La flessibilità del lavoro nel modello toyotista

Diversi studi confermano l’impatto psicosociale della precarietà del lavoro in particolare sulla salute mentale.


La flessibilità del lavoro nel modello toyotista

Pubblicazione tratta dal seminario sul precariato

La “flessibilità” del mercato del lavoro -termine quanto mai ambiguo usato per nascondere quello più appropriato di precarietà- è divenuta sempre più la norma nell’attuale modello di sfruttamento della forza lavoro organizzata secondo i principi, caratteristici del neoliberismo, del toyotismo elaborati a partire dal secondo dopoguerra.

Tali principi hanno come obiettivo principale quello di superare i limiti del fordismo nel quadro di un più elevato sfruttamento della forza lavoro, sempre più necessario per far fronte alla tendenziale caduta del saggio di profitto. Uno degli aspetti principali caratteristici del toyotismo è infatti quello di aumentare notevolmente lo sfruttamento della forza lavoro aumentando i ritmi e l’orario di lavoro ma per far ciò diviene indispensabile dividere i lavoratori e annichilire i sindacati. Il genio del male giapponese che ha ideato per primo i principi toyotisti - ingegnere della famosa casa automobilistica nipponica- immaginava che l’impresa del futuro dovesse avere la struttura di una “costellazione” al centro della quale doveva brillare la stella più grande, cioè l’impresa più forte, e intorno ad essa dovesse ruotare un pulviscolo di piccole e medie imprese,in concorrenza spietata tra loro, con l’obiettivo di proporsi alla stella centrale per offrire servizi e semilavorati ricchissimi di plusvalore cioè realizzati con un altissimo tasso di sfruttamento. Ovviamente si tratta di un modello diverso dalla grande fabbrica fordista perché nel toyotismo la caratteristica è appunto un numero enorme di imprese piccole o piccolissime, che possono sorgere e scomparire anche nel giro di poche ore,  che impediscono di fatto ai lavoratori di organizzarsi proprio perché sono in competizione tra loro, pur essendo divenuto sempre più sociale e transnazionale il modo di produzione: una vera e propria contraddizione, un vero e proprio genio del male. Questo modello ha attecchito subito nei Paesi a capitalismo avanzato e piano piano, approfittando dell’indebolimento delle forze rivoluzionarie e quindi del pensiero critico,  nel corso degli anni si è imposto de facto come la norma caratteristica del nuovo liberismo.

In Italia possiamo datare agli inizi degli anni novanta l’inizio della trasformazione del modello industriale in senso toyotista, che ha trovato nel pacchetto Treu il primo risvolto politico e con esso l’inizio dell’era della flessibilità la quale è stata accolta anche dalla sinistra -per molti ambiti egemonizzata già dal pensiero dominante- come una novità da vedere positivamente. Oggi, a distanza di trent'anni, possiamo misurare precisamente il disastro di questa svolta reazionaria avvenuta nel mercato del lavoro e in generale della svolta neoliberale che ha visto il mercato sempre più attore dominante della vita sociale di contro ad un Stato divenuto ormai un “guardiano notturno” (cit. Gramsci) - peraltro un guardiano abbastanza cieco che cioè non vede, o fa finta di non vedere, il disastro sociale che stanno producendo gli assalti dei capitali ai suoi asset principali.

In Italia le stime, al ribasso, dell’Istat riportano la cifra di oltre 3 milioni di precari e i pochi studi e sondaggi di massa sulla percezione del problema indicano chiaramente che la grossa parte dei precari e dei giovani, avendo fatto esperienza del dramma della precarietà, non amano per nulla questo modello e che invece agognano un contratto di lavoro stabile a tempo indeterminato. Non è difficile comprendere il rigetto della flessibilità avendo compreso, dopo ormai qualche decennio, la vera natura di questi rapporti di lavoro che non sono certamente la sorte magnifica immaginata e propagandata dai fautori del neoliberismo, i quali dipingevano il nuovo modello di lavoro come un modello dinamico, aperto ai cambiamenti, sempre fresco di novità, in cui si poteva cambiare lavoro dalla sera alla mattina e migliorare la propria posizione sociale. La verità è tutt’altra ma come al solito non viene raccontata in modo corretto: i lavoratori precari sono super sfruttati e inseriti in un contesto fortemente competitivo che impedisce loro qualsiasi forma di sindacalizzazione,pena il licenziamento. I precari non solo sono vessati proprio perché difficilmente difendibili ma anche perché sul piano sociale non hanno accesso a quel minimo di garanzie necessarie per una vita serena. Questo è il caso, cito come esempio solo il più eclatante, dell’accesso al mutuo per la prima casa. A questi aspetti che potremmo definire latamente economici riguardo alle ricadute del mercato del lavoro precario, si stanno affiancando, in modo ormai evidente e dimostrabile, aspetti sempre più legati alla salute delle persone. Persino il Consiglio dell’Unione Europea ha dovuto prendere atto dell’impatto sulla salute mentale del lavoro precario pubblicando i risultati di uno studio su questo tema e le relative raccomandazioni agli Stati membri, studio visionabile nel testo intitolato “Conclusioni del consiglio sulla salute mentale e il lavoro precario ” pubblicato il 9 ottobre 2023  in archivio al n° 13937/23. Spicca in questo studio la considerazione riportata nel comma 16 che recita: “I dati scientifici mostrano che condizioni di lavoro precarie generano risposte negative allo stress, che possono portare a disturbi quali ansia e depressione”. Altrettanto importanti sono le considerazioni dei commi successivi, ancorché non adeguatamente dettagliate,  dove viene analizzata la concentrazione e l’impatto di questo fenomeno a seconda della vulnerabilità del soggetto e del genere di appartenenza. Illuminante, per la sua ipocrisia, è poi una delle conclusioni dello studio in cui il Consiglio invita gli Stati membri “a promuovere politiche occupazionali di qualità  per combattere la precarietà in tutti i luoghi di lavoro e affrontare questioni quali l’incertezza del lavoro […]”. Questo studio del Consiglio Europeo - nonostante l’evidente ipocrisia che lo caratterizza in quanto, senza lotta di classe, nessuno stato membro metterà mai in agenda questi proclami - offre alcuni importanti spunti di riflessione. Innanzitutto ciò mostra che il problema della precarietà è ormai scoppiato ed è sotto gli occhi di tutti e che tutta la fraseologia con la quale era stata infiocchettata questa presunta rivoluzione nei rapporti di lavoro sta emergendo in tutta la sua ignobile falsità, inoltre mostra che la borghesia si pone tale problema ma ovviamente se lo pone nell’ottica della produttività e cioè se lo pone solo perché i lavoratori precari ammalandosi divengono meno produttivi e nonostante tutte le medicine con le quali vengono imbottiti esse non consentono ugualmente il recupero pieno della produttività. Altra interessante considerazione può essere svolta indagando le ragioni che hanno spinto il Consiglio a trattare questo tema, a tal proposito è utile osservare che sia stata proprio la ministra del lavoro Yolanda Díaz Perez di estrazione socialdemocratica, membro del governo spagnolo che al momento sembra uno dei più avanzati in Europa, a spingere affinché questo tema entrasse nell’agenda del Consiglio, a dimostrazione di come la lotta di classe, seppure come in questo caso del tutto istituzionalizzata e “passiva”, che ha portato i lavoratori spagnoli a votare per un governo progressista, sta avendo il merito di rimettere al centro della discussione il tema principale del lavoro. La Diaz infatti durante il suo mandato da ministra del lavoro ha costituito una valida commissione d’inchiesta composta da un corposo numero di scienziati per studiare i nessi che legano le condizioni del lavoro e la salute mentale ottenendo dei risultati, poi anche pubblicati, che destano non poche preoccupazioni [1] visto che la Spagna è uno dei Paesi che consuma in percentuale più ansiolitici e ipnotici al mondo in conseguenza, come mostrato dallo studio, anche di una correlazione tra lo stato di salute e le condizioni di lavoro.  

A rendere ancora più grave -ma per certi versi anche più chiaro- il quadro della situazione è lo studio sulla polarizzazione della ricchezza fatto dall’OXFAM dal quale si vede con estrema chiarezza come in corrispondenza di un ultradecennale processo di precarizzazione, ha fatto da contraltare uno spaventoso arricchimento delle fasce più benestanti della popolazione il che ci mostra chiaramente chi sta raccogliendo i frutti di questo nuovo paradigma dello sfruttamento.

 

[1] https://www.lamoncloa.gob.es/serviciosdeprensa/notasprensa/trabajo14/Documents/2023/170323-informe-salud-mental.pdf

 

03/02/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

Condividi

Pin It

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

Newsletter

Iscrivi alla nostra newsletter per essere sempre aggiornato sulle notizie.

Contattaci: