentre Bernini appare in grado di rappresentare in modo creativo e innovativo uno dei temi più comuni al tempo, come la tragedia della morte di dio, Algardi riproduce in un conformistico stile barocco, allora in voga, il suo soggetto umanistico. Non è un caso che mentre le opere di Algardi furono esposte pubblicamente in Spagna, la “rivoluzionaria” rappresentazione artistica del Bernini fu preso rimossa dalle Collezioni reali e sostituita con una opera meramente manieristica di Domenico Guidi, proprio per l’involuzione in senso reazionario dello Stato spagnolo nel XVIII secolo.

29/04/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.coopculture.it/events.cfm?id=644

Condividi

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: