I migliori film del 2015 (prima parte)

Rassegna sintetica dei migliori film del 2015


I migliori film del 2015 (prima parte)

Passeremo in rassegna sinteticamente i migliori film del 2015, annata che conferma come, anche dal punto di vista culturale, stiamo vivendo tempi oscuri di restaurazione. Per questo abbiamo recensito non solo film usciti sugli schermi in Italia nel corso dell’anno ma anche pellicole del passato restaurate e quasi sempre presentate per la prima volta sul grande schermo nel nostro Paese.

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

44) Mustang di Deniz Gamze Ergüven, Turchia, voto: 6

Un’ottima occasione in larga parte sprecata dalla imperizia della regista alla sua prima opera. Il film ha il coraggio di affrontare e denunciare una tematica quanto mai sostanziale e scottante: l’oppressione delle donne e ancora di più delle giovani delle classi basse a opera di una società tradizionalista, religiosa e machista. Non eguale coraggio dimostra la regista nella messa in forma di tale contenuto, ricorrendo a soluzioni ingenue, semplicistiche che lasciano in larga parte non sviluppate le tematiche sostanziali da cui muove, senza dimostrarsi in grado di approfondirle.

43) Buon giorno di Yasujiro Ozu, 1959, Giappone, voto: 6

Film decisamente minore di Ozu, senza lo spirito critico e la capacità di scavare in profondità all’interno dei rapporti familiari che lo contraddistingue. La famiglia è, come di consueto, al centro della scena e solo ai margini restano le problematiche della società civile, con lo spettro della disoccupazione e della crisi. Del tutto assente il riferimento alla dimensione politica e alla stessa lotta di classe che in quest’opera non è nemmeno accennata all’interno della famiglia nel rapporto fra i sessi. Anzi, come capita spesso nei film di questo regista reazionario, sono i figli impertinenti e presuntuosi a opprimere dei genitori troppo tolleranti e disponibili. Il film tocca, ma senza approfondirle adeguatamente, le problematiche che la società dei consumi e l’introduzione della televisione portano nella dimensione etica della famiglia. La critica sociale non va oltre la critica della chiacchiera, cui sono dedite esclusivamente le donne, e della presunzione della nuova generazione accecata dai consumi e dimentica degli antichi valori etici.

42) Pitch Perfect 2 di Elizabeth Banks, USA, voto: 6

Filmetto divertente e ben confezionato. Un tipico prodotto dell’industria d’evasione statunitense che evita di scadere nel volgare, nel sessista, come troppo spesso accade alle commediole italiane. Anzi, mantiene un distacco ironico, un certo effetto di straniamento, che consente una fruizione critica, anche se ovviamente lascia poco da pensare allo spettatore. La vicenda presentata è estranea al contesto storico-sociale ed è perciò poco realista, dal momento che l’industria dell’evasione evita di affrontare le contraddizioni reali. Resta la satira dei costumi, della società americana, della sua televisione con commentatori ultra-reazionari, del sistema universitario e della mancanza di gusto che pare dominare anche fra le giovani studentesse universitarie.

41) Cowboy Bebop - Il film di Shinichirou Watanabe, Giappone, 2001, voto: 6

Film di animazione tratto da una serie televisiva, dimostra che l’industria culturale sta riducendo il cinema al presupposto posto dalla televisione. Il film è di sicuro interesse per il suo tentativo, decisamente riuscito, di sintetizzare l’hardboiled classico americano con il moderno anime nipponico. Il film riproduce anche i limiti di entrambi questi generi e perciò, per quanto innovativo, risulta un’opera di maniera. Inoltre, per quanto critica la pellicola resta un prodotto dