Due film e un libro per riannodare i fili della memoria storica

“Remember”, “I segreti del Quarto Reich”, “L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo”.


Due film e un libro per riannodare i fili della memoria storica

“Remember”, “I segreti del Quarto Reich”, “L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo”. Due libri e un film che cercano, con esiti diversi, di riannodare i fili della memoria storica. Mentre Remember appare un’occasione tutto sommato perduta, in quanto la riflessione storica diviene strumentale alla costruzione di un thriller alla Hitchcock, I segreti del quarto Reich denuncia coraggiosamente come l’anticomunismo abbia garantito l’impunità dei criminali nazisti. L’ultima parola riesce a essere al contempo un ottimo film di denuncia senza essere né noioso, né intellettualistico.

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

Remember[valutazione 6,5] è un intrigante e ben confezionato thriller, un’opera di genere sapientemente costruita, che interessa lo spettatore anche intellettuale, in quanto tocca un tema sostanziale: l’impunità dei crimini nazisti, di cui è in primo luogo responsabile una scarsa memoria storica in un mondo sempre più preda della tenebra del quotidiano. Abilmente diretti, fra gli attori brillano in particolare il protagonista Christopher Plummer, grande attore shakespeariano, Martin Landau che garantisce la continuità ricercata con Hitchcock, maestro del genere, Bruno Ganz, icona del nuovo cinema tedesco. In effetti, il canadese di origini armene Atom Egoyan, regista navigato e discretamente dotato, cerca una sapiente fusione del thriller hollywoodiano, che garantisce la godibilità dell’opera, con l’elemento riflessivo della tradizione autoriale europea. Il risultato è discreto, anche grazie a un colpo di scena finale ben orchestrato, tanto imprevedibile quanto poco verosimile.

Tale inattesa conclusione, non dettata da ragioni di mercato, garantisce anche una certa catarsi, lasciando riflettere lo spettatore sul fatto che i criminali, nonostante l’impunità garantita dal sistema, non possono dormire sonni tranquilli e che è possibile, mediante la memoria storica, una presa di coscienza che può portare a una reale, anche se piuttosto inverosimile, trasformazione radicale del carnefice in uno strumento di giustizia.

Il film è anche lodevole in quanto ricorda come nei campi di sterminio siano stati trucidati non solo gli ebrei, ma anche gli omosessuali. Inoltre, mostra coraggiosamente come una certa impostazione giustizialista e la profondissima ignoranza storica, in una società sempre più squallida, possa portare gli stessi tutori dell’ordine costituito ad attitudini e comportamenti nazisti. Del resto, più la crisi del capitalismo in mancanza di alternative precipita la società nella barbarie, più diviene allarmante la denuncia di Bertolt Brecht: “il ventre che partorì il nazismo è sempre pregno”.

D’altra parte il film e il suo regista portano avanti una critica compatibile con il sistema dominante, che non ne mette in discussione i capisaldi, né indaga le sue profonde responsabilità nell’impunità dei crimini nazisti. In tal modo il rischio è che il nazismo e le sue mostruosità siano considerati un residuo del passato, che certo può affascinare qualche nostalgico cialtrone, ma che resta comunque altro rispetto al mondo capitalista e agli Stati Uniti d’America.

Da questo punto di vista decisamente più significativo e meno timoroso di dire la verità, per quanto rivoluzionaria possa essere, è il libro recentemente pubblicato da Newton Compton: I segreti del Quarto Reich, di Guido Caldiron studioso del nazifascismo, frutto di due anni di ricerca di archivio. Il libro documenta la rete internazionale che ha permesso la fuga e poi ha protetto i criminali nazisti, a partire dai vertici delle SS. A tale rete hanno cooperato forze radicali di destra, il Vaticano [1] e i servizi segreti anglo-americani, che se ne sono serviti in funzione anti-comunista. Si pensi, ad esempio, a Klaus Barbie, che si era guadagnato il soprannome di “boia” quando era a capo della Gestapo a Lione, che sarà arruolato dalla Cia in Germania dopo il 1945.

Del resto, prima ancora della fine della guerra, gli angloamericani, in funzione antisovietica, iniziarono ad arruolare gli sconfitti, italiani, tedeschi e giapponesi anche macchiatisi di crimini di guerra. I servizi di questi grandi Paesi liberali non solo si servirono di ex SS, ma, con l’“Operazione Paperclip”, trasferirono negli Usa “un centinaio di scienziati che avevano lavorato ai progetti di nuovi armamenti di Hitler in laboratori che avevano utilizzato i prigionieri dei lager come cavie umane” [2].

Del resto già Simon Wiesenthal (1908–2005), l’uomo che più di ogni altro aveva dedicato la propria esistenza a far sì che la memoria degli orrori del nazismo e i suoi tragici protagonisti non fossero dimenticati, aveva denunciato “come migliaia, forse addirittura decine di migliaia, di criminali di guerra nazisti e fascisti (…), avessero trovato rifugio e si fossero rifatti una vita in America Latina, come nel Medio Oriente o nella Spagna del dittatore Francisco Franco” [3].

Altrettanto preziosa ed efficace è la denuncia della caccia alle streghe scatenata negli Stati Uniti contro gli intellettuali non allineati, comunisti, socialisti e democratici, nell’ottimo film di Jay Roach L'ultima parola - La vera storia di Dalton Trumbo [valutazione 9]. In questo avvincente film, tanto coraggioso quanto interessante, il regista dimostra come pure negli odierni Stati Uniti sia possibile realizzare un ottimo esempio di un’opera improntata al realismo socialista, in grado di rivolgersi a un pubblico molto ampio senza dover perciò dover rinunciare all’impegno politico e alla documentata denuncia storica.

