Francia: braccio di ferro contro il presidente dei padroni

La convergenza delle lotte in atto in Francia per rovesciare Macron e la sua agenda reazionaria


Francia: braccio di ferro contro il presidente dei padroni Credits: https://www.initiative-communiste.fr/articles/prcf/apres-le-discours-du-1er-ministre-union-action-jusquau-retrait-total-declaration-du-prcf/

PARIGI. Quello francese è stato un 2019 denso di lotte, anche se sembrava difficile eguagliare il 2018 e la sua celebrazione dei movimenti del ’68. Il maggio scorso ha visto diversi cortei marciare sulla capitale e il 16 novembre 2019 i Gilet Jaunes hanno compiuto un anno di mobilitazione, lasciando intendere che questo non sarà un dicembre tranquillo.

L’ultimo mese di questa decade inizia con una mobilitazione generale il 5 dicembre che cerca di paralizzare il Paese e, anche se non avevamo più molti dubbi, è un vero successo. Da un lato il blocco pressoché totale di molti settori come sanità, trasporti e istruzione, dall’altra un fiume di francesi si reca nelle piazze e nelle strade di tutto il Paese. Le cifre parlano di più di un milione di manifestanti in tutta la Francia, più di un centinaio di migliaia solo a Parigi.

Il bersaglio è sempre lui, il “Président des patrons” Emmanuel Macron. La data non è un caso, le mobilitazioni di dicembre avevano fatto crollare il governo Juppé già nel 1995 e si tenta il bis. “Osa fare delle riforme impopolari ma necessarie” [1], questa pare essere la principale ragione di chi sostiene tutt’ora il Presidente Macron, e non sono pochi. Una formula che ben conosciamo anche in Italia, che per anni ha giustificato le scelte degli elettori e dei politici della sinistra liberista, fan di un realismo politico che non gli appartiene.

Tuttavia, un recente sondaggio vede il 64% dei francesi contrari alle riforme pensionistiche di Macron e resta il fatto che la mobilitazione sociale del 5 dicembre ha visto più di 100 mila persone scendere in piazza invadendo Parigi, mentre uno sciopero blocca i trasporti del Paese.

Il 5 dicembre il ritrovo è alle ore 14 davanti a Gare de l’Est e i sindacati sono già sul posto dalle 11, il corteo si allunga e prosegue su Rue de Magenta fino a Place de la République dove viene interrotto e si verificano i primi scontri. Arrivano lacrimogeni fino allo spezzone studentesco ancora su Rue de Magenta. Il corteo continua su Boulevard Voltaire e va a finire in Place de la Nation che tra le 18 e le 20 è teatro di lunghi e violenti scontri con la polizia, in particolare con i BRAVM (Brigade de Répression des Action Violentes Motorisée). I mezzi sono bloccati e le strade sono piene.

Il popolo francese si riconferma combattivo e determinato in questa lotta alle politiche liberiste; le manifestazioni continuano dal 2018 ad oggi e la partecipazione è sempre numerosa, e questa volta non c’erano solo i Gilet Jaunes. Lo sciopero continua tuttora per la maggior parte dei servizi e anche le mobilitazioni non accennano a placarsi: quasi una manifestazione ogni due giorni a Parigi. Forse la capitale sta vivendo il mese più caldo degli ultimi anni. Le banlieue non sono da meno: mercoledì mattina alle cinque una trentina di studenti di area autonoma ha serrato le cinque entrate della sede amministrativa dell'università di Èvry Val d'Essonne bloccando gli uffici e il normale svolgimento delle lezioni. L'occupazione è andata avanti per buona parte della giornata fino a quando gli studenti si sono uniti al corteo della CGT di Èvry composto soprattutto da cheminots (ferrovieri - ancora in sciopero), insegnanti e professori.

Le mobilitazioni sono infatti lanciate dai sindacati, che minacciano di restare in stato di agitazione fino a Natale “a costo di bloccare il Paese” [2]. A loro si uniscono quindi studenti e lavoratori ma anche collettivi e Gilet Jaunes. Questi ultimi in particolare sono numerosi e si sono sentiti protagonisti della mobilitazione del 5 dicembre: “molti sindacati si stanno ‘giletjaunisent’ (gilettizzando) perché si sono accorti che le loro élite stanno vacillando” [3] ha detto Jerome Rodrigues, figura in vista del movimento.

Come in molti sanno, la miccia del 5 dicembre è stata la riforma delle pensioni, dal contenuto per il momento molto vago ma già enormemente criticato, sul quale Macron dichiara “di voler arrivare fino in fondo”. Il tema delle pensioni è già molto delicato in Francia, dal 1993 vi sono continui tagli alle pensioni e aumenti di trimestri necessari per ottenere “Les Retraits”. L’età pensionabile doveva slittare dai 62 ai 64 anni ma mercoledì 11 il premier Eduard Philippe ha fatto un passo indietro e ha lasciato le misure precedenti, il sistema pensionistico diventa universale: un calcolo sommerà i punti raccolti durante il versamento dei contributi ma c’è scetticismo per quanto riguarda i cosiddetti “lavori pesanti” [4] e la loro pensione anticipata; inoltre il calcolo non sarà più fatto sui 25 migliori anni di carriera ma su tutto il periodo lavorativo. La Francia continuerebbe a essere uno dei Paesi europei più all’avanguardia in ambito pensionistico ma la riforma andrebbe ad aumentare il dislivello tra i lavoratori pubblici e privati.Questo tema va dunque a toccare quelle categorie che vediamo proprio in piazza il 5 dicembre: dipendenti pubblici, liberi professionisti e i funzionari vittime della diminuzione dei salari, di condizioni di lavoro diventate insostenibili e della mancanza di adeguati servizi sociali [5].

Le donne sono le prime ad andare contro la riforma delle pensioni: nel piano di Macron ci sarà una drastica riduzione delle pensioni di reversibilità delle quali il 90% dei beneficiari sono proprio le lavoratrici, senza contare l’eliminazione del MDA (Majoration de la Durée d’Assurance).

In piazza soprattutto i giovani per una giustizia ambientale: “Fin du monde, fin du mois, mêmes coupables, mêmes combat!” (fine del mondo, fine del mese, stessi colpevoli, stessa lotta!). Sembra sempre più chiaro che la lotta ambientalista non si possa distaccare da una lotta anticapitalista ed è necessario mettere dei limiti al libero mercato per evitare il collasso ambientale. Si aggiunge la grande mobilitazione degli cheminots contro la parziale privatizzazione dei trasporti pubblici. Inoltre, non sono state dimenticate le Loi De Travail: nel 2017 e nel 2018 Macron, come aveva promesso durante la campagna presidenziale, ha varato una riforma del codice del lavoro. “Aumentare la competitività tra le imprese e migliorare le condizioni di vita dei lavoratori” [6] dovevano essere le priorità delle riforme ma molti dei manifestanti vedono nelle ordinanze in questioni un aumento della precarietà nei nuovi contratti di lavoro.

C’è poi tanta solidarietà alle insurrezioni che il mondo occidentale sta vedendo in televisione, sventolano bandiere delle YPG ma anche sostegno al Libano, l’Algeria e il Cile.

Forse non tutti pensano che alcune riforme come l’abolizione dell’Imposta di Solidarietà sulla Fortune e la legge Asilo-Immigrazione siano poi così necessarie. Ad aprile, il parlamento francese ha dato il primo voto a favore per una riforma che renderà sempre più strette le normative di asilo; così come in Italia, si cerca di punire chi tenta di aiutare i richiedenti asilo rendendo effettivamente la solidarietà un reato. “Il testo finale della legge è molto lontano dal diritto internazionale” [7] dichiara Cécile Coudriou, presidente di Amnesty International Francia. In piazza anche i pompieri e il personale degli ospedali che accusano una tendenza a diminuire i finanziamenti statali per la sanità pubblica.

Si fanno sentire anche gli universitari contro la precarizzazione della vita da studenti. Dopotutto la diminuzione dell’APL (Aide Personalisée au Logement) tocca anche tutti quei giovani, fra i 6,5 milioni di beneficiari, che potevano contare su un aiuto statale per pagare l’affitto e vedono ridursi sempre di più la concreta possibilità di questo sostegno. Non ha avuto molto eco quindi il drammatico gesto di uno studente di Lione che lo scorso 8 novembre si è dato fuoco davanti alla mensa del CROUS (Centre Régional des Oeuvres Universitaires et Scolaires) dichiarando di non riuscire più a vivere con 388 euro al mese, ancora non sono chiare le condizioni psichiche del ventiduenne ma il messaggio politico è forte e chiaro: diminuiscono le borse di studio, cala il numero di stanze disponibili nelle residenze universitarie e si abbassano i servizi.

Continuano le denunce alla polizia, soprattutto da parte di giornalisti gravemente feriti: le granate esplosive di gas lacrimogeni GLI-F4 contengono 25 grammi di TNT e hanno causato diversi infortuni e cinque persone hanno perso la mano nell’ultimo anno.

Alla forte repressione dello Stato (“Justice pas plus, police par tout!”- non più giustizia, polizia ovunque) il popolo francese risponde con piazze gremite di lavoratori e di studenti che richiedono un distacco dalle molteplici riforme che alimentano le disuguaglianze sociali sempre più marcate. Forse è anche una delle prime volte che l’estrema destra è quasi assente in piazza, o perlomeno ininfluente. È dimostrato anche dal fatto che il grido di battaglia non è più quell'ambiguo "Macron démission" che si sentiva tanto da destra quanto da sinistra, ora si canta contro Macron ma soprattutto "per l'onore dei lavoratori". Non sappiamo come andrà finire, se veramente le dimissioni saranno ottenute né per quanto lo sciopero andrà avanti, si può affermare però che la mobilitazione è al suo debutto e non poteva iniziare meglio.

Quello che abbiamo visto in piazza giovedì servirà senza dubbio da monito ai tanti politicanti francesi ma anche da esempio per le lotte di tutta Europa, c’è una terza via oltre al liberismo e al nazionalismo xenofobo e non è costruita solo sulla protesta ma anche su proposte concrete per un piano di riforme più attento alle disuguaglianze sociali.

Da una parte, la piazza francese va contro il nazionalismo xenofobo e neofascista di Le Pen che, pur sostenendo lo sciopero in funzione anti-Macron, per i manifestanti rappresenta un antieuropeismo che non è antiliberismo ma è solo fondato sul più barbarico e tribale concetto di Nazione, distante anni luce da qualsiasi concezione di patriottismo.

D’altra parte, c’è un nemico più forte, la ‘sinistra’ di Macron, liberista e europeista, che a due anni e mezzo dalla sua elezione si ritrova a dover affrontare una coalizione sociale vastissima che chiede delle riforme “popolari e necessarie”.


Note:

[1] Qui l’articolo integrale di Le Monde.
[2] Qui l’articolo integrale di Radio onda d’urto.
[3] Qui l’articolo integrale di Cnews.
[4] Qui l’articolo integrale di Euronews.
[5] Qui l’articolo integrale di Alternatives Economiques.
[6] Qui l’articolo integrale di Plateforme d’enquêtes mitantes.
[7] Qui l’articolo integrale di Amnesty.

15/12/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.initiative-communiste.fr/articles/prcf/apres-le-discours-du-1er-ministre-union-action-jusquau-retrait-total-declaration-du-prcf/

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L'Autore

Giorgio Nieloud

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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