Il positivizzarsi della religione

Sostenere la religione razionale kantiana significa per il giovane Hegel condurre – sulla base dei suoi princìpi – una ricognizione critica del positivo


Il positivizzarsi della religione Credits: https://www.lacittafutura.it/recensioni/cominciamento-illuminismo-e-sapere-assoluto

Hegel non intende contrapporre le esigenze della religione del cuore alla religione razionale, come avverrà nella concezione romantica (in modo particolarmente esemplare in Schleiermacher), ma mira a ritrovare un più profondo accordo fra le due [1]. Più precisamente, le riflessioni degli anni giovanili di Hegel sono, dunque, caratterizzate dal problematico e, non di rado, aporetico tentativo di trovare un compromesso fra le strutture eterne fissate a priori dalla filosofia trascendentale e le ragioni della differenza, della concretezza, chiamate in causa dall’indagine storico-fenomenologica di certo illuminismo.

Da questo punto di vista, decisiva appare anche la conoscenza più o meno diretta di intellettuali protoromantici come, per fare un esempio emblematico, Johann Gottfried Herder [2], le cui critiche all’illuminismo e alla filosofia critica non sembrano creare particolari problemi di coerenza a Hegel, che ne accoglie la lezione fondendola in maniera apparentemente non problematica con altre concezioni della filosofia da cui è, al contempo, influenzato. Sostenere la religione razionale kantiana significa, allora, condurre - sulla base dei suoi princìpi – una ricognizione critica del positivo.

In caso contrario, fondandosi su un’incomprensione della contrapposizione tra ragione e sentimento, essa sarebbe esposta al rischio di essere confusa con certa precettistica scolastica e illuminista che pretendeva di poter negare il ruolo dell’esperienza. In caso contrario, fondandosi su un’incomprensione della contrapposizione tra ragione e sentimento, essa sarebbe esposta al rischio di essere confusa con certa precettistica scolastica e illuminista, che pretende di negare completamente il ruolo dell’esperienza. “L’illuminamento rimane perciò un bel pregio – fa notare Hegel – una chiara conoscenza dei doveri, un illuminamento di verità pratiche. Ma queste non sono siffatte da poter dare all’uomo moralità; valgono infinitamente meno rispetto ai beni e alla purezza del cuore con cui non sono propriamente commensurabili” [3]. Paradossalmente, nonostante l’impianto innegabilmente illuminista e kantiano della sua formazione, è al piano fenomenologico che si rivolge l’interesse del giovane Hegel.

Proprio qui, nella drammaticità del processo storico, bisogna immergersi per cercare di riconquistare la conciliazione che sul piano dei princìpi è salvaguardata al prezzo dell’insanabile dualismo fra assoluto e positivo. É proprio qui, nella drammaticità del processo storico, che bisogna immergersi per cercare di riconquistare quella conciliazione che, sul piano dei princìpi, viene salvaguardata al duro prezzo dell’insanabile dualismo tra assoluto e positivo.

In effetti, una volta privata della sua concretezza storica, la ragione rischia di ricadere nella metafisica scolastica prekantiana, mentre il positivo, l’aspetto storico fenomenico, nella sua opposizione al trascendentale può essere facilmente ridotto all’esistente, al dominio storicistico della tradizione contro cui si era volto il processo rivoluzionario francese. Così, se da un lato Hegel non appare in grado di attenersi sempre in maniera conseguente al piano dell’universalismo kantiano, ma muove da una serie di princìpi semplicemente assunti dalla tradizione e non dedotti da un fondamento a priori, dall’altro il recupero di tematiche illuministe assume un valore positivo, nel momento in cui esse permettono di recuperare una serie di acute riflessioni sul piano positivo, cioè storico-fenomenologico, che talvolta Kant – nel suo sforzo di rifondare la filosofia sulla base di fondamenti puri – aveva trascurato. In altri termini, le riflessioni di questi anni si presentano come una sintesi contraddittoria di posizioni kantiane, considerazioni del tardo Aufklärung (illuminismo) fatte proprie negli anni dell’adolescenza a Stoccarda ed elementi del pensiero illuminista che – riconsiderati a partire dal fondamento della “rivoluzione copernicana” operata dalla filosofia critica – ne consentiranno un oggettivo sviluppo.

