L’immagine artistica tra politica e società: Storie a colori di confini e di frontiera

Usa e Messico: due mondi destinati ad intersecarsi e mescolarsi, muro o non muro.


L’immagine artistica tra politica e società: Storie a colori di confini e di frontiera

Un uomo solo che guarda il muro è un uomo solo.
Due uomini che guardano il muro è il principio di un'evasione

Diego Cugia



Iniziamo da una premessa: da fotografo, non ho mai amato molto il colore in fotografia. L’ho sempre trovato ridondante e superfluo. Un riempitivo a dirla tutta, un qualcosa di inafferrabile emotivamente e concettualmente, che rende i soggetti privati del suo significato reale. Un significato che, invece, solo il bianco e nero può dare, con quella drammaticità nel saper tirare fuori e linee e i contorni, lo scheletro e l’anima delle cose altrimenti inanimate.

Detto questo, posso affermare con forza che Alex Webb è un maestro del colore. Forse il più grande fotoreporter a colori vivente. A differenza di molti suoi colleghi, molto abili e direi anche opportunisti nel cercare l’emozione attraverso la saturazione forzata dell’immagine (Steve McCurry in questo è un genio, non me ne vogliano i suoi estimatori…), Webb usa il colore non per raccontare e descrivere un luogo, o una persona; tutt’altro. Lo stile è enigmatico, surreale nella schematicità, quasi matematico nella costruzione delle inquadrature. E il colore diventa parte integrante di questa ricerca ossessiva della divisione della scena in più scene differenti. La sua maestria sta proprio nel non essere un fotogiornalista comune, che si propone di dare risposte allo spettatore, quanto piuttosto di provocare domande a chi guarda le sue opere. L’occhio va sempre oltre l’immagine impressa.

Questa premessa tecnica era doverosa, poiché aiuta a guardare meglio e a capire fino in fondo le straordinarie opere contenute nel suo libro “Crossings: Photographs from the U.S.-Mexico border”, pubblicato per la prima volta nel 2003 dopo venticinque anni di ricerca e lavoro sul campo da parte di Webb.

A distanza di quindici anni dalla pubblicazione, il tema è ancora scottante. Quando il neo presidente Trump, sia in campagna elettorale che appena eletto, ha tuonato a favore della costruzione di un muro tra USA e Messico, tutto il mondo ha urlato allo scandalo, probabilmente ignorando (che strano...) che gran parte del Muro de la Vergüenza (Muro della Vergogna) è già stato costruito durante la presidenza del guerrafondaio George H. W. Bush e ampliato dal (democratico?) presidente Clinton nel 1994, aggiungendo una massiccia presenza di forze di polizia al confine.

Oggi il confine tra USA e Messico è una striscia di terra lunga circa tremila chilometri e larga sedici che ospita circa dodici milioni di persone, in cui le differenze culturali sono estremamente minime e confuse, di difficile comprensione per noi europei (piuttosto sorprendente se pensiamo che fino al 1989 un muro divideva l’idea di Europa, ma la storia non insegna mai). Dal punto di vista americano, infatti, il muro è visto come la linea di demarcazione tra il mondo civilizzato e industrializzato e quello in via di sviluppo, quindi del terzo mondo. Tuttavia, la grandiosa scritta sul lato messicano “También de este lado hay sueños” (anche da quest’altra parte del muro ci sono i sogni) ci fa comprendere ancora di più la confusione che regna in questa disgraziata parte di mondo, che si lecca ancora le ferite di quasi duecento anni di storia sanguinosa.

Perché, in fondo, il regno dell’anarchia, della prostituzione e della droga facile al mondo industrializzato piace e lo inebria, lo ricerca assiduamente, e probabilmente ne è anche dipendente. Così come, dall’altra parte, il lavoro e il raggiungimento utopico della ricchezza materiale ossessiona chi tale ricchezza non ce l’ha. I due mondi sono destinati ad intersecarsi e a mescolarsi, da sempre, muro o non muro.

Alex Webb ha saputo raccontare tutto questo con estrema delicatezza e inesauribile forza nello stesso tempo. Le sue opere illuminano il mondo precario degli attraversatori illegali di frontiera: noiose attese lungo il recinto, transiti di ponti a tarda notte, viaggi clandestini verso nord, detenzioni e arresti. Tuttavia, le sue immagini suggeriscono anche e soprattutto incroci antropologici, economici e spirituali, tra le discoteche di Tijuana e le celebrazioni religiose, tra i turisti della morte e i lavoratori giornalieri, tra feste e incontri di scambio lungo il confine.

Tom Miller, grande scrittore di viaggio statunitense che ha condiviso con Webb gran parte del viaggio nei primi anni Ottanta del Novecento, un giorno scrisse: “La tua immagine del confine, il modo in cui percepisci la cucitura che unisce i due paesi insieme, dipende da ciò che stai cercando. Se cerchi storie di orrore inflitto, di tristezza, racconti di macabra violenza o cronache di miseria diffusa, lì ce ne sono in abbondanza. Sembra piuttosto orribile, vero? Ma guarda di nuovo, attentamente però, e vedrai perché così tante persone, di entrambi i paesi, i quali definiscono ‘casa’ il confine stesso, apprezzano la sua sfumatura, il suo paradosso, persino la sua fusione politica. Sostituisci ‘confine’ con ‘frontiera’ e inizierai a capire”. Una storia maledettamente americana, su cui probabilmente non vedremo mai la scritta fine.


Bibliografia consigliata:

- Crossings: Photographs from the U.S-Mexico Border di Alex Webb
isbn: 1-56093-096-4

- On the Border: Portraits of America's Southwestern Frontier di Tom Miller
isbn: 978-1504029476

28/04/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Emiliano Jatosti

Emiliano Jatosti, nato a Roma nel 1981, sviluppa fin dall'infanzia una forte sensibilità verso le arti figurative. Fotografo professionista ed educatore all'immagine, antropologo per passione, ha realizzato il primo documento esistente sulla zona rossa de l'Aquila post-terremoto. Dal 2011, ha vissuto tra Roma, Berlino e Barcellona. Da sempre con la valigia pronta, fa del viaggio la sua ragione di vita, del cinema e della fotografia il modo di raccontarla.

Sito web: www.emilianojatosti.com

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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