Riflessioni sul programma minimo e su un movimento politico organizzato

Questo articolo, proprio per la sua natura, è stato proposto a diverse testateblog della sinistra antagonista a cui è stato chiesto di pubblicarlo più o meno in contemporanea.


Riflessioni sul programma minimo e su un movimento politico organizzato

Pubblichiamo questo articolo ricevuto in quanto ne condividiamo la tesi di fondo di riaggregare in un fronte politico e sociale ciò che oggi è frammentato sulla base di un programma minimo di classe, di cui la difesa del salario sociale in tutte le sue forme non può che essere un punto essenziale. Auspichiamo che queste riflessioni possano essere un punto di partenza per alimentare un sano dibattito in cui sarà necessario mettere davanti alla salvaguardia del proprio orticello una prospettiva comune.

Sarebbe ingeneroso nei confronti di tutte le compagne e i compagni non tener conto del grande impatto pratico ed emotivo che hanno avuto gli eventi collegati alla lunghissima pandemia nell’ultimo biennio abbondante, così come le vicende belliche contemporanee. È vero, e facciamo bene a riconoscerlo, che ne siamo usciti tutti con le ossa più frantumate di quanto non lo fossero prima. Per quanto le nostre conoscenze ci abbiano tenuto al riparo da danni ancora maggiori – rinvenibili in tutto mondo – due anni abbondanti di stato emergenziale ci hanno resi probabilmente più deboli. Le nostre iniziative vedono sempre meno adesioni, il coinvolgimento di larghi settori delle classi più povere e subalterne è ancora più arduo e il clima di angoscia e sfiducia di certo non rende più semplice il nostro lavoro.

Tuttavia, queste considerazioni non possono agire da pretesto per limitare la nostra azione o addirittura per decidere che non c’è più nulla da fare. Al contrario questi fenomeni, diffusissimi in ogni angolo della nostra società, sono assai utili per comprendere la misura di quanto, in una fase di crisi perdurante come quella che viviamo, il nostro ruolo sia ancora più centrale, nonostante la sostanziale invisibilità che ci viene ormai concessa.

Sono tanti i presunti tentativi di riunificazione alla sinistra del PD, come ce ne sono stati tanti nel passato e probabilmente altrettanti ce ne saranno nel futuro. Nonostante le buone intenzioni si tratta troppo spesso di fusioni “alle proprie condizioni” che determina rapidamente un deteriorarsi dei rapporti interni e dunque la pressoché immediata interruzione di percorsi, di fatto, mai iniziati. Tuttavia, non possiamo che cogliere con favore le aggregazioni di vasti settori popolari attorno alle iniziative degli operai Gkn (Insorgiamo tour) il cui lavoro è al contempo originale ed encomiabile e della nuova formazione istituzionale che ha visto la nascita di un nuovo soggetto, ManifestA, che unisce PRC e Potere al Popolo!, nella Camera dei deputati.

Per scrivere questo articolo abbiamo preso spunto dai numerosi interventi delle forze politiche e sindacali invitate al Congresso Regionale del PRC Sardegna di Marzo 2022. In quella occasione sono emersi in modo univoco e caratterizzante due aspetti di rilievo che meritano alcune riflessioni più generali: il primo è la ripetuta volontà di unità tra le forze della sinistra, non solo quelle “ideologicamente” comuniste, ma sostanzialmente anche quelle che, in modo a volte contraddittorio, si pongono “a sinistra del PD”. Il secondo aspetto emerso è che questa unità è possibile su tutta una serie di obiettivi e battaglie che, esulando dall’aspetto “ideologico”, già da ora ci accomunano nelle battaglie e nella difesa dei lavoratori e delle classi popolari, quello che è il nostro popolo.

Questi due aspetti ripropongono in maniera pratica, anche se in modo non esplicito, il tema dell’elaborazione e definizione di un Programma Minimo (P.M.) di fase e sul come sia possibile e praticabile un’unità delle forze di “alternativa” e della forma con cui quest’unità sia possibile concretizzarla, sviluppando e andando oltre le poche iniziative che si sono ultimamente fatte.

In una fase non rivoluzionaria, dove tra l’altro le forze “rivoluzionarie” sono al punto più basso di una loro presenza/radicamento all’interno di tutto il mondo del lavoro subordinato e delle classi popolari, è opportuno che tali forze di “alternativa” si focalizzino sugli obiettivi minimi praticabili in questa fase e si identifichino come coloro che si battono per una serie di obiettivi che, riallacciandosi alla prospettiva di medio e lungo termine di un mondo e di una società diversa da quella attualmente modellata attorno agli interessi ed esigenze del grande capitale finanziario transnazionale e della grande borghesia sovranazionale (la classe dominante), siano obiettivi di difesa e avanzamento a livello politico, sociale sindacale delle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne.

Quindi necessariamente un Programma Minimo deve essere definito sulla base delle contraddizioni sociali che il nostro popolo deve subire nella quotidiana lotta di classe contro il capitale e la sua sovrastruttura statuale, politico-governativa e conseguentemente contro tutte quelle forze politiche antipopolari e reazionarie che ne sono neocorporativamente il sostegno. In altre parole, ha come base fondante la difesa del salario sociale reale, in tutte le declinazioni in cui esso si configura (salario diretto, sociale e differito) e le condizioni di esistenza e riproduzione della classe lavoratrice e delle classi popolari.

Il Programma Minimo quindi, se parte in primo luogo da ciò che concerne il rapporto lavoro salariato-capitale, si sviluppa su tutti i piani in cui si concretizzano il salario nella sua forma sociale (sanità, scuola, trasporti, casa, ambiente e territorio, ecc.) fino a tutti gli aspetti politici, democratici, istituzionali e antimperialisti.

Tale carattere generale e complessivo del P.M., oltre a gettare le basi materiali per una unità politica di classe e popolare che vada oltre la “semplice” unità d’azione su singole tematiche e lotte, permette di porsi, nella sua articolazione e declinazione in obiettivi di lotta, ai vari livelli in cui il grande capitale opera nella sua lotta di classe contro le classi subalterne, dal livello internazionale europeo, a quello nazionale, fino a quello regionale-locale. Addirittura, esso è in grado di orientare la nostra battaglia a livello locale visto che proprio a questo livello si giocano spesso le sorti del nostro salario sociale.

Come è facilmente intuibile il P.M. non è la semplice sommatoria di una serie di obiettivi che spesso vanno da quelli rivendicativi immediati ad obiettivi più “massimi” che minimi, più delle aspirazioni che degli obiettivi concreti, obiettivi che, ignorando i reali rapporti di forza, spesso “presuppongono” una già avvenuta presa di potere generalizzata a livello di società per poter essere realizzati. È innegabile che per elaborare un Programma minimo, così come lo abbiamo sinteticamente delineato, necessiti, oltre ai riferimenti strategici di un futuro processo di transizione, un ampio confronto e un grande lavoro di analisi e inchiesta della concreta situazione sociale, nei suoi aspetti generali e particolari e nelle peculiarità e modalità dello scontro ideologico-politico di questa fase della lotta di classe. Proprio i comunisti, con un lavoro collettivo e riattivando quel patrimonio di conoscenze teorico-politiche che purtroppo spesso abbiamo dimenticato, in stretta relazione con i settori più avanzati del lavoro salariato e subalterno (vedi GKN), e delle lotte popolari d’avanguardia sono i soggetti di questa elaborazione collettiva che rappresenterebbe il primo livello di unitarietà delle forze impegnate.

Ma ancor più, sia l’elaborazione, ma ancor più la definizione del P.M. in articolati e precisi obiettivi di classe, rappresenterebbe il dato basilare, materiale e imprescindibile con cui i comunisti possono pensare di “riconquistare” la classe, ma soprattutto, per quanto riguarda la classe stessa, invertire la tendenza alla sua frantumazione e disgregazione e riacquisire la coscienza di sé in quanto classe. Per recuperare la coscienza di classe, che fa di una classe “in potenza” una classe reale, non basta, anche se necessario, il mutualismo, ma serve un progetto di cambiamento in cui riconoscersi e riaggregarsi, sentirsi comunità, quel progetto di fase che configuri concretamente l’inversione di tendenza rispetto alla situazione attuale. Solo in questo modo è possibile ipotizzare a livello politico-culturale e ideologico quell’unità di classe e di popolo che si manifesti come un fronte di classe e popolare alternativo a quello capitalistico-padronale.