Il darsi nella forma necessariamente positiva della rappresentazione religiosa storicamente determinatasi non deve, allora, essere considerato unicamente come una perdita della prospettiva pura dell’imperativo categorico, in quanto favorisce, al tempo stesso, il progressivo affermarsi delle determinazioni razionali sulla sensibilità, come avevano sottolineato già Lessing e sulla sua scia il giovane Fichte. La rappresentazione religiosa, benché in forma necessariamente alienata, consente all’uomo di sottrarre all’estraneità della positività storica il fondamento razionale del proprio agire, proiettandolo al di là del piano meramente empirico e sensibile. Dunque, più che di una vera e propria radicalizzazione dei princìpi filosofici del criticismo, bisognerebbe parlare di uno slittamento d’interesse, di ambito, dal piano puro della riflessione filosofica alla sua applicazione a livello storico-positivo [4].

L’interesse per il fenomeno religioso non deriva da considerazioni astrattamente teologiche, ma appare piuttosto legato a un’analisi che potremo definire di Kulturgeschichte (storia della cultura) ovvero al suo essere un punto di vista privilegiato da cui considerare alcuni degli elementi sui quali si fonda la civiltà di un popolo storicamente determinato [5]. Per Hegel, in effetti, “la religione è una delle questioni più importanti della nostra vita. […] Divenuti adulti, dedichiamo alla religione gran parte della nostra vita; anzi in molte persone l’intero ambito dei loro pensieri e delle loro inclinazioni è connesso come il cerchio esterno con il centro della ruota” [6].

Affinché l’imperativo categorico nel suo positivizzarsi non si riduca alla fredda astrazione della precettistica, deve essere incarnato, per così dire, in un’educazione religiosa capace di raggiungere anche quella parte dell’umanità che, per ragioni storiche, non è in grado di attenersi all’assoluto rigore dell’ideale morale [7].

Così, secondo Hegel, “ogni religione che voglia essere religione popolare deve necessariamente essere tale da impegnare il cuore e la fantasia. Anche la più pura religione razionale viene ad avere un corpo nell’anima degli uomini ed ancora più in quella del popolo” [8].

Note:

[1] “Solo che qui noi ci riferiamo soltanto – osserva a tal proposito Hegel – a quel che deve essere quando si parla del sapere umano più in "concreto", e a quel che si deve assumere anche semplicemente da un punto di vista politico, se deve esserci una società umana: che cioè vi sono principi universalmente validi, che non solo illuminano il buon senso comune, ma devono stare a fondamento di ogni religione, se essa deve meritare tale nome, per quanto possano essere deformati” Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, p. 96, Id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 181.

