Conflitti e compromessi

E' legittimo il meccanismo dell'INVALSI?


Conflitti e compromessi

Un ente di ricerca autonomo come pretende di essere l’INVALSI riceve incarichi dal MIUR che lo finanzia non per la svolgimento di ricerche autonome, ma per rinforzare l’attività di controllo e di premialità sui suoi dipendenti. Ma è legittimo tutto questo meccanismo?

di Piero Castello e Renata Puleo*

Il Gruppo NoINVALSI nel corso del 2015 si è impegnato a documentare come tutta la normativa a sostegno dell’INVALSI abbia avuto come caratteristica saliente quella di sottrarsi a un processo democratico di conoscenza da parte dell’opinione pubblica, professionisti della scuola e famiglie, e anche quella di evitare una discussione nelle commissioni e nell’aula dello stesso Parlamento.

Le tappe dalla creazione, al rafforzamento e all’ampliamento dei compiti che l’INVALSI svolge oggi, hanno avuto come fonti normative atti con valore di legge (decreti legge, decreti legislativi) che hanno appena sfiorato il Parlamento, senza mai fare i conti con i tempi e le modalità dei lavori d’aula che la Costituzione prevede per la formazione delle leggi. In più di un caso la normativa sul Servizio Nazionale di valutazione si è ridotta a mero problema di economia e finanza, inserito in commi del faticoso e indigeribile testo delle leggi finanziarie.

L’INVALSI lavora dal 1999 circa (D.lgs 20/07/1999 n. 258; riordino D.lgs 19/11/2004 n.286) a Villa Falconieri, Frascati, edificio allora occupato dal Centro Europeo dell’Educazione (CEDE), ente di diritto pubblico istituito dal decreto delegato n. 419 del 31 maggio 1974, che proprio la ricerca e la sperimentazione normava e promuoveva, oggi soppresso.

Nel 2011, con un classico esempio di annodamento delle norme atto a rendere la loro lettura un labirinto, viene pubblicato un decreto ministeriale (DM 02/09/2011 n.11) che, all’art 1, richiamando il D.lgs sul riordino degli istituti di ricerca (31/12/2009 n.213 ), assume a norma lo statuto dell’INVALSI, emanandolo dunque in forma decretizia [1].

In base a tale testo, all’art 2 del suo Statuto, l’INVALSI è qualificato come ente autonomo di ricerca, stabilizzato come tale, con il plurimo riconoscimento di “ricercatore” accreditato a livello europeo (Carta Europea/Raccomandazione del 2005) e di “valutatore ufficiale” del Sistema Nazionale di Valutazione scolastico (SVN).

Dunque, l’Istituto è il perito incaricato dal MIUR di verificare, mediante le prove censuarie (test classi primaria e secondaria), progetti sperimentali (Valutazione Qualità Scuola-VQS, VALeS, ecc), progetti nell’ambito del Piano Operativo Nazionale (PON), il livello degli apprendimenti degli studenti italiani. Il complesso dei dispositivi in uso, i test, i Rapporti di autovalutazione (RAV), i questionari rivolti a Dirigenti, Studenti, Insegnanti, Genitori e, come ha “candidamente” dichiarato dal Capo Dipartimento per la Programmazione del MIUR dott. Biondi, i progetti di osservazione esterna (VQS 2011-2015) atti a verificare la reazione delle scuole al meccanismo degli incentivi (premialità), dimostra che il lavoro di perizia condotto dall’INVALSI ha chiari scopi di ordine panottico-economico.

Del resto, a questo scopo serve il nodo decretizio: un’attività di controllo verticalizzato. Essa ha il suo punto di aggancio nella legge Bassanini del 1997 (15/03/1997 n. 241) sul riordino della pubblica amministrazione e nel decreto noto come legge Brunetta (D.lgs 27/10/2009 n.150), per l’enfasi con cui il firmatario la presentò all’opinione pubblica: valutare per premiare il merito e per eliminare i “fannulloni”. Al di là del folklore si tratta, come fanno notare alcuni autorevoli membri dell’Associazione Nazionale Presidi (ANP, ora associata alla European School Heads Association), di norme, non ancora pienamente assunte dal MIUR, che impongono la misurazione, la valutazione delle performances (art.3 cc1 e 2) tramite organizzazioni esterne “indipendenti”, dei pubblici Dirigenti/managers; costoro, a cascata, valutano, premiando e punendo, i sottoposti (artt 10/19/32 ecc).

Il principio ispiratore a capo dei dispositivi di controllo erano e sono gli “ordini di servizio” dei “raccomandatori” europei, i documenti e gli articoli dei “suggeritori” confindustriali italiani. Lo scopo è di produrre un allineamento agli standard, fissati a livello europeo, di risparmio nel settore pubblico dell’istruzione (anche per l’università, mediante l’istituto gemello dell’INVALSI, l’ANVUR)[2]. Attività che non paiono finalizzate a rilevare la lettura delle criticità e la predisposizione dei piani di miglioramento, ma alla messa a valore economico del capitale umano con il minimo sforzo economico.

Un commento sull’attività dell’INVALSI, con qualche effetto di paradosso, lo pubblica la Fondazione Agnelli. Tale organismo (a personalità giuridica) incaricato nel 2011 di condurre una sorta di indagine parallela sulla sperimentazione Valutazione Qualità Scuola (VQS), “rodaggio” dell’intero sistema nazionale di valutazione, ne rileva nel suo rapporto finale (febbraio 2015) tutte le incongruenze, soprattutto la “celebrazione” (sic) della premialità. Enfatizzazione che pervertirebbe gli scopi di un autentico lavoro sperimentale di osservazione dei processi dell’autonomia scolastica messi in campo dai Dirigenti e dai Collegi negli istituti italiani. Insomma, sembra di capire, lo scopo di misurare il valore aggiunto nella formazione di capitale umano va perseguito seriamente e non con la vaghezza delle ipotesi sperimentali dell’INVALSI.

Se l’attività di ricercatore appare un po’ rozza, a detta degli esperti della fondazione torinese, rimane quella di controllo svolta per conto del MIUR. L’autonomia come ente di ricerca a cosa è ridotta? Che fine fa l’integrità della ricerca prevista dalle Linee Guida elaborate dal Consiglio Nazionale della Ricerca (31/12/2015) a cui anche l’INVALSI, accreditato dal MIUR in tal senso, dovrebbe richiamarsi? C’è la possibilità che si prefiguri un conflitto fra scopi se non fra interessi? Vediamo cosa recitano le Linee Guida al punto 7 del paragrafo A (titolato “Dignità”, pag.3) e al punto 2 (titolato “Condotte scorrette” pag.9):

p.7: “[…] Esplicitare e gestire i conflitti di interesse potenziali ed effettivi: i ricercatori evitano le circostanze in cui il loro lavoro può essere esposto a conflitti d’interesse in grado di influenzare significativamente la loro obiettività. In ogni caso, la natura di eventuali conflitti di interesse deve essere esplicitata con trasparenza e completezza nelle sedi opportune e nelle modalità eventualmente previste, al fine di consentire l’apprezzamento da parte dei terzi del possibile condizionamento o effetto discorsivo di tali interessi.

I conflitti di interesse possono essere diretti o indiretti nonché di natura professionale, istituzionale o personale (come legami, contrasti o rivalità)

p.2: “[…] Accettare fonti di finanziamento o ruoli professionali eticamente incompatibili con l’attività di ricercatore secondo criteri e norme che regolano il proprio ente di afferenza e il buon andamento della Pubblica Amministrazione”

L’attenzione delle Linee guida è puntuale, specifica e, allo stesso tempo, in generale, sembra poter essere riferita anche alla possibilità che nell’INVALSI, come in un qualsiasi altro ente di ricerca, si manifestino e si realizzino conflitti che distorcono impostazioni ed esiti della ricerca, che causano danni gravi al suo oggetto e campo, che non vigilano a sufficienza circa l’uso che dei dati e dei risultati delle ricerche viene fatto dal committente.