Quest’ultimo ragionamento ci porta ad affrontare il tema di una possibile e praticabile unità delle forze di alternativa e di come sia possibile, ora e in queste condizioni, configurarsi e concretizzarsi questo nuovo “soggetto politico” espressione di questo “fronte” di classe per l’alternativa.

E qui arrivano le note dolenti, perché, come implicitamente dicevamo prima, non esiste a livello politico sociale una “forza politica” di massa, un “movimento politico popolare” che concretizzi il possibile e praticabile “fronte unitario delle classi lavoratrici” su un “programma minimo” di obiettivi e riforme politico-sociali che, andando oltre agli aspetti di resistenza e difesa dell’esistente, prefiguri un avanzamento nei rapporti di forza con il blocco borghese e, in alternativa netta al modello sociale che questo blocco sociale sta attualmente delineando per uscire dalla crisi economica-pandemica-militare, si ponga nella direzione di una società più democratica ed economicamente più pianificata dove siano gli interessi delle classi popolari a indirizzare lo sviluppo sociale.

Questa unità deve quindi fare i conti con il problema di quale possa essere il potenziale soggetto politico di questo fronte di classe. Da un lato non può essere scambiato o sostituito da una improbabile, almeno in questa fase storica, unità dei rimasugli della diaspora comunista in un nuovo “Partito Comunista”, che quanto meno per essere tale presuppone sia la già avvenuta risoluzione dei problemi teorico-politici che da decenni hanno determinato la crisi del movimento comunista (sicuramente quello di casa nostra), sia un già avvenuto processo di conquista delle avanguardie di classe e di settori sostanziali di masse popolari. Nel contempo, tale nuovo soggetto politico non può essere “surrogato” da un movimento dei movimenti perché quest’ultimo non garantirebbe l’unità organica e complessiva di un progetto politico di cambiamento che, per essere tale, come abbiamo visto, presuppone quantomeno, a livello politico, un P.M. Infine non può essere l’ennesima riedizione di cartelli elettorali con il “vuoto” dietro (in tutti i sensi), il respiro politico di una competizione elettorale e un livello di operatività esclusivamente parlamentare/istituzionale.

Questo nuovo soggetto politico, che agisce nel livello politico della lotta di classe (quindi né teorico-ideologico comunista, né sindacale rivendicativo), deve essere un movimento politico organizzato. Ne consegue che un movimento che si costituisce su obiettivi quali quelli del programma minimo, obiettivi che pongono discriminanti politiche anticapitalistiche di classe e non ideologiche comuniste, non può che essere un soggetto politico unitario “largo”, connotato politicamente dalle discriminanti anticapitaliste, antiliberiste, democratiche ecc., espressione diretta della classe e delle sue “avanguardie”, un soggetto che assomigli di più a un organismo di “fronte” (vedi le esperienze dell’America Latina) più che a un partito politico ideologicamente contrassegnato; un organismo di “fronte” che sappia essere coagulo e organizzazione dal basso dei diversi movimenti e lotte che, appunto sulla base del programma minimo e della sua articolazione, devono sorgere nel paese ai vari livelli, da quello economico sindacale (fondamentale), a quello politico democratico fino a quello culturale e strutturarsi come organismi di massa e di base (come provarono a essere per un certo periodo oltre ai consigli di fabbrica anche i consigli di zona).

Solo la scelta di un movimento politico organizzato come quello delineato, basato su un P.M., saprà rispondere in modo corretto all’esigenza sia di unità dei comunisti, individuando nell’elaborazione e battaglia del P.M. e nell’iniziativa di costruzione di un movimento politico organizzato, il livello possibile di unità praticabile in questa fase, sia al reinsediamento nella nostra classe di riferimento. Sarà il nuovo mare in cui i comunisti nuoteranno.

Ecco perché il Programma Minimo con la sua concretizzazione politico organizzativa (un movimento politico organizzato), è in grado di essere sia il riferimento per il progetto politico dei comunisti e della classe, sia il riferimento, nella sua declinazione e articolazione, ai progetti politico-programmatici che a livello regionale e locale guideranno il lavoro politico di noi comunisti.

29/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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