Dalle elezioni di Trump ci troviamo di fronte ad una fase nuova della politica internazionale che ha riflessi importanti sulle vicende interne del nostro paese: si aprono nuove possibilità di conflitto con una partecipazione di massa che dobbiamo saper cogliere ed interpretare se non vogliamo essere sempre ricacciati nell’angoletto della politica di testimonianza. Il primo dato che colpisce è una spaccatura più palese tra le elitè liberali dell’imperialismo europeo (storicamente vicine al Partito Democratico Usa) e quelle nazional scioviniste più legate a Trump, di cui il Governo Meloni ed una parte consistente della galassia sovranista sono rappresentanti nel nostro paese. Il primo scontro su questo punto si è verificato tra il 15 Marzo ed il 5 Aprile quando, sulla spinta bellicista dell’Unione Europea Michele Serra tentava di chiamare a raccolta le masse a sostegno della politica europea di aggressione alla Russia. In quella fase rivendichiamo con nettezza tutta la nostra azione di propaganda contro quel tentativo ma riconosciamo anche che una parte delle persone sono scese in piazza non con la bandiera della pace. Il 5 Aprile, invece, si è verificata, su proposta del Movimento 5 Stelle, che ha allargato la partecipazione anche ad altre forze di sinistra, la prima forte opposizione visibile alle politiche di guerra.
Dal 5 Aprile ad oggi il dibattito pubblico si è concentrato su due fattori: i Referendum dell’8 e 9 Giugno promossi dalla CGIL intorno ai temi del lavoro e della Cittadinanza e l’aggravarsi della politica di sterminio dei palestinesi da parte dello Stato di Israele e del Governo Netanyahu.
Le atrocità commesse dallo Stato di Israele hanno prodotto un tale discredito nell’opinione pubblica mondiale che una parte dei liberali europei, sino a poco tempo fa complici della propaganda sionista, hanno cambiato posizione, tant’è che a difendere i massacri in Palestina il Governo Meloni si è trovato isolato.
I referendum sul lavoro
Nel PD di Schlein, non potendo lasciare ai Cinque Stelle e ad AVS l’egemonia sul principale sindacato italiano, hanno messo in minoranza l’ala più apertamente e sfacciatamente liberista (Bonaccini e Renziani) ed hanno sostenuto i referendum. L’insieme di questi fattori ha riproposto nuovamente agli occhi dell’opinione pubblica i due temi principali su cui ruota tutta l’impalcatura della politica: la guerra e lo sfruttamento sul lavoro.
E’ fin troppo evidente che una parte del fronte che si sta battendo su questi temi lo sta facendo in chiave strumentale: è un pezzo della borghesia imperialistica europea che, volendosi sganciare da Trump critica ora Netanhiau perché impresentabile agli occhi dell’opinione pubblica: il genocidio su Gaza è inaccettabile, ogni uomo dotato di coscienza morale trova ripugnante ciò che sta avvenendo in quella regione; da qui il corteo promosso per il 7 Giugno contro il genocidio da PD, 5 Stelle, AVS.
Il 21 Giugno, invece, proprio sulla spinta della critica alla guerra, il Movimento Not Rearm For Europe, a cui partecipano anche il Cinque Stelle ed AVS ha indetto una manifestazione contro il Riarmo Europeo in occasione del Vertice Nato che si terrà in Italia in quei giorni.
Molti esponenti della sinistra radicale, in nome di una presunta purezza ideologica, criticano la manifestazione del 7 giugno, auspicando un evento dai contenuti più radicali per il 21 giugno. Tale posizione si comprende alla luce della mancanza di un chiaro posizionamento (o, nel caso della dirigenza del PD, di un cambiamento superficiale) riguardo al sostegno politico a Israele.
Non condividiamo questa posizione. In questo momento si apre la possibilità di una manifestazione di massa contro il genocidio a Gaza il 7 Giugno: noi dobbiamo stare li, con le nostre parole d’ordine coagulare intorno alla solidarietà incondizionata al popolo palestinese il tema del disarmo, quindi scendere in piazza il 7 Giugno dentro uno spezzone di massa che, oltre alla critica al genocidio ponga con nettezza il tema del disarmo e, su questa base, sostenere una manifestazione per il 21 Giugno nella quale sia possibile far convergere il maggior numero di forze possibili, non su piattaforme ultra avanzate ma sul tema del disarmo in Europa.
L’elemento che, a volte, dimentichiamo è che in questo momento abbiamo un governo di destra che è ancora apertamente complice del genocidio, che sta silenziano un referendum sul ristabilimento minimo dei diritti sul lavoro e che, ancora, nonostante il massacro in atto, sostiene apertamente Nethaniau.
La priorità per noi, in questo momento, sarebbe quella di indebolire il più possibile il nostro governo, ma al tempo stesso, approfondire le contraddizioni nell’opposizione mettendo in luce, nella maniera più comprensibile possibile dalle masse il tema del riarmo europeo. Pensare dialetticamente significa leggere i fenomeni storici e sociali non dalla propria lente individuale ma da quella delle masse che, volente o nolente, vivono in una società egemonizzata dalla borghesia che, controllando i media e le istituzioni, impone anche i termini su cui si concentra l’opinione pubblica. Indebolire il Governo Meloni sulle questioni sociali e sulle questioni internazionali e su quest’indebolimento porre le basi per la ripresa di un conflitto rappresenta un’opportunità troppo importante che non possiamo lasciare ai moderati, ai riformisti del PD.
Fare politica e non testimonianza significa sporcarsi le mani, agire nel contesto reale e sfruttare le contraddizioni per far avanzare il conflitto di classe nel nostro paese, tentando di esercitare un’egemonia culturale sulle masse togliendola alle componenti riformiste. Per farlo bisogna sempre essere consci delle proprie debolezze.