L'Africa che non ti immagini, perché non sai...

L'Africa che tanto si sogna nasconde in cuor suo gli orrori di una terra che si dispera per la miseria, per le guerre, per l'imperialismo e per il mercato mondiale.


L'Africa che non ti immagini, perché non sai...

Quando si pensa all'Africa, sistematicamente e quasi inevitabilmente, si pensa al misterioso fascino che da essa promana. L'Africa che tanto si sogna, però, nasconde in cuor suo gli orrori di una terra che si dispera per la miseria, per le guerre, per l'imperialismo e per il mercato mondiale. E proprio in queste ultime settimane, in Burkina Faso, questo cuore di tenebra è riemerso risvegliando, al contempo, la lotta di liberazione.

di Federica Orlandi

L'Africa non è propriamente come vorremmo che fosse, non è quella dei turisti e neppure quella che ci presentano alcuni libri o film, i quali idealizzano (appunto per il suo fascino) un continente in cui, troppo spesso, si sopravvive a stento. Esattamente un anno dopo la liberazione dal regime dittatoriale di Blaise Compaoré, il Burkina Faso ha dovuto necessariamente confrontarsi con la dura realtà di un secondo regime dittatoriale: quello di Gilbert Diendéré. Il popolo burkinabé, dunque, rimboccandosi le maniche, ha dovuto nuovamente sostenere la dura lotta di chi si batte affinché la sovranità popolare divenga un diritto. Per la seconda volta consecutiva, tali manifestazioni dei civili, a piedi nudi, hanno avuto l'effetto sperato e, dunque, Diendéré, in un primo momento rifugiatosi presso l'ambasciata vaticana, è stato consegnato al governo burkinabé.

Il Burkina Faso, così rinominato da Thomas Sankara, almeno per il momento, gioisce. E gioisce perché da solo è riuscito a gestire e risolvere uno dei mali che affliggeva il paese. Ed era proprio Thomas Sankara, soprannominato il Che Guevara degli Africani, a insegnare ai Burkinabé (e non solo) quanto fosse importante divenire autonomi, poiché gli occidentali – che pretendono essere gli angeli custodi dell'Africa – sono parte del problema più che della sua soluzione: rappresentano, infatti, la malattia e al contempo la "cura" per chi, per disperazione, finisce con l’accettare gli aiuti del proprio carnefice.

Thomas Sankara, grazie alla tenacia e ad un notevole senso di responsabilità nei confronti della sua gente, ha permesso durante gli anni del suo governo (1983-1987), un progressivo miglioramento del paese. Proprio in quegli anni la donna ha iniziato la propria ascesa nella società, lasciandosi alle spalle la sua riduzione a mero strumento della riproduzione della specie. E sempre in quegli anni, i vaccini sono divenuti gratuiti e, grazie a questi ultimi, Sankara ha permesso la sopravvivenza di tanti bambini che, ancora oggi, muoiono a causa del tifo, della malaria, della meningite o di malattie di cui in Europa non si conosce neppure più l'esistenza, malattie che in un paese evoluto non rappresenterebbero mai una minaccia di morte.

E a proposito di minacce, Sankara ne rappresentava una non indifferente. Una personalità tanto forte e rivoluzionaria non poteva essere tollerata a lungo e, così, ha finito con l’essere assassinata. C'è da dire, però, che le idee di Sankara non sono state uccise insieme al suo corpo, come non è stata uccisa la speranza che vive ancora nella mente e nel cuore della maggior parte dei burkinabé, non disposti a sottomettersi, non disponibili a rinunciare al proprio sogno di emancipazione, giustizia e democrazia.

Molti giovani, ancora oggi, sentono di poter divenire degni successori di Sankara. Molti giovani, ancora oggi, sognano l'Africa che sognava Sankara: un'Africa liberata dal debito pubblico, da uno sconcertante analfabetismo (funzionale a chi deve gestire il mondo e spartirsene le risorse) e da tutti quei problemi ormai radicati in un continente che, se lasciato in pace, avrebbe le carte in regola per risollevarsi con una dignità che merita rispetto.

La dignità con cui affrontano la vita gli Africani e, nello specifico, i Burkinabé, dovrebbe essere un esempio per tutti. Il senso di responsabilità che li contraddistingue, talvolta, sfiora i limiti dell'inimmaginabile. Ed è proprio di responsabilità che parlano i movimenti progressisti e rivoluzionari. In questi giorni, il movimento Le Balai Citoyen (sorto e sviluppatosi in Burkina Faso) è giunto in Italia a testimoniare quanto è accaduto nell'Ottobre 2014 e nelle ultime settimane, ad annunciare la sua perseveranza nella lotta per un futuro migliore e l’interiore spirito rivoluzionario di cui i musicisti e gli artisti che ne fanno parte sono dotati.

Non è difficile intuire il coraggio di questi artisti che si schierano dalla parte dei "deboli" e degli "scomodi". Nonostante le esitazioni, le normali e comprensibili paure, c'è chi non si arrende, chi sostiene che non sia il momento di gettare la spugna, chi sostiene che non ci sarà mai un tempo per sottomettersi e chi crede fermamente che questo sia solo l'inizio. Il popolo burkinabé ha saputo lottare per i propri diritti evitando, per quanto potesse, lo spargimento di sangue. Pur comprendendo i propri limiti, si è mosso forse nel modo più razionale, adottando una tecnica che gli Africani chiamano "la strategia delle formiche legionarie": tutti fuori, nelle strade, dappertutto, nello stesso momento.

L'unione, ancora una volta, ha fatto la differenza. Il Burkina Faso ha dato all'Occidente una lezione di coraggio, di fratellanza, di solidarietà e di tutti quei valori che sono generalmente occultati da un anestetizzante orientalismo. I mass media nella maggior parte dei casi, come troppo spesso accade, si sono mostrati indifferenti di fronte all'incubo e al sogno africano. Del resto, come sottolineava Gramsci, "l'indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera". La speranza e la voglia di riscatto che animano gli Africani, d’altra parte, continueranno a essere strumento di riscatto se supportati da quella vera e propria bussola, che indica la strada dell’emancipazione, rappresentata dalla concezione materialistica della storia.

Il golpe sconfitto è un risultato che non si può trascurare e non lo si può fare per coloro che sono morti sognando la libertà, per coloro che hanno rischiato di morire, per coloro che rischieranno e, probabilmente, si sacrificheranno ancora per lo stesso motivo. La pagina di storia scritta dal popolo del Burkina Faso accende un barlume di speranza nell’Africa e più in generale nel mondo.

10/10/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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Federica Orlandi

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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