I concetti fondamentali della filosofia di Hegel

Affrontiamo i concetti fondamentali della filosofia di Hegel per avere gli strumenti necessari a comprendere le sue immortali opere filosofiche, liberandoci delle più comuni incomprensioni.


I concetti fondamentali della filosofia di Hegel Credits: https://www.spiked-online.com/2016/04/28/hegel-on-hamlet/

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci

La realtà (Wirklichkeit) nel senso forte del termine, la realtà effettuale, è per Hegel una totalità organica e non indica dunque – come spesso avviene nel linguaggio quotidiano – un singolo essere determinato. Quest’ultimo è definito da Hegel come esistente ed è in quanto tale parte di tale totalità, è il finito che come tale non può che morire, non avendo in sé la propria verità ma nel suo altro. Al contrario l’assoluto o infinito è ab-solutus, ovvero privo di legami già nel significato etimologico del termine; ha in sé la propria ragione di essere, la propria verità e necessità e, perciò, è reale unicamente una totalità organica. Ciò che è invece finito, particolare, esistente è in quanto tale limitato. Non è vero, in quanto non è in sé razionale. Non ha in sé senso e necessità, ma li acquista solo nella relazione che lo lega a tutti gli altri finiti quali momenti dell’infinito, parti del tutto in cui soltanto assumono il loro vero significato.

L’assoluto come soggetto-oggetto

Finito e infinito non devono perciò essere contrapposti, come fa ingenuamente il senso comune che non va al di là della facoltà analitica dell’intelletto, che tende a considerare la realtà una parte alla volta, senza comprendere che la parte è tale solo in relazione al tutto. Il finito preso da solo, considerato in quanto tale è qualcosa di accidentale. D’altra parte anche l’infinito contrapposto al finito non è altro che un finito più grande, in quanto per essere realmente infinito deve ricomprendere in sé il finito, altrimenti questo ultimo lo limiterebbe negandone il suo necessario essere, come abbiamo visto, ab-solutus.

Hegel si volge contro il dualismo proprio della filosofia moderna, che definiscefilosofia della riflessione, che si è storicamente sviluppata dal cogito cartesiano fino all’idealismo soggettivo di Fichte. Hegel è, perciò, maggiormente interessato al sistema monista di Spinoza – filosofo “maledetto” che il nostro contribuisce a riscoprire e rivalutare – ma mentre nella filosofia spinozista l’assoluto è pensato come assoluta sostanza, come la totalità della natura, quindi come un qualcosa di oggettivo e necessario, per Hegel l’assoluto è soggetto e oggetto soggettivo, è essenzialmente spirito storico umano che si fonda sulla propria libertà.

La verità

La verità non è per Hegel un dato, un fatto o qualcosa di statico, ma un processo costantemente in divenire, lo spirito (umano) è, in effetti, storico. La verità è, dunque, il processo del suo svolgimento e il risultato che ne consegue. Il vero è, infatti, l’intero, la totalità. Del resto solo dal risultato, dall’anatomia dell’uomo si può risalire e comprendere l’anatomia della scimmia. In effetti il processo di sviluppo della natura diviene consapevole di sé e può comprendersi nel suo punto di massimo sviluppo, ossia solo nell’uomo, che può quindi essere considerato il suo risultato. La natura nel processo del suo sviluppo produce l’uomo che rende a sua volta comprensibile tale processo che in lui diviene infine autocosciente.

Il razionale e il reale

La verità è per Hegel idea, non però intesa, come si tende a credere, quale concetto astratto, puro pensiero, ma come concetto e sua realizzazione pratica, storica. L’idea dunque, ancora una volta al contrario di quello che generalmente si intende nel linguaggio quotidiano, in Hegel unifica sempre pensiero ed essere, ragione e realtà. Non tenere presente questo aspetto ha portato a tutta una serie di critiche prive di qualsiasi reale valore dell’idealismo hegeliano, sulla base del pregiudizio che esso sostenesse che la realtà è il prodotto dell’idea astratta, ovvero di quello che Hegel definisce il mero concetto, proprio in contrapposizione alla reale idea.

Ciò ha portato, da ormai quasi duecento anni, a equivocare e a criticare grossolanamente, spesso in nome del realismo più ingenuo o del materialismo più rozzo, un noto passaggio della Prefazione ai Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel in cui il filosofo sostiene, in polemica con l’astratto utopismo, che solo ciò che è razionale è (veramente) reale e solo ciò che è (effettualmente) reale è (al contempo) razionale. Tale provocatoria presa di posizione di Hegel, per cui il razionale non è un che di astratto, come il dover essere, ma la ha forma stessa di ciò che è veramente reale, è stata maliziosamente o ingenuamente interpretata come un grossolano giustificazionismo dell’esistente e, in particolare, dello Stato prussiano del tempo, in genere presentato non per quello che effettivamente era allora, ma per quello che diverrà poco dopo la morte di Hegel, ovvero un bastione della reazione.

La realtà (effettuale) infatti, come abbiamo già sottolineato, non può essere confusa, se non da chi è ignorante degli stessi capisaldi del sistema hegeliano, o semplicemente è in cattiva fede, come ciò che è meramente esistente, accidentale. La realtà – nel senso forte del termine sottolineato da Hegel con l’utilizzo del lemma Wirklichkeit appunto a indicare la realtà effettuale – è in quanto tale necessaria, dal momento che rappresenta la realizzazione di un concetto razionale, il suo farsi storia, ovvero in termini hegeliani l’idea. Dunque, il razionale non può rimanere, proprio al contrario di quello che credono generalmente i critici di Hegel, qualche cosa di puramente ideale, o un mero dover-essere, un’aspirazione soggettiva, ma è tale, ossia razionale, solo nel momento in cui dimostra la sua capacità di divenire realtà effettuale.