[2] Si parla di conoscenza più o meno diretta perché, persino nel caso di Herder, sulla base dei documenti in nostro possesso risulta difficile, per non dire impossibile, stabilire con una certa certezza quali opere di questo, piuttosto che di altri emblematici intellettuali del tempo, Hegel abbia effettivamente studiato o quantomeno letto. L’unica testimonianza diretta, per di più tarda, ci viene dall’epistolario, cfr. Id., Briefe von und an Hegel a cura di Hoffmeister, Johannes, 4 voll., Amburgo 1952 (2. ed. 1977-1981), p. 19, tr. it. parziale di Manganaro, Paolo, Epistolario I (1785-1808), Guida, Napoli 1983, p. 112. Tuttavia, anche in questo caso, dall’ambiente culturale e dai testi di Hegel è possibile appurare un’influenza quanto meno indiretta delle idee herderiane, in particolare quelle relative a rilevanti scritti di filosofia della storia quali Ancora una filosofia della storia per la formazione dell’umanità (1774) e Idee per la filosofia della storia dell’umanità (1784-1791), largamente presenti nel dibattito culturale dell’epoca, tanto da varcare certamente le soglie del seminario teologico (lo Stift di Tubinfa) in cui Hegel aveva portato avanti i suoi studi universitari. A tal proposito, come scrive Finelli, “va aggiunto che per comprendere la curvatura che lo Hegel di Tubinga impone alla soggettività morale di Kant, traducendola nella soggettività collettiva del Volk, c’è un altro pensatore, oltre Rousseau, che va tenuto ben presente: ed è Herder, autore del cui studio da parte di Hegel non rimangono testimonianze dirette ma che era certamente molto conosciuto e citato tra gli autori da cui Hegel attingeva di prima mano, oltre che tra i suoi sodali dello Stift.” Finelli, Roberto, Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel (1770-1801), Roma, Editori Riuniti 1996, p. 42.

[3] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, vol. I, p. 98; Scritti…, op. cit., p. 183.

[4] Sarebbe, tuttavia, ancora più opportuno parlare di uno slittamento di interessi rispetto a una certa tendenza della filosofia critica, quella che più aveva attirato l’attenzione dei contemporanei a partire da Schelling. Soprattutto ne La religione nei limiti della sola ragione e poi negli scritti storico-politici anche per Kant si tratterà di fornire concretezza pratico-storica all’ideale razionale, che mediante lo sviluppo della Kultur ha come scopo finale la costituzione di una società fondata sul principio del diritto universale. Di parere un po’ diverso è, invece, Carmelo Lacorte. A tal proposito, questo grande interprete del giovane Hegel ha osservato: “così come, a proposito della polemica contro i teologi, si è visto Hegel sopravanzare le caute prese di posizione di Kant rispetto all’ortodossia, anche qui, a proposito dell’orientamento della nuova filosofia "pratica", e del posto che in essa occupa la religione, i punti di vista di Hegel e di Kant non si identificano. Per Kant la Religionsschrift è un corollario della seconda Critica. (…) Rispetto a questo ordine di ricerca, le indagini di Kant sulla civiltà e sulla storia si presentano come accessori collaterali e non determinanti per la costruzione (se mai per la semplice verifica, peraltro mai da Kant sistematicamente operata) della dottrina della ragione pratica.” Lacorte, Carmelo, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, pp. 200-201.

[5] Ancora più radicale sembra essere su questo punto l’interpretazione di Lacorte: “a rigore, quindi, non è neppure il caso di parlare, per caratterizzare la linea di questi interessi di Hegel, di semplice filosofia della religione, nel senso in cui (come è nello stesso testo kantiano della Religion) la Religionsphilosophie rappresenta un campo d’indagine circoscritto al fenomeno religioso in quanto tale. E ciò perché, nell’esame delle strutture della Volksreligion, si compie innanzitutto la verificazione di tutto il complesso degli elementi che costituiscono ed esprimono il grado della civiltà di un popolo, della sua costituzione politica e delle sue espressioni artistiche, della morale e del diritto”. Ivi, pp. 198-99.

[6] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, vol. I, p. 83; Scritti…, op. cit., p. 169.

[7] Il punto di partenza di Hegel – osserva a tal proposito ancora Lacorte –, “come si manifesta già in questi motivi presenti fuori del testo sulla Volksreligion, è l’esigenza (…) della educazione del genere umano, ancorata all’esame delle strutture spirituali della vita storica dei popoli: una ricerca che segue in parte le prospettive instaurate dal criticismo che alla cultura affida, come suo scopo supremo, il compito pratico di costruire una società sempre migliore.” Lacorte C., Il primo…, op. cit., p. 200.

[8] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, vol. I, p. 107; Scritti…, op. cit., p. 192-93.

 

15/07/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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