Melisso, l’Uno-tutto e la parvenza del molteplice

Melisso intende l’essere parmenideo in senso fisico-cosmologico e per lui l’essere altro non è che il cosmo. Tuttavia, questo essere, per poter risultare effettivamente unico, dovrà inevitabilmente essere anche privo di limite, ossia illimitato e infinito nello spazio e nel tempo.


Melisso, l’Uno-tutto e la parvenza del molteplice

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi.

Melisso: l’essere è il cosmo

La figura di Melisso è assai diversa da quella di Zenone. Nato a Samo quasi contemporaneamente a Zenone, egli trascorre la vita nella propria isola, ove ricopre importanti cariche politico-militari. È stato considerato l’ultimo rappresentante dell’eleatismo, anche se presumibilmente non ha mai soggiornato a Elea. Impegnato politicamente ha condotto la sua polis a una storica vittoria contro Atene.

L’essere in senso fisico e cosmologico 

La sua operazione è esattamente inversa a quella di Zenone. Se quest’ultimo ha fornito un’interpretazione del pensiero di Parmenide di carattere logico-dialettico, Melisso intende l’essere parmenideo in senso fisico-cosmologico e per lui l’essere altro non è che il cosmo, ossia l’universo. Tuttavia, questo essere, per poter risultare effettivamente unico, dovrà inevitabilmente essere anche privo di limite, ossia illimitato e infinito nello spazio e nel tempo, a differenza dell’essere parmenideo che era invece equiparato a una sfera perfetta e che risultava, dunque, finito.

L’infinità nel tempo 

L’essere è per Melisso privo di limiti non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Egli ritiene che l’essere, coincidente con il cosmo, sia ingenerato e incorruttibile, per dimostrarlo introduce una tesi che avrà un’importanza fondamentale nella storia della filosofia, egli infatti scrive all’inizio del suo trattato Sulla natura: “Sempre era e sempre sarà, perché se fosse generato sarebbe necessario che, prima che fosse generato non fosse nulla, ma se prima era nulla, per nessuna ragione nulla si sarebbe potuto generare dal nulla”. Nulla si genera dal nulla. È la prima esplicitazione del principio “nulla può nascere dal nulla” (nihil ex nihilo). Nell’attribuire all’essere lo stesso tipo di estensione spaziale e temporale che possiamo constatare anche nel mondo fisico, la dottrina di Melisso si può interpretare come un tentativo di mediazione fra l’essere teorizzato dagli eleati e la natura indagata dai filosofi ionici e pitagorici.

La riforma in senso realistico dell’eleatismo 

La lunga lotta fra Mileto e Samo può del resto contribuire a spiegare l’abbandono da parte di Melisso della tradizione ionica; una tradizione, tuttavia, che continua a operare indirettamente nel suo pensiero condizionando in senso realistico la sua riforma dell’eleatismo, in contrapposizione all’indirizzo prevalentemente logico che quest’ultimo ha assunto in Zenone. Più che alla difesa delle teorie del maestro, Melisso si dedica in effetti al loro sviluppo e alla loro integrazione. Abbandonatane l’iniziale carica logico-verbale e metodica, Melisso si propone una più coerente deduzione dei caratteri sostanziali dell’essere. Egli è il primo a insistere sul carattere di unità dell’essere, che rappresenta più adeguatamente in senso spaziale e temporale la “totalità” dell’essere parmenideo e, soprattutto, sulla sua infinità. Melisso, in effetti, sottolinea che si deve concepire l’essere come infinito o illimitato sia nello spazio sia nel tempo. Per analoghe ragioni Melisso nega che si possa ammettere nell’uno, ossia nell’essere, una qualsiasi sofferenza o dolore o altra passione, perché ciò provocherebbe in esso una specie di perturbazione e, quindi, ne minerebbe l’unità e immobilità che lo caratterizzano. 

L’essere incorporeo di Melisso e i limiti dell’astrazione eleatica 

Secondo la tradizione Melisso avrebbe anche definito l’essere come incorporeo, il che contrasta con la sua infinita estensione spaziale e con la negazione eleatica del vuoto: ciò mette a nudo in realtà una profonda contraddizione dell’eleatismo, che non può concepire la realtà come puramente intelligibile e incorporea, ma tuttavia tenta di attribuirle tutte le caratteristiche di pura intelligibilità richieste da un pensiero filosofico ormai maturo. L’incorporeità dell’uno di Melisso significa, dunque, soltanto che esso è invisibile e illimitato da qualsiasi forma o corpo tangibile; e significa al tempo stesso il portare all’estremo limite una contraddizione già implicita in Parmenide del cui superamento avrebbe grandemente beneficiato il pensiero posteriore. 

L’uno eleatico e il suo rovesciamento nel pluralismo atomistico 

L’avere reso l’essere infinito nello spazio e nel tempo impedisce a Melisso di accettare la bipartizione parmenidea tra realtà atemporale e mondo sensibile temporale: a quest’ultimo deve venir negata qualunque, sia pur secondaria, sussistenza ed è in effetti alla negazione dell’esistenza e della concepibilità delle cose sensibili che Melisso dedica alcune delle sue argomentazioni più suggestive. Perché una cosa qualsiasi possa essere conosciuta, pensata ed esistere, essa dovrebbe, fa osservare Melisso, essere sempre identica a se stessa, assolutamente immobile e immutabile nello spazio e nel tempo, giacché una minima modificazione ne farebbe una cosa diversa e così via all’infinito; dovrebbe, dunque, avere le stesse caratteristiche dell’uno, ossia dell’essere. Proprio questo argomento, che Melisso intende come una sfida al pluralismo, sarebbe stato rovesciato e raccolto dalla corrente estrema del pluralismo, quella atomistica: si può dire infatti che l’atomismo attribuisce alle sue infinite unità fisiche proprio le caratteristiche dell’uno di Melisso.

Il portato storico dell’eleatismo 

L’eleatismo era comunque destinato a restare una pietra miliare nel pensiero greco, un imperativo richiamo alla soluzione di alcuni fra i più profondi problemi filosofici. La sua importanza è enorme anche nella storia del pensiero scientifico, soprattutto per quanto riguarda l’affinamento delle esigenze logiche. “Il tenore degli scritti filosofici subisce nel V secolo un brusco cambiamento: mentre nel VI secolo i filosofi affermano o preconizzano (o tutt’al più abbozzano vaghi ragionamenti, fondati su altrettanto vaghe analogie), a partire da Parmenide e soprattutto da Zenone essi «argomentano» e cercano di ricavare dei principi generali che possano servire di base alla loro dialettica: appunto in Parmenide si trova la prima affermazione del principio del «terzo escluso»; e le dimostrazioni «per assurdo» di Zenone sono rimaste celebri” (Geymonat). Anzi il richiamo, sopra ricordato di Aristotele a Zenone come fondatore della dialettica, sembra appunto riferirsi all’attribuzione all’eleate della scoperta e dell’impiego della reductio ad impossibile in metafisica.

13/08/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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