Il mero essere, che il realista ingenuo o il crasso materialista scambia con il reale nella sua effettualità, è al contrario per Hegel qualcosa di inessenziale, di accidentale e, dunque, non necessario né razionale, dal momento che anche le cose più basse e volgari, di cui a ragione giustamente ci dimentichiamo immediatamente, come ciò che soffiamo dal naso nel fazzoletto, è dotato di essere. Da qui la nota polemica di Hegel con l’esigenza stessa dei filosofi precedenti di provare o confutare l’esistenza di dio. Questione quanto mai assurda ai suoi occhi, visto che ci si interroga se dio abbia lo stesso inessenziale attributo dell’esistenza, che ha persino ciò che abbiamo soffiato nel fazzoletto dal naso, in quanto da noi ritenuto del tutto inessenziale, anzi nocivo. Mentre evidentemente dio è reale in quanto è un concetto razionale elaborato dalla mente umana e che ha assunto diverse configurazioni storiche, che è possibile comprendere nella loro necessità studiando scientificamente la storia delle credenze religiose (cosa che Hegel fa nelle sue lezioni di Filosofia della religione, pubblicate postume).

La critica al dover essere in quanto astratto e meramente soggettivo

Come abbiamo visto, Hegel sottolinea provocatoriamente la razionalità della realtà, proprio in polemica contro la presunzione infantile del soggettivistico dover-essere che viene vanamente contrapposto alla realtà, quale necessario prodotto del processo storico, che ha una sua razionalità e necessità. In altri termini, al contrario della donchisciottesca e infantile pretesa che la realtà si confaccia ai nostri ideali soggettivistici, occorre per Hegel comprendere filosoficamente e scientificamente il reale, come necessario prodotto di un altrettanto necessario processo storico, se si vuole realmente intervenire su di esso per ulteriormente razionalizzarlo.

La realtà, proprio perché ha in sé una sua razionalità, in quanto prodotto dell’agire finalisticamente orientato dell’umanità, può essere ulteriormente sviluppata solo quando la si è non idealisticamente, ma realisticamente, compresa. Dunque, al contrario di quello che credono o fingono di credere la maggior parte dei critici di Hegel, quest’ultimo è tutt’altro che un idealista, nel senso corrente del termine, anzi la critica che gli si dovrebbe rivolgere è di essere, proprio al contrario, troppo spietatamente realista, nella sua costante critica dell’astratto e soggettivista utopismo.

Hegel è, infatti, sin troppo duro nella critica di chi pensa di aver detto qualcosa di realmente incisivo o addirittura rivoluzionario sostenendo, ad esempio, che un altro mondo è possibile. A suo avviso, in effetti, la categoria del possibile è la categoria più insignificante, proprio per la sua astrattezza, in quanto in teoria tutto è possibile. Dunque, ancora una volta, la reale comprensione dei concetti di fondo della filosofia hegeliana ci permettono di smentire le critiche ingiustificate, semplicistiche, ingenerose e irriguardose che gli sono state rivolte, per il suo presunto ingenuo idealismo.

Per Hegel, al contrario, ben al di sopra di ciò che è meramente possibile, dal momento che potenzialmente tutto lo è, c’è la categoria generalmente tanto ingiustamente incompresa e squalificata del reale che, a differenza del meramente esistente, è anche razionale. Tanto che in tal modo il reale, divenendo atto, diviene al contempo un qualcosa di necessario, in quanto tale ben più rilevante di ciò che è solo astrattamente possibile e, quindi, resta qualcosa di essenzialmente accidentale, di meramente contingente. Un po’ come quando si chiede a un bimbo che cosa vuoi essere da grande, la sua risposta è generalmente contingente e meramente potenziale, ma non ha generalmente nulla di reale e, spesso, nemmeno di realistico e, tantomeno, di necessario.

Al di sopra del necessario non vi è dunque il soggettivistico possibile, ma piuttosto ciò che non è solamente necessario, ma al contempo libero. Il che significa, ovviamente, una concezione della libertà antitetica a quella ingenua del liberalismo che la confonde con il mero arbitrio. Per cui la libertà sarebbe il fare ognuno come gli pare, persino le cose più sciocche, infantili, meschine, assurde o ciniche etc. È infatti al solito l’intelletto, che non riesce a concepire il pensiero astratto, che pretende di definire la libertà in contrapposizione alla necessità, rendendola qualcosa di “pericoloso” come il completo arbitrio, proprio unicamente di un bambino ancora incapace di ragionare che può sentirsi libero di uscire, ad esempio, dal settimo piano di una casa passando dalla finestra, invece che dalla porta, mostrando così di pretendere di esercitare contro le necessarie leggi della fisica il suo soggettivistico libero arbitrio. La cosa è talmente insensata che non esiteremo, liberali compresi, a definire folle un adulto che si sentisse “libero” di agire in tale modo infantile.

Al contrario, il realista e antidealista Hegel, all’opposto di quanto ne dice e pensa la “vulgata”, non può che considerare la libertà la razionale comprensione della necessità, a partire dalle leggi naturali, per cui dovendo uscire, tornando al nostro esempio, da una casa al settimo piano sarò libero di uscire solo utilizzando necessariamente la porta, passando dalla finestra non solo non lo sarei più, ma rinuncerei persino alla mera possibilità dell’esistente.

29/12/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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