Il concetto di comunismo e la storia

Il concetto di comunismo è insostituibile e unitario nelle sue determinazioni. I comunisti devono superare il capitale in potere conoscitivo per instaurare la fine delle classi.


Il concetto di comunismo e la storia Credits: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Murales_Rivera_-_Treppenhaus_7_Marx.jpg

Rifondare il comunismo non ammette balbettii quali ri-rifondamenti o ri-rifondazioni, né genericità aggettivate, rinvianti a società “più” giuste, salari “più” equi, condizioni di vita “più” umane, etc. Il concetto di comunismo, come ogni altro concetto, non si presta al baratto dilatorio o sviante di parole sostitutive – comunque demagogiche – ma pretende di realizzarsi storicamente nella sua unitarietà, per essere definito, anche linguisticamente, nella sua completezza.

Essendo infatti un qualunque concetto unità inseparata di tutte le sue determinatezze, queste non possono trovare autonomia di significato fuori di quest’unità, in cui sola, al contrario, trovano senso identitario. Così, in comunismo, è racchiuso il senso di scioglimento della separatezza di capitale e lavoro, effetto e condizione del superamento del modo di produzione capitalistico (nel senso di rapporto sociale storicamente determinatosi, non nell’accezione di modalità organizzativa tecnologica del rapporto sociale stesso). Il lavoro salariato quindi, quale corollario (e non “variabile indipendente”!) di tale separatezza, viene a cadere unitamente all’esigenza di renderlo più “equo”, in quanto viene meno il riferimento all’altro lato dell’equità, che è l’esazione di un plusvalore non più appropriato privatamente, ma socialmente amministrato e parzialmente distribuito come ricchezza, “equamente” godibile dal corpo sociale stesso dei produttori. Altre determinazioni concrete si connettono a questa centrale – quale ad esempio la costruzione, entro tale presupposto, dello stato sociale cosiddetto in quanto amministrazione pubblicamente gestita e controllata – nell’autodeterminazione del comunismo, che in tal senso non si lascia limitare o ri-durre in modo estraneo ad opera di altro o altri.

Portare a realtà il comunismo significa pertanto oggettivare le differenziazioni di tutti i momenti particolari della soggettività concettuale (socializzazione della produzione e dei fini della ricchezza mondiale, giustizia in quanto abbattimento delle classi, estinzione dello stato come guardiano della privatizzazione del plusvalore, ecc.), mediati – e non dispersi, magari nei ricorrenti affanni di rincorse riforme più o meno strutturali! – nell’unità ideale conservata, saputa e difesa in siffatta pluralità materiale. La verità del comunismo risiede quindi nel suo farsi esistenza come accordo continuamente realizzantesi e realizzato di relazioni sociali e materiali corrispondenti alla sua concettualizzazione, intesa come totalità conoscitiva inscindibile che, in quanto tale, nulla può concedere a decurtazioni, ri-facimenti o rin-novamenti, conformi solo a soggettive rappresentazioni di interessi di parte, ecc. I nemici del comunismo sanno bene che ri-toccare, ri-trattare l’identità di tale realizzazione di conoscenza storicamente acquisita, significa rinviare fino a che sarà possibile i tempi della perdita di dominio da parte del capitale. Eliminare perciò la visibilità del reale, mistificare il senso storico, rabbassarne il processo a mera apparenza isolabile in eventi astratti di contro alla totalità concettuale di comunismo, serve a immiserire le forze soggettive disponibili a lottare per la sua costruzione.

Non certo a mutare il corso necessario delle contraddizioni reali che il sistema deve comunque affrontare per sussistere, allargarsi e riprodursi! Ovvero, perdurando la crisi, il capitale è comunque costretto a creare inflazione di cui poi deve mostrare di “spezzare le reni” (A.Fazio, Repubblica, 25.9.’96); a distruggere forza-lavoro di cui ri-lanciarne l’occupazione, non sempre facilmente, a prezzi stracciati; a espellere, magari con l’uso della magistratura, le proprie proglottidi interne, quando corrotte in modo non più giustificabile o gestibile; a unire i fratelli nemici dell’Europa solo con le tasse estorte dai “cilindri rossi” o con i “risparmi” sulle pensioni, ma senza poter ri-toccare i meccanismi di un’accumulazione calante di plusvalore; ecc.

Questo breve scorcio di problemi teorici – in cui ogni comunista è coinvolto, al di là della propria coscienza – nega alla vita politica ogni bivacco nell’illusione come mezzo per strappare qualche fine tattico, in attesa sempre di una strategia da definire, intrisa nella parvenza di sentimenti fideistici, escatologici, di riscatto umanitario, rivendicativi, ecc. per un’eventuale ipotesi comunista. Chi ormai vive la politica come primato dell’azione autolegittimantesi, od anche come mera successione temporale di atti istituzionali (ad esempio la cattiva infinità degli appuntamenti elettorali), ritiene una pura perdita di tempo la fatica del pensiero e i suoi aridi rigori, di contro all’immediata casualità di un fare che si autogratifica nella semplificazione o nei personali vantaggi ricevuti. In tal senso il massimalismo verbale (riduzione d’orario a parità di salario, pensioni e sanità non si toccano, ecc.), anche di parole d’ordine, tende a cancellare la non corrispondenza a quello scorrere indifferente dei fatti, espressione del bisogno capitalistico di ridurre il salario sociale globale, secondo tappe, stornamenti, occultamenti, ecc. gestiti dal patteggiamento neocorporativo.

Il comunismo, per divenire realtà, non ha bisogno di fughe in avanti, bensì di scienza, conoscenza quanto più possibile circostanziata delle proteiformi viscere del capitale da cui - se è verità - sarà necessariamente partorito come forma storica della transizione. Conoscere pertanto le forme dei mutamenti (non già l’insignificante “postfordismo”, ma invece le forme istituzionali e giuridiche dell’intensificazione e condensazione cui è sottoposta la forza-lavoro) diviene il presupposto per identificare le lotte possibili, la loro direzionalità immediata e di prospettiva, i margini di autonomia praticabili e da conquistare, insomma la linea politica adeguata alla fase. Lo sforzo per realizzare credibilmente tale progetto può essere organizzato solo da una struttura articolata di tipo partitico, in quanto il nome di comunista implica il confronto con i contenuti (non già ritenuti astrattamenti “dottrinari” o peggio “ideologici”!) di classe dell’organizzazione sociale, individuabili solo in base all’uso categoriale dell’unica scienza che ne dia conto, ovvero la critica dell’economia politica marxiana.

Ri-fondare il comunismo, in base a quanto detto sopra, risulta così frase priva di senso, dato che ciò che dev’essere ri-fondato è solo il partito, in funzione di una sua adeguatezza allo scontro storico in atto. Se il capitale, per uscire dalle sue crisi, richiede sempre più conoscenze efficacemente possedute, i comunisti, che ne sono in un certo senso la filiazione, devono superarlo in potere conoscitivo per consumare il parricidio e instaurare così le loro leggi storiche e la fine delle classi a livello mondiale.


“Ci sono tempi in cui, ancor meno che in altri, non è lecito ammettere balbettii, giacché tali balbettii sono l’unica forma quasi afasica in cui provano a esprimersi i dominati”.

Non ammette tali scioccherie giacché, se il comunismo ci fosse, o comunque quel poco che c’è, basterebbe condurlo con decisione nella sua autonoma, ancorché contrastata, antiteticità; ma se non c’è - e oggi non ce n’è che assai poco, in quanto tale, nella propria autenticità, non essendo del resto concepibile alcuna via di mezzo - esso va di continuo fondato (non ri-fondato), ossia posto sui suoi fondamenti di classe, di lotta di classe, per una società senza classi. Non conosciamo altro fondamento scientifico del comunismo che il marxismo, formulato appunto in risposta critica ai balbettii socialisti dell’epoca; e per far ciò occorre una conoscenza scientifica collettiva dei rapporti di capitale oggi, una cultura assolutamente autonoma da quella borghese ancorché progressista, criptica più che critica, una formazione di massa che non può essere seconda a nessun altro impegno e che non può scimmiottare malamente la superficialità acategoriale dell’erudizione e dell’informazione dominante, ossia una coscienza emancipata critica di classe, il marxismo

“Il marxismo, teoria scientifica del comunismo, il cui corpo è assalito e infestato dagli insetti che pretendono di sembrare più grandi di lui”.

(Lu Hsun)

18/02/2017 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Carla Filosa

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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