Bolsovirus e la crisi politico-economica e sanitaria in Brasile

La natura della crisi di governo tra Bolsonaro e i suoi ministri, in particolare quelli della Sanità, della Giustizia, dell'economia e le prospettive future.


Bolsovirus e la crisi politico-economica e sanitaria in Brasile

Come sappiamo, il mondo da alcuni mesi si trova a fronteggiare una pandemia, il SARS-Cov-2. Anche il Brasile attualmente è coinvolto, ma è governato da un presidente che adotta comportamenti totalmente irrazionali sulla gestione di questa crisi. Partiamo dai dati: il 25 aprile risultavano in Brasile più di 54.000 casi positivi e almeno 3.700 morti. Questi dati sono con ogni probabilità sottostimati [1] e quindi vanno presi con il beneficio del dubbio.

In ogni caso è apparso evidente fin da subito quale fosse l'intenzione del presidente Bolsonaro: negare le reali dimensioni del problema per non fermare l'economia. Si è passati così dal considerare il coronavirus una debole influenza, alla necessità di considerare che tutti dobbiamo morire prima o poi e infine alla necessità di tornare alla normalità il prima possibile, per fare in modo che i danni economici non fossero maggiori di quelli sanitari, operando un'assurda contrapposizione tra economia e salute, come se effettivamente esistesse questa divisione. Da ultimo si è deciso di far dimettere il ministro della salute Luiz Henrique Mandetta, del partito DEM (centro-destra), favorevole a forme di lockdown almeno parziale dell'economia, e sostituirlo con l'inespressivo Teich, più allineato ai voleri del presidente.

Su quest'elemento è lecito soffermarci un attimo. Quello che è successo a partire dalla seconda metà di marzo è stato uno scontro senza quartiere tra governo federale e alcuni governatori di Stati brasiliani, con particolare attenzione ai governatori di San Paolo e Rio de Janeiro, due tra gli Stati più affettati dal nuovo virus. Ciò che è avvenuto è che questi governatori, dato l'aumentare del numero di casi, hanno deciso di chiudere i luoghi di aggregazione come bar, ristoranti, scuole, università ecc. con l'idea di ridurre per quanto possibile il contagio [2]. Solo per essere chiari, questi due governatori appartengono alla stessa area politica di Bolsonaro ed entrambi lo hanno appoggiato nel 2018, quindi sono tutt'altro che degli estremisti di sinistra, come i siti bolsonaristi diffondono ormai da settimane, e molto di quello che stanno facendo lo fanno per prendere le distanze da un presidente sempre più demoralizzato e con evidenti difficoltà a gestire il governo.

In questo scontro si inserisce l'ex ministro Mandetta. Egli, distintosi durante quest'anno e mezzo per aver difeso la fine del programma di collaborazione Mais medicos (che permetteva l'invio di medici cubani nelle zone più disagiate e in difficoltà del paese) e per aver da sempre appoggiato lo smantellamento del sistema pubblico di sanità, è assurto ai ranghi di paladino della salute pubblica. Sgombriamo il campo dagli equivoci, non è assolutamente questo ciò che è successo. Il motivo dello scontro tra lui e Bolsonaro è molto più semplice.

I due divergevano su quale tipo di isolamento adottare per contenere la pandemia, se orizzontale o verticale. Il primo, difeso da Mandetta e dai suoi alleati, prevedeva forme più o meno intense di lockdown, con l'aumento del numero di test e l'ampliamento dei reparti di terapia intensiva principalmente nelle regioni più colpite del paese; il secondo, quello verticale, suppone che l'isolamento vada fatta per fasce di età, costringendo anziani e malati a rimanere in casa, mentre il resto della popolazione potrebbe tranquillamente uscire già che non sono soggetti a rischio e che evidentemente citando lo stesso Bolsonaro: “alcuni moriranno, mi dispiace tanto, è la vita”. Questa settimana il presidente ha anche fatto presente a chi gli chiedeva conto dell'alto numero di morti, che chi si occupa di morti sono le agenzie di pompe funebri e i cimiteri, non lui.

Questo scontro tra Bolsonaro e il suo ministro, durato per settimane, si è concluso con la sostituzione del ministro della salute con Teich, specialista in oncologia e senza nessuna esperienza politica alle spalle. Egli, di cui  si sono perse le tracce dopo una settimana dalla sua nomina visto che non ha ancora dichiarato pubblicamente quale sarà il suo piano di lotta alla pandemia, si è distinto in passato per aver sottolineato la necessità di privilegiare nella scelta di chi curare i più giovani e in salute rispetto ai più anziani, e ha già escluso l'ipotesi di fare test in massa, visto l'alto costo economico di tale operazione.

Due settimane fa, invece, il Brasile ha dovuto affrontare una nuova crisi politica, quella tra Bolsonaro e l'ormai ex ministro della giustizia, Sergio Moro. Per chi non lo conoscesse Moro è stato il principale artefice dell'operazione “Lava Jato”, nata con l'intento di spazzare via i corrotti e conclusasi invece con un semplice giro di vite, ma soprattutto è stato il giudice che ha condannato l'ex presidente Lula in un processo fondato su supposizioni e prove quantomai dubbie, con l'intento neanche troppo implicito di estromettere Lula dalle elezioni presidenziali del 2018, in cui era dato in tutti i sondaggi come favorito alla vittoria. In ogni caso Moro, per i “meriti” acquisiti sul campo, si è guadagnato la chiamata ad inizio 2019 per diventare ministro della Giustizia e a fine 2020 giudice integrante il supremo tribunale federale, massimo organo della giustizia brasiliano.

In questo anno di lavoro la collaborazione tra i due era stata burrascosa ma stabile e Moro a più riprese aveva coperto i crimini dei figli di Bolsonaro, che vanno dallo schema denominato “rachadinha”(che funziona con la “devoluzione” di parte degli stipendi dei collaboratori dei deputati ai loro politici di riferimento), al sempre più probabile coinvolgimento, perlomeno indiretto, della famiglia Bolsonaro nell'omicidio della consigliera comunale di Rio de Janeiro Marielle Franco. La goccia che ha fatto traboccare il vaso, e a mio avviso anche la scusa di Moro per uscire da un governo sempre più in difficoltà, è stato il tentativo di Bolsonaro di cambiare il presidente della Polizia federale brasiliano, di nomina presidenziale ma sotto l'autorità del ministro della giustizia. Inoltre, a quanto dichiarato da Moro in una conferenza stampa destinata a entrare nella storia recente del Brasile, il presidente avrebbe chiesto l'accesso a documenti segreti riguardanti l'inchiesta sui suoi figli, intromissione davvero troppo grave da sopportare anche per un opportunista dallo stomaco di ferro come Sergio Moro.

Di fatto le sue dimissioni lo riportano al ruolo di eroe anti-corruzione e incorruttibile, il cui smalto era stato via via perduto dalle inchieste del giornale “The intercept”, che aveva dimostrato i suoi metodi decisamente non convenzionali dell'epoca in cui era un giudice federale e soprattutto dalla sua collaborazione con il piano reazionario-genocida del presidente Bolsonaro. Quest'ultimo, nell'ennesima conferenza stampa di questo periodo tumultuoso ha invece affermato di sentirsi tradito da Moro, il quale a suo modo di vedere avrebbe accettato questo cambio alla guida della polizia federale solo dopo essere stato nominato giudice del STF a novembre di quest'anno. Sulle sue dichiarazioni è lecito sempre avere moltissimi dubbi, ma l'idea che Moro fosse un santo ci appare davvero poco credibile, mentre è già partita una campagna stampa a sostegno dell'ex giudice, con l'idea neanche troppo peregrina di lanciarne la candidatura alle presidenziali del 2022, come candidato della destra “responsabile” contro l'estremista Bolsonaro. Come se non bastasse, Moro ha mostrato in diretta nazionale durante il principale telegiornale brasiliano i messaggi con cui Bolsonaro lo esortava a prendere provvedimenti contro il capo della polizia federale.

