La questione dei diritti umani nei Quaderni del carcere

Le riflessioni di Gramsci sulla libertà, l’eguaglianza, la proprietà, la sicurezza, il diritto naturale, ovvero sui concetti decisivi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.


La questione dei diritti umani nei Quaderni del carcere Credits: http://scuoladicittadinanzaeuropea.it/schede/antonio-gramsci-e-la-grande-guerra/

Segue da La strumentalizzazione dei diritti umani

Il rapporto dialettico di determinazione reciproca tra strutture e sovrastrutture

Antonio Gramsci, pur considerando come Karl Marx errato “giudicare un’epoca storica da ciò che essa pensa di se stessa” [1], si è opposto alla liquidazione delle sovrastrutture quali “mere e labili ‘apparenze’” (11, 50: 1475). L’individuazione del fondamento delle sovrastrutture, in senso lato culturali, nelle strutture economiche e sociali – pensate in analogia all’anatomia quale base per la classificazione delle specie naturali (cfr. 10, 41: 1321) – indica l’esigenza, propria di una logica dell’essenza, di basare la propria concezione della società non più su elementi fenomenici, esteriori e meramente empirici. Proprio da ciò emerge il valore progressivo e il limite storico di tale concezione: fissando un fondamento questa concezione del materialismo non si libera dell’attitudine metafisica di contrapporre l’essenza degli assetti strutturali alla parvenza “illusoria” delle sovrastrutture.

Gramsci considera questo “sospetto” nei confronti delle sovrastrutture un momento della lotta condotta dalla nascente filosofia della praxis, ovvero del primo marxismo, contro l’ideologia dominante che poneva come determinante il solo elemento spirituale, ideale. In tal modo però, questa concezione non sufficientemente dialettica del materialismo correva il rischio di cadere in un opposto unilateralismo rispetto alla concezione dominante che criticava, senza pervenire al superamento dell’idealismo, essendo altrettanto incapace di comprendere il legame di reciproca determinazione fra i due piani. Detto altrimenti, nella sua assoluta contrapposizione all’idealismo, tale materialismo non fa che rovesciarne l’unilaterale considerazione del reale quale mero corollario del concetto. In tal modo non ne costituisce un effettivo superamento dialettico, in quanto è altrettanto incapace di comprendere il profondo legame di determinazione reciproca fra razionale e reale. Perciò, a parere di Gramsci, questa astratta contrapposizione del momento presuntivamente dominante delle strutture alle sovrastrutture andrebbe storicamente compresa, ma non perciò accettata, quale opposizione di carattere meramente “psicologico senza portata ‘conoscitiva o filosofica’”, in quanto dettata “dall’immediata passione polemica contro una esagerata e deformante affermazione in senso inverso” (11, 50: 1475), ossia in senso idealistico.

La critica rivolta al valore mistificatorio delle sovrastrutture– quali mere ideologie nel senso deleterio del termine – è, dunque, da considerare storicamente come un corollario della lotta politica contro un determinato modo di produzione e il corrispondente assetto sovrastrutturale che, per la sua incapacità di sviluppare ulteriormente le forze produttive, è solo apparentemente dotato di razionalità e, dunque, di realtà. Perciò, Gramsci ritiene che la polemica svalutazione delle sovrastrutture verrà meno con il venire meno di una struttura produttiva e sociale considerata estranea dagli stessi produttori e con il venir meno di rapporti di proprietà resi irrazionali proprio dal loro divenire un impedimento per l’ulteriore sviluppo delle forze produttive (cfr. 10, 41: 1321).

In altri termini l’astratta e ideologica sottovalutazione delle sovrastrutture da parte dei comunisti verrà progressivamente meno, a parere di Gramsci, con la transizione dal capitalismo al socialismo, in quanto “nel giudizio di ‘apparenza’ delle superstrutture c’è (…) un ‘disinganno’, un pseudopessimismo ecc. che scompare di colpo quando si è ‘conquistato’ lo Stato e le superstrutture sono quelle del proprio mondo intellettuale e morale. E infatti queste deviazioni dalla filosofia della prassi sono in gran parte legate a gruppi di intellettuali ‘vagabondi’ socialmente, disincantati ecc., disancorati, ma pronti ad ancorarsi in qualche buon porto” (11, 50: 1476). D’altra parte, le stesse considerazioni in proposito di Marx ed Engels debbono essere quindi, sostiene Gramsci, storicizzate e ricomprese all’interno del dibattito ideologico anti idealistico e delle esigenze della prassi politica in cui erano inserite. Tanto più che Gramsci non si stanca di sottolineare che la coscienza sociale, l’indispensabile coscienza di classe, è acquisibile unicamente sul terreno delle sovrastrutture e, inoltre, in particolare nei paesi avanzati la lotta e l’affermazione egemonica su tale piano è indispensabile alla trasformazione radicale della struttura sociale.

Il rapporto fra il diritto e l’eticità

I Quaderni del carcere dimostrano l’interesse di Gramsci per la storia contraddittoria e le lotte mediante cui lo stato di diritto si è affermato costringendo i ceti dominanti a sottomettersi alla legge, impedendogli di dominare in modo arbitrario. Tali lotte hanno consentito di sostituire alla concezione “patrimoniale” – tipica dell’ancien régime – di uno Stato rappresentante interessi di casta, la moderna concezione dello Stato di diritto, in cui il dominio assoluto del governo è sottoposto al vincolo giuridico. Gramsci pone così l’accento sulla capacità del diritto di rinnovare la vita etica, ripudiando come moralistica e metafisica la concezione di esso quale mera sanzione di costumi esistenti, ovvero quale sanzione giuridica di una antica tradizione fondata sull’ingenua fiducia nella capacità spontanea della “natura” umana di regolare la convivenza civile.

Tale concezione si fonda, dunque, su un’astratta fiducia nella spontanea capacità che avrebbe la natura umana di regolare la società civile, che la norma giuridica dovrebbe limitarsi ad assecondare. Tanto più che Gramsci considera “astrattamente ottimistica e facilona” e propria di un razionalismo astratto la fiducia nello spontaneismo della natura umana (cfr. 6, 98: 773-74). Se di “natura umana” si può parlare, è possibile farlo secondo Gramsci unicamente a patto di considerarla il portato storico del complesso dei rapporti sociali determinato dal conflitto fra interessi di classe contrapposti. Tale concezione contrasta con ogni acritico umanesimo, poiché intesa in questo senso la natura umana non è propria di un metafisico Uomo in generale, ma esprime il rapporto conflittuale e dialettico di diversi gruppi sociali in lotta fra loro.

La soluzione dell’enigma della natura umana è, dunque, la storia intesa quale concordia discors – fra gruppi sociali – in perpetuo divenire che non presuppone un’unità originaria, sebbene il genere umano possa trovare “in sé le ragioni di una unità possibile” (7, 35: 885), scopo finale del suo sviluppo. Nessun uomo empirico è, dunque, il soggetto della natura umana, ma solo il genere concepito nel complesso del suo sviluppo storico. Nel singolo sono rinvenibili unicamente alcuni tratti specifici che lo determinano nella loro opposizione a quelli posseduti da altri individui. “Trasformare il mondo esterno, i rapporti generali, significa – per Gramsci – potenziare se stesso, sviluppare se stesso. (...) Perciò si può dire che l’uomo è essenzialmente ‘politico’, poiché l’attività per trasformare e dirigere coscientemente gli altri uomini realizza la sua ‘umanità’, la sua ‘natura umana’” (10, 48: 1337-38).

Gramsci critica inoltre la concezione mistificatoria, tutt’ora dominante, che considera il diritto espressione dell’intera società e non delle classi dominanti. In generale qualsiasi Stato mira a regolare la convivenza civile e a plasmare di sé ogni ambito della vita sociale, utilizzando a tale fine diritto, istruzione e ogni altra istituzione. Se il diritto positivo, dunque, impone ai cittadini norme di condotta che la classe al potere ritiene funzionali al proprio dominio, alla salvaguardia dell’ordine vigente, in senso più ampio esso incide sulla sfera dei costumi rendendo spontanea l’adesione dei ceti subalterni al potere costituito [2], mediante l’azione egemonica su opinione pubblica ed eticità costituita e la promessa che anche i membri delle masse popolari potranno, meritocraticamente, trapassare molecolarmente nella classe dirigente. L’insieme sociale trova la sua rappresentazione nelle norme di condotta etica “giuridicamente indifferenti” e storicamente determinate mediante l’intervento dello Stato sulla società [3].

Lo Stato, quindi, attraverso il diritto mira a rendere più omogenea e salda possibile la classe dirigente, mediante il governo col consenso permanentemente organizzato attraverso le forze private della società civile che strutturano l’opinione pubblica, funzionalizzando a tale scopo la sfera dei costumi, per implementare il conformismo sociale anche delle classi escluse dal potere politico. Qualsiasi Stato punta a regolare la convivenza civile ed a plasmare di sé ogni ambito della vita sociale. Tuttavia la sfera d’azione del diritto non si limita all’ambito politico statuale, ma tende progressivamente ad estendersi all’intera società civile plasmando nella direzione dei ceti dirigenti la stessa eticità. In tal modo, Gramsci intende ampliare il concetto di diritto consentendogli di dar conto del suo operare indiretto mediante l’azione della società civile che incide sull’eticità, sui modi di agire e pensare della collettività senza dover ricorrere a sanzioni ed obbligazioni penali [4].

Continua nei prossimi numeri


Note

[1] Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica a cura di V. Gerratana, Einaudi Torino 1977, p. 1474. D’ora in poi citeremo l’opera fra parentesi direttamente nel testo indicando il quaderno, il paragrafo e il numero di pagina di questa edizione.

[2] Tale imposizione avviene mediante la sanzione penale e l’egemonia, funzionale alla spontanea adesione all’ordine costituito da parte dei ceti dominati. Dunque, persino il diritto penale è considerato da Gramsci, in polemica con gli anarchici, il necessario lato negativo “di tutta l’attività positiva di incivilimento svolta dallo Stato” (13, 11, 1571).

[3] Per quanto concerne il legame tra il concetto di Stato etico e il concetto liberale di Stato, osserva Gramsci: “il concetto di Stato etico è di origine filosofica e intellettuale (propria degli intellettuali: Hegel) e in verità potrebbe essere congiunta con quello di ‘Stato – veilleur de nuit’, poiché si riferisce piuttosto all’attività, autonoma, educativa e morale dello Stato laico in contrapposto al cosmopolitismo e all’ingerenza dell’organizzazione religioso-ecclesiastica come residuo medievale (..). Naturalmente i liberali [‘economisti’] sono per lo ‘Stato veilleur de nuit’ e vorrebbero che l’iniziativa storica fosse lasciata alla società civile e alle diverse forze che vi pullulano con lo ‘Stato’ guardiano della ‘lealtà del gioco’ e delle leggi di esso” (26, 6, 2302-303).

[4] In altri termini, per dirla con Gramsci: “attraverso il ‘diritto’ lo Stato rende ‘omogeneo’ il gruppo dominante e tende a creare un conformismo sociale che sia utile alla linea di sviluppo del gruppo dirigente. L’attività generale del diritto (che è più ampia) dell’attività puramente statale e governativa e include anche l’attività direttiva della società civile, in quelle zone che i tecnici del diritto chiamano di indifferenza giuridica, cioè nella moralità e nel costume in genere) serve a capire meglio, concretamente, il problema etico, che in pratica è la corrispondenza ‘spontaneamente e liberamente accolta’ tra gli atti e le omissioni di ogni individuo, tra la condotta di ogni individuo e i fini che la società si pone come necessari, corrispondenza che è coattiva nella sfera del diritto positivo tecnicamente inteso, ed è spontanea e libera (più strettamente etica) in quelle zone in cui la ‘coazione’ non è statale, ma di opinione pubblica, di ambiente morale ecc.” (6, 84: 757).

14/07/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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