Non a caso gli odierni inquisitori nostrani si sono subito attivati per impedire che un film del genere potesse uscire dalla contemporanea lista nera, in cui devono essere condannate o passate sotto silenzio le opere realiste e impegnate, soprattutto se non si nascondono nell’ermetismo aristocratico delle opere intellettualistiche rivolte a una casta di cinephile di regime, nel senso dell’attuale regime “liberal-democratico”. Il film oltre a presentare la grande umanità, l’alta moralità, lo spirito di sacrificio, l’ottimismo della volontà di un intellettuale comunista – la categoria nettamente più messa all’indice e discriminata dall’odierno pensiero unico liberista – compie un autentico delitto di lesa maestà rifiutando la vulgata formalista e post-moderna, lo sterile citazionismo, il cinismo da cretino così alla moda fra gli intellettuali di regime, gli odierni Tui.

Il regista infatti, invece di impegnare le proprie energie all’ammirarsi la lingua, invece di dare un saggio di un’arte elitaria e snobistica – intenta unicamente ad aggiornare la distruzione della ragione e la morte dell’arte – realizza un’opera che lascia molto da pensare allo spettatore, senza dover perciò rinunciare al godimento estetico. I personaggi appaiono al contempo tipici e originali, anti-eroici e titanici nel loro essere costretti ad affrontare a viso aperto la brutalità di un sistema imbevuto di antisemitismo, anti-intellettualismo, antibolscevismo. Tutto ciò senza mai scadere nella retorica, nel film a tesi, nella semplificazione, nel manicheismo.

Possiamo così ammirare i magnifici dieci di Hollywood, che non solo non abiurarono come Galilei dinanzi alla violenta censura del potere, ma lo sfidarono a viso aperto, senza spirito di martirio e titanismo alla Giordano Bruno, ma con la determinazione di portare avanti una lunga, dura e sporca guerra di posizione, che si rivelerà tutto sommato vincente, nonostante l’incredibile disparità di forze. Allo stesso tempo il film non nasconde i pesantissimi costi di tale durissimo conflitto, le cui responsabilità ricadono totalmente sulla violenza del potere che, per difendere i privilegi di un modo di produzione sempre più anti-sociale, non ha esitato a lanciare una vera e propria crociata contro l’intellighenzia sinceramente democratica del Paese.

Il film non cela neppure le contraddizioni, i lati deboli, umani, del protagonista, il coraggioso e generosissimo sceneggiatore comunista Dalton Trumbo. Mostra come, per vincere con un nemico così potente, si debba saper dialettizzare la tattica con la strategia, essere determinati, senza perdere (quasi) mai la tenerezza, senza Ressentiment ma, anzi, dimostrando un’indubbia superiorità etica e morale nei confronti dei propri avversari.

Il protagonista, infatti, evita qualsiasi forma di opportunismo di destra, di cedimento sui princìpi di fondo, ma senza mai cedere alle sirene dell’opportunismo di sinistra, al beau gest velleitario di chi, per non sporcarsi le mani, si limita a una inerme opera di testimonianza. Infine la stessa conclusione, che potrebbe essere intesa come una riduzione di una tragedia storica a una conservatrice conclusione da commedia – in cui dopo tutti i travagli e le peripezie si ristabilisce con il lieto fine l’equilibrio di partenza, all’insegna del “chi ha avuto, ha avuto... chi ha dato, ha dato, scurdámmoce 'o ppassato” – ha in realtà una profonda carica catartica.

All’insegna del brechtiano “sventurato quel popolo che ha bisogno di eroi” Trumbo, pur rivendicando l’importanza di chi non ha chinato la testa e ha lottato fino alla cancellazione della lista nera e alla riabilitazione dei condannati per stregoneria, evita di sparare sulla croce rossa dei compagni che non hanno saputo resistere alla terribile violenza del potere e hanno abiurato. Dal punto di vista universale della storia anche queste penose cadute, queste forzate dissociazioni e pentimenti, debbono essere messe sul conto della violenza del potere al servizio del privilegio e non ricadere sulle fragili spalle di chi non ha avuto la forza sufficiente a divenire, suo malgrado, un eroe.

 

Note

[1] “In nome dell'anticomunismo molti religiosi avevano sostenuto apertamente sia Hitler che Mussolini e così ritennero di dover assistere gli ex nazisti e collaborazionisti che si davano alla fuga. In particolare il vescovo austriaco Alois Hudal, che era responsabile della chiesa di Santa Maria dell'Anima a Roma e aveva un ruolo di primo piano nella Pontificia Commissione Assistenza profughi, che agiva sotto l'egida del Segretario di Stato, e futuro Papa, dal 1963, con il nome di Paolo VI, Giovanni Battista Montini, mise in piedi quella che sarebbe diventata celebre come ‘ratlines’: la via di fuga che avrebbe portato in salvo criminali del calibro di Mengele, Eichmann, Barbie, Priebke e decine e decine d’altri”.Intervista a Guido Caldiron: Shoah, come Occidente e Chiesa salvarono i criminali nazisti

[2] Ibidem.

[3] “In ogni caso, la presenza di questi personaggi si sarebbe legata, anche a molti decenni di distanza dalla caduta del Terzo Reich, allo sviluppo di una nuova ‘internazionale nera’ e alla repressione feroce dei movimenti di liberazione”. L'implacabile “cacciatore di nazisti”

19/02/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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