Il legame con la politica di governo in ambito scolastico (legge 107/2015, La Buona Scuola), quello con le fondazioni e le associazioni del mondo eco-finanziario, Fondazione Agnelli, TreeLLLE, Compagnia di San Paolo, Comunione e Liberazione, malgrado la superficialità nell’uso dei concetti economici applicabili alla produzione di conoscenza e di competenza, fa dell’INVALSI un perito ideologicamente orientato? E l’istituto eccessivamente “interessato” alla difesa di interessi estranei al suo mandato istituzionale, in un gioco di influenze reciproche, distorcenti?

Si configura un “conflitto di interesse” con impatto a carattere giuridico-giudiziario? Può un ente autonomo ricevere incarichi dal MIUR che lo finanzia non per lo svolgimento di ricerche autonome ma per rinforzare l’attività di controllo e di premialità sul sistema alle dipendenze del ministero medesimo? Dipendenza tra l’altro politica e non strutturale essendo quello di un insegnante un rapporto esclusivo con l’interesse nazionale, come sancisce la Costituzione (art 98).

Proviamo a spiegarci meglio mediante un esempio che utilizziamo spesso, con qualche efficacia euristica, utile anche allo scopo di questa riflessione. Ammettiamo che l’INVALSI sia una sorta di Autority, gli enti terzi chiamati a comporre, mediante proprie valutazioni, vertenze fra cittadini, enti, società, Stato, su un terreno di lavoro extragiudiziale. La più famosa di queste Autority è quella che tutela l’uso dei dati personali. L’ipotesi dell’esempio è: “alcuni dei membri dell’autorità sono anche titolari di un’agenzia di investigazione privata, altri sono legati a imprese e attività economiche e commerciali”. Nel caso, potrebbero essere dichiarati “terzi”? Non starebbero invece presi in una “componenda” sbilanciata verso un solo lato del patto di cui sono garanti? [3].

Alcuni giuristi, cattedratici di diritto amministrativo da noi consultati, ci dicono che l’esempio, per quanto suggestivo, non vale. Infatti, al momento, risulta indimostrabile un legame effettivo fra le associazioni confindustriali di cui su e l’INVALSI, così come l’utilizzazione da parte del Governo del MIUR dei dati forniti dai test per colpire gli stipendi dei docenti in forma anti-contrattuale, o per adottare provvedimenti disciplinari.

Ma di fatto, nei fatti, tale legame esiste, basta scorrere i commi della legge 107/2015 che riguardano la valutazione dei docenti e l’assegnazione di incentivi per la “(valorizzazione”dal 126 al 130), l’incremento ultimo degli avvertimenti (primi gradi di sanzione) comminati agli insegnanti renitenti alla somministrazione di test, i tagli ai fondi per le scuole poco competitive e performanti. Non bisogna essere paranoici per capire che esiste un nesso fra l’andamento della somministrazione, degli esiti delle prove INVALSI e l’effetto sulla carriera del docente, non solo economica, ma anche in termini di prestigio professionale e sociale.

Per ciò che si riferisce propriamente all’interesse del mondo eco-finanziario, basta leggere i documenti sulla scuola pubblicati sui siti delle associazioni ad esso legate, far caso alla coincidenza di incarichi che hanno visto negli anni banchieri e economisti bocconiani alla guida dell’INVALSI.

Se non bastano queste evidenze a muovere un’azione giudiziaria, sicuramente servono a mobilitare quella politica. E il nostro apologo-esempio torna in campo: eterogeneità dei fini? Opportunistica copertura come ente ricercatore autonomo per un gruppo di occhiuti periti al soldo del ministero, in realtà dunque completamente disinteressati alla ricerca (come si è visto condotta in modo maccheronico) ma molto ai test? Prove sulla cui preparazione infatti si impegnano la maggior parte delle risorse sia umane (i peones che preparano i quesiti e i dirigenti che governano la baracca) sia economiche. Davide Borrelli include queste operazioni ideologiche di copertura e di eterogenesi, nel concetto di “aleturgia” coniato da Foucault: produzione di verità, spudorata esibizione del vero, sforzo continuo di elaborazione di consenso intorno a ciò che si vuole provare. Nel caso specifico, come per l’ANVUR, l’agenzia di valutazione dei prodotti della ricerca universitaria, si vuole dar prova provata che il sistema pubblico di istruzione non funziona e va penalizzato, non finanziato.

Forse, si potrebbe anche rinvenire, senza troppo invadere la materia giuridica, un danno per “petizione di principio” (petitio principii) inferto dall’INVALSI, complice del MIUR, ai dipendenti dello stesso. In poche parole si tratterebbe mediante i test di provare qualcosa già supposto, ipostatizzato, come vero: la valutazione finora effettuata dai docenti genera una platea studentesca non preparata alla competenze individuate a monte come uniche veramente efficaci per affrontare la vita adulta [4]. Ergo, la scuola pubblica italiana, così com’è risulta inadeguata [5].

Lo scopo sovranazionale dell’attacco alla scuola, come ben documentato da molti articoli del quotidiano britannico The Guardian, e da voci autorevoli di analisti e educatori del Brasile e del Venezuela (paesi attualmente strozzati nei progetti anche debolmente socialdemocratici), mira a chiudere la stagione dell’istruzione di massa di qualità inclusiva. Serve forza lavoro dequalificata (anche l’ultimo rapporto Istat collega i dati della disoccupazione italiana alla eccessiva qualificazione dei nostri giovani!). E’ funzionale al neoliberismo feroce rendere di nuovo la conoscenza, soprattutto quella disinteressata e critica, un bene raro. E’ necessario creare ampie aree di nuova servitù.

In questo senso tutti i dispositivi messi in campo dall’INVALSI non sono al servizio della scuola, non costituiscono un’analisi accurata delle sue pratiche didattiche e valutative allo scopo di alzarne l’impatto, la capillarizzazione e la valorizzazione (non economica ma epistemologica).

Non ultimo: com’è che si stabilizza per decreto un istituto di ricerca mentre si demoliscono i dipartimenti universitari che di studio, formazione superiore, diffusione di prodotti culturali sul territorio si dovrebbero occupare? Perché si impedisce ai cattedratici, non solo di scienze umane (filosofia, scienze pedagogiche, sociologia) ma anche di economia di fare il loro lavoro con gli studenti e con i ricercatori se non è conforme al paradigma ufficiale fornito dalle categorie dell’ANVUR? La valutazione come “facoltà di giudizio”, impegno a tutto tondo per capire cosa succede nella relazione fra chi insegna e chi impara, non solo dal punto di vista di una buona tecnica, ma della sinergia fra saperi, è compito del lavoro universitario insieme a quello di base, svolto dai tanti intellettuali che a scuola lavorano, producendo cultura non solo trasmettendola.

Tutto questo complesso di atti e di attività svolti dalle agenzie nazionali di valutazione serve ad alimentare l’interesse dei rottamatori di governo. Così, il collegamento politico fra Buona scuola, JobsAct e manovre contro l’impianto costituzionale, è di stridente evidenza. Torna con vigore politico, di lotta, la parola “interesse”: interesse proprietario, versus quello volto al “comune” inappropriabile, come lo sono i saperi.

*Gruppo NoINVALSI di Roma

Note:

[1] Dpr 2 settembre 2011, art1 (Finalità): “ Per le finalità indicate in premessa è adottato, ai sensi del decreto legislativo 31 dicembre 2009 n.213, recante <<Riordino degli enti di Ricerca in attuazione dell’articolo 1 della legge 27 settembre2007, n. 165 >>, ed avvalendosi del potere sostitutivo previsto dall’articolo 3, comma 3, del medesimo decreto legislativo, lo statuto dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI).”

[2] Si vedano in proposito i materiali pubblicati dalla rivista on line ROARS

[3] Componenda è un termine spagnolo adottato a livello ecclesiastico con il significato di composizione di conflitti e procedura assolutoria; è diventato di uso comune con l’accezione di compromesso poco pulito, grazie a un saggio dello scrittore Andrea Camilleri “La bolla di componenda” Sellerio, Palermo, 2004

[4] Si veda il testo “Linee guida per la certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione”, redatto dal MIUR (2015)

[5] Lo scrittore spagnolo Manuel Rivas ricorda che durante il franchismo spesso il giudice in apertura dell’udienza, soleva rivolgersi all’imputato dicendo.” Il condannatosi alzi!” M. Rivas “Los libros arden mal” Delbolsillo, Barcelona, 2015

28/05/2016 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Piero Castello

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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