Formazione storica brasiliana - settima parte: dal governo Kubitschek alla fine della dittatura

Nell'ultima parte del corso analizziamo la fase che va dalla morte di Vargas alla fine della dittatura militare nel 1989.


Formazione storica brasiliana - settima parte: dal governo Kubitschek alla fine della dittatura

Segue dalla sesta parte.

Dopo la convulsa fase che condusse al suicidio di Vargas nel 1954 e dopo la breve fase di transizione gestita dal governo di João Café Filho, le elezioni presidenziali del 1955 (all'epoca a turno unico) videro la vittoria del candidato del PSD (Partito socialdemocratico), Juscelino Kubitschek de Oliveira. Il suo programma di governo era quello di fare sviluppare il Brasile in 5 anni come se fossero stati 50, attraverso un piano di 30 obiettivi quinquennali da raggiungere, per industrializzare il paese, che andavano da obiettivi nell'ambito energetico a obiettivi nel campo dei trasporti e dell'educazione.

Al di là della propaganda del governo, in realtà questo piano non rappresentò altro se non la sottomissione completa del Brasile all'imperialismo statunitense: lo sviluppo industriale del Brasile fu infatti determinato attraverso prestiti con pessime condizioni contrattuali con banche estere e esternalizzazione di fabbriche statunitensi in Brasile. Solo a titolo di esempio, nell'ambito dei trasporti fu incentivato l'uso dell'automobile, costruendo in modo massiccio autostrade, mentre veniva del tutto trascurato il trasporto ferroviario, che venne progressivamente privatizzato e/o abbandonato tanto che ancora oggi il Brasile vive una situazione di sostanziale assenza di ferrovie.

Lungi dunque dal praticare una politica di reale sviluppo nazionale o di rivoluzione democratico-borghese, il governo Kubitschek si caratterizzò dunque per l'approfondimento della condizione semi-coloniale del Brasile, poiché non combatteva i due architravi principali dell'arretratezza: il latifondo e l'intromissione imperialista soprattutto in ambito economico. In campo interno il suo governo si caratterizzò per un'elevata stabilità politica derivante dagli alti tassi di crescita economica e dalle politiche di alleanza tra le varie fazioni della classe dominante; mentre in campo internazionale l'alleanza con gli Usa fu accentuata con l'adesione all'OPA, iniziativa volta a contrastare l'avanzo comunista in America Latina, che sarebbe stata seguita nel 1960 dall'Iniziativa per il progresso lanciata dal governo Kennedy.

Le elezioni del 1960, le ultime prima dell'inizio della dittatura, videro però la vittoria del candidato dell'opposizione Jânio Quadros dell'UDN (Unità democratica nazionale), con come vice il rieletto Goulart del PTB (il partito laburista fondato da Vargas nel corso del suo mandato) [1]. Egli giunse all'elezione attraverso un ampio programma di lotta contro la corruzione (era conosciuto per essere lo “spazzino” che avrebbe spazzato via la vecchia politica) e per un ampio programma di riforme. Nonostante ciò il suo governo durò molto poco, circa 7 mesi, e fu contrassegnato più dalle polemiche che non da reali atti concreti. Tra le altre quella più importante, e uno dei fattori principali della rinuncia al governo avvenuta nell'agosto 1961, fu la decisione di decorare con una medaglia Ernesto Che Guevara, per ringraziarlo di avere accettato la sua richiesta di grazia per venti sacerdoti che erano stati arrestati a Cuba e condannati alla fucilazione e che furono esiliati in Spagna. Probabilmente Janio sottovalutò la portata di questo atto: diversi militari si diedero all'insubordinazione, la cerimonia rischiò di non svolgersi e solo nelle ore che la precedettero si riuscì a trovare un accordo che permise di svolgerla. Questo anche perché il suo governo aveva aderito alla politica esterna indipendente, che aveva come obiettivo lo sviluppo di relazioni bilaterali con il maggior numero possibile di paesi del mondo nell'ottica della coesistenza pacifica, politica però fortemente malvista dagli Usa. Una campagna di stampa di opposizione tentò e in parte riuscì a creare un movimento di opinione pubblica che lo accusava di portare il Brasile al comunismo.

In ogni caso il suo breve periodo di governo si caratterizzò per: politica di avvicinamento diplomatico con URSS e Cina e condanna alle ingerenze straniere (condannò per esempio l'episodio della Baia dei Porci); creazione delle prime riserve indigene, fine della politica di sussidi sul tasso di cambio che favoriva alcuni gruppi importatori, riduzione accelerata dei costi della macchina statale e infine presentò una serie di progetti pionieristici come la riforma agraria o la legge anti-trust che finirono nel cassetto a causa della crescente opposizione parlamentare.

Si giunge così al 25 agosto 1961 giorno in cui, a seguito delle pressioni ricevute, Quadros rinunciava al mandato con una lettera in cui accusava la “reazione” di tramare contro di lui, rinuncia che fu prontamente accettata dal Congresso. A questo punto si poneva il problema della successione: a norma di legge avrebbe dovuto succedere il vice Goulart, ma i militari posero il veto sul suo nome. Ne nacque la famosa “campagna per la legalità” durata 13 giorni e comandata dall'allora governatore dello Stato di Rio Grande do Sul, Leonel Brizola, indubbiamente tra i maggiori politici progressisti del XX secolo in Brasile (storico membro del Ptb, Partito dei lavoratori brasiliani). La soluzione all'impasse fu data dall'adozione all'inizio di settembre del 1961 del sistema parlamentarista, il presidente avrebbe visto ridotto i suoi poteri che sarebbero stati in parte affidati a un primo ministro, che avrebbe comandato il governo.

Il governo Goulart poté così cominciare ad operare attraverso il “Piano triennale”, volto ad operare una serie di riforme strutturali nel paese che mantenessero sì la stabilità dei conti pubblici ma favorissero anche lo sviluppo del paese. al ministro dell'economia Celso Furtado fu dato il compito di formulare questo piano di riforme. Tra di esse c'erano: la riforma agraria, con distribuzione del latifondo improduttivo e l'estensione dei diritti contenuti nella CLT (Consolidamento delle leggi sul lavoro) anche ai lavoratori rurali; riforma educazionale, con lotta all'analfabetismo e la fine della cattedra vitalizia all'università; riforma fiscale, con la tassazione dei guadagni ottenuti dalle multinazionali presenti nel paese e più in generale la lotta all'evasione fiscale per aumentare la spesa pubblica disponibile; riforma elettorale, con l'estensione del voto ai militari di basso livello e agli analfabeti ma soprattutto con la legalizzazione del Partito comunista e infine la riforma urbana, per favorire il miglioramento dell'urbanizzazione in Brasile paese che era (ed è anche oggi in buona parte) profondamente agricolo. Le riforme, inoltre, includevano un piano di nazionalizzazioni del settore energetico ma non ottennero il consenso dei congressisti, il che rese inattuabile questo piano.

Nel frattempo l'insoddisfazione tra diversi settori della classe dominante, soprattutto tra i militari, cresceva sempre più forte: nel settembre 1963 una rivolta di sergenti contro la decisione della loro ineleggibilità nel Parlamento fu sedata ma la neutralità di Goulart irritò non poco diversi settori dell'esercito. Si diffuse a più riprese l'ipotesi che fosse presente in alcuni settori dell'esercito l'idea di un colpo di Stato di sinistra appoggiato da alcuni settori dell'esercito, mentre quello che si preparava era invece un colpo di Stato contro il governo. Molti militari, e anche parte del governo, invitarono il governo a dichiarare lo stato di assedio per frenare l'avanzata del golpe contro Goulart mentre Brizola lo invitava a rompere l'alleanza con i partiti moderati ed appoggiarsi alle crescenti forze popolari. All'inizio del 1964 Goulart si decise a muoversi in questa direzione, appoggiandosi nei settori legati al PCB (Partito comunista), ai movimenti contadini e ai sindacati e nel comizio del marzo 1964 a Rio de Janeiro dichiarò che avrebbe rotto con i settori conservatori che ostacolavano le riforme. In particolar modo il decreto da lui firmato per la riforma agraria, seppur parziale, preoccupava molto i latifondisti. I movimenti contadini riuniti nelle leghe avevano anche loro organizzato una manifestazione per chiedere: riforma agraria legalmente o con l'uso della forza.

Ma nel frattempo i settori più conservatori della società, dal latifondo al clero giungendo a ampi settori della borghesia industriali, organizzarono la “Manifestazione della famiglia con Dio per la libertà” contro la supposta minaccia comunista. Le manifestazioni durarono fino a giugno e dopo la deposizione di Goulart ad opera dei militari il 1 aprile passarono a chiamarsi “Manifestazione della vittoria”. I militari comunque già avevano mostrato segni di irrequietezza in marzo, con una rivolta di marinai a Rio i cui responsabili non furono puniti da Goulart, creando nuovi attriti con i settori dell'esercito che gli erano fedeli. Il primo aprile Goulart si riunì con Brizola ma decise di non organizzare un movimento di resistenza per evitare spargimenti di sangue a suo giudizio inutili e decidendo di recarsi temporaneamente in Uruguay; il 2 aprile il congresso dichiarò l'assenza del presidente e affidò l'incarico al Presidente della Camera, il 10 aprile l'autoproclamatosi “Comando supremo della rivoluzione” emanava il primo atto istituzionale con cui si sospendevano i diritti politici a tutti i membri dell'opposizione al neonato regime. [2]

Cominciava così la dittatura che sarebbe durata 25 anni tra dittatura aperta e transizione alla “democrazia” e avrebbe avuto 3 fasi: sviluppo(1964-68), apice(1969-79) decadenza e transizione (1979-89).

L'atto istituzionale numero 1 non solo eliminava di fatto l'opposizione, ma definiva l'elezione presidenziale indiretta che sarebbe stata fatta dai congressisti non di “opposizione” legittimando così il “nuovo” presidente, sancendo che il mandato del capo della giunta militare Castelo Branco sarebbe durato fino al gennaio 1966, eliminando così il passaggio delle elezioni presidenziali del 1965.

La dittatura militare cominciava dunque con i migliori auspici dell'imperialismo statunitense, timoroso della possibilità che il “socialismo” prendesse il controllo di un paese di importanza strategica come il Brasile e internamente dei latifondisti, preoccupati del progetto di riforma agraria (seppur parziale) che Goulart voleva fare e della frazione burocratica della borghesia, quella industriale, preoccupata dell'ascesa dei sindacati e dell'aumento della forza del PCB. [3]

Il governo Castelo Branco si caratterizzò oltre che per la lotta all'opposizione, politica e sindacale, anche per l'atto istituzionale numero 4 con cui si stabiliva un sistema bipartitico: Arena, partito di appoggio al governo, e MDB, partito di opposizione al regime e i cui voti non avrebbero potuto mai superare quelli dell'Arena e che includeva i comunisti del PCB che avevano rifiutato la lotta armata e che praticavano la resistenza democratica. Tra gli atti più importanti di questo primo governo militare vi fu lo Statuto della Terra, con cui si dichiarava di voler fare la riforma agraria e favorire lo sviluppo dell'agricoltura; ma mentre la prima parte rimase ovviamente lettera morta la seconda vide l'intervento del governo per favorire lo sviluppo del capitalismo nelle campagne.

Il secondo governo militare presieduto dal generale Artur da Costa e Silva (1967-69) si definì per l'inasprimento delle misure repressive ma soprattutto per l'atto istituzionale numero 5 del 1968, “giustificato” dalle crescenti mobilitazioni di piazza contro il governo da parte di studenti e operai e che segnò l'inizio della fase 2 della dittatura militare, quella del suo apice. Con quest'atto il presidente della Repubblica: chiudeva il Parlamento e le assemblee legislative degli Stati per un anno; assumeva il potere legislativo che in teoria sarebbe stato in carico alle assemblee legislative sciolte [4]; si dotava del potere di esautorare le autorità locali per motivi di “sicurezza nazionale”; operava la censura preventiva su stampa, cinema, musica, teatro e televisione; introduceva il coprifuoco in tutto il paese; dava la possibilità di espellere qualunque funzionario pubblico, elettivo o non, che fosse considerato oppositore del regime.

Il terzo governo militare, presieduto dal generale Medici, cominciò nel 1969 e finì nel 1974, caratterizzandosi per il cosiddetto miracolo economico, ossia la rapida crescita economica del paese con alti tassi di sviluppo, finanziata però attraverso i prestiti stranieri e l'installazione nel paese di molte multinazionali, soprattutto statunitensi tanto che l’economista Celso Furtado ebbe a dire a riguardo che in realtà nonostante gli alti tassi di crescita non aumentò la capacità di sviluppo autonomo del paese. Inoltre lo sviluppo economico si diede senza nessuna forma di redistribuzione della ricchezza, perché a giudizio del ministro dell'economia ciò avrebbe prodotto un “ostacolo” allo sviluppo economico. Durante il miracolo economico, infatti, i salari si mantennero estremamente bassi anche grazie alla durissima repressione ai danni di qualunque forma di organizzazione sindacale. Dal punto di vista politico il governo Medici indurì ancora di più la lotta contro le opposizioni, principalmente contro i vari movimenti guerriglieri, attraverso il ricorso a torture massicce di guerriglieri o presunti tali ottenuta attraverso la centralizzazione del potere di repressione politica nell'esercito, il cui comando fu affidato al generale Geisel.

Egli guidò il governo nel periodo che andò dal 1974 al 1979, nella fase declinante del miracolo economico, a causa della crescita dell'indebitamento esterno, della crisi petrolifera e della crescita dell'inflazione. Nonostante ciò gli incentivi allo sviluppo economico furono mantenuti, mentre per far fronte al malcontento popolare cominciava una fase di “distensione” che avrebbe dovuto condurre a una “apertura” lenta, graduale e sicura per non creare attriti con l'ala militare più dura, che comunque reagì a questa apertura con diversi attentati. Dal punto di vista politico Geisel cercò una maggiore autonomia in relazione agli USA, cercando di ottenere una posizione più “indipendente” in politica estera, riconoscendo la Cina, l'Angola e il Portogallo post-Salazar. In ambito interno fece l'amnistia per gli oppositori, con l'estinzione dell'Atto istituzionale numero 5: gli oppositori esiliati potevano tornare nel paese ma senza avere la possibilità di riprendere le cariche perdute.

Il governo che lo succedette fu il governo Figueredo, l'ultimo “ufficialmente” militare, e si caratterizzò per l'aumento dei poteri del presidente della Repubblica a discapito dei ministri militari, invertendo una tendenza che durava dal 1964 di prevalenza dei militari sui “politici”. Tra i primi atti del nuovo governo vi fu una nuova amnistia, che pose fine al bipartitismo e permise l'organizzazione autonoma dell'opposizione; un progetto di riforma agraria, seppur parziale, nel Nordest del paese; l'aumento semestrale del valore del salario minimo e il mantenimento dell'apertura politica cominciata da Geisel che culminò nella fine del regime militare. Dal punto di vista economico la situazione durante il suo governo era molto complicata: l'indebitamento esterno cresceva a vista d'occhio costringendolo a ricorrere ai prestiti del FMI; mentre dal punto di vista interno i grandi scioperi dell'ABC paulista (zona industriale dello Stato di San Paolo), le vittorie elettorali dei candidati dell'opposizione in 10 Stati nel 1982, la campagna politica per l'elezione diretta del Presidente della Repubblica (svoltasi tra il 1983 e il 1984) segnarono la fase finale del declino del regime militare.

Il governo eletto nel 1984 con elezioni indirette (gli elettori eleggevano un insieme di grandi elettori che a loro volta eleggevano il Presidente) fu composto da Tancredo Neves, che morì pochi giorni dopo avere assunto l'incarico e il suo vice José Sarney che assunse l'incarico dopo la sua morte precoce. Il governo Sarney che durò dal marzo 1985 al marzo 1990 fu il governo della ri-democratizzazione integrale del paese. Nel 1985 si stabilì il voto agli analfabeti, la legalizzazione dei partiti comunisti e le elezioni dirette per le cariche di presidente (federale), governatore (statale) e prefetto (l'equivalente del nostro sindaco). Dal punto di vista economico il paese continuò a soffrire di problemi inflazionari e i due piani Cruzado di ristrutturazioni dell'economia non ottennero gli effetti sperati, costringendo a un terzo piano, ancora più rigido, che non impedì al governo di presentarsi alle urne nel 1989 in piena recessione. Dal punto di vista internazionale Neves riprese le relazioni diplomatiche con Cuba e cercò inoltre un avvicinamento diplomatico con i paesi africani di lingua portoghese.

L'elemento più importante del suo governo fu comunque l'assemblea costituente del 1987, composta da notabili del cosiddetto Centro democratico ( in realtà di orientamento conservatore) da lui scelti e che scrissero il testo della nuova Costituzione brasiliana del 1988. Con questo testo il Brasile tornava a tutti gli effetti un paese “democratico”( o perlomeno all'apparenza democratico) con elezioni libere, separazione dei poteri, illegalizzazione della tortura e di altre pratiche simili e la completa separazione tra civili e militari.


Note

[1] All'epoca le votazioni per presidente e vice erano separate, era possibile dunque eleggere presidente e vice di due schieramenti differenti, come accaduto appunto nel 1960.

[2] Tra i primi 100 cittadini della lista vi erano Goulart, molti suoi ministri e lo storico Nelson Werneck Sodré.

[3] Il “tradimento” della borghesia industriale che appoggiò e organizzò la mobilitazione di massa contro Goulart rappresenta l’episodio chiave della dialettica interna alle semi-colonie nelle fasi di rivoluzione democratica: così come avvenuto in Cina, Vietnam e Cuba la fase della democratizzazione deve svolgersi con l'egemonia del fronte operaio-contadino guidato dal Partito comunista in alleanza con la frazione nazionale della borghesia, in caso l'egemonia l'abbia invece la frazione burocratica il tradimento è sempre dietro l'angolo.

[4] Ciò gli permise di emendare completamente la Costituzione e definirne un nuovo testo.

09/03/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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