Il prossimo ad uscire di scena dovrebbe essere, in questo che ultimamente sembra più un talent show che un governo, il super-ministro dell'economia Paolo Guedes, a quanto pare in contrasto con l'ala militare del governo, che sta prendendo sempre più spazio e potere. Il motivo del contrasto sarebbe dovuto alla decisione su come far ripartire l'economia del paese alla fine di questa pandemia: i militari premerebbero per un piano di investimenti pubblici con lo Stato ad indebitarsi per far ripartire l'accumulazione, mentre Guedes, ultra-liberista formatosi alla scuola di Chicago, difende un ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, per scaricare sui lavoratori il costo della crisi imminente [3]. Inoltre dopo la dimissione di Moro, Guedes si è affrettato a dichiarare la sua solidarietà per quanto accaduto, il che fa temere che il suo incarico sia sempre più minacciato.

Lo stesso Bolsonaro appare in difficoltà non piccole, e i panelacos (battiture di pentole contro il governo. l’equivalente brasiliano dei cacerolazos dei paesi di lingua spagnola) che si ripetono ormai da settimane dimostrano un sempre maggiore scollamento tra Bolsonaro e le masse popolari, tra cui anche una parte di quegli elettori che lo avevano votato convinti realmente che fosse l'uomo che lottava contro la corruzione e che oggi hanno capito come il castello di carte sia caduto. Nel frattempo si susseguono le richieste di impeachment da parte di un sempre maggior numero di deputati ma il blocco politico definito “Centrao” che rappresenta un buon numero di deputati non sembra ancora disposto ad appoggiare un processo che per essere approvato necessita del voto favorevole della maggioranza assoluta dei deputati di entrambe le camere. Inoltre se avvenisse quest'anno condurrebbe il paese ad elezioni quanto mai incerte, mentre se fosse l'anno prossimo porterebbe all'investitura del generale Mourao, attuale vice di Bolsonaro e militare di lunga e “onorata” carriera all'interno dell'esercito.

Infine, è necessario parlare brevemente del ruolo dell'ala militare nel governo. Come sappiamo, i militari hanno sempre avuto un ruolo molto rilevante nella storia brasiliana dopo la ri-democratizzazione e dopo la vittoria di Bolsonaro, il cui vice come abbiamo appena detto è un generale in pensione. Il loro ruolo e il loro peso nel governo sono progressivamente aumentati. In particolar modo, dopo la nomina di Braga Netto come capo di Stato, militare di estrema rilevanza che ha sostituito un civile di fede bolsonarista, appare evidente un po' a tutti di come i militari vogliano poter decidere di più di quanto già non facciano. Non è dunque escludibile a priori un loro ruolo in un eventuale processo di impeachment di Bolsonaro o di pressione per una sua rinuncia, che potrebbe portare il suo vice Mourao, più responsabile e manovrabile da parte loro, ad assumere l'incarico più rilevante nel paese, quello di presidente.


Note:

[1] Studi autorevoli affermano l'esistenza di un numero dei casi positivi superiore da 7 a 12 volte quello ufficiale. Anche per i morti è lecito dubitare, in ogni caso valga ad esempio il fatto che il prefetto di San Paolo abbia deciso di raddoppiare il personale che lavora nei principali cimiteri cittadini.

[2] Rio de Janeiro sta già decidendo una maggiore flessibilità delle regole, San Paolo ha deciso di aspettare fino al 10 maggio.

[3] Le prime stime parlano di un PIL in caduta tra il 6 e il 9 per cento quest'anno, mentre il dollaro ha già toccato nuovi record e si approssima a raggiungere il valore di 6 reais per comprare un dollaro.

03/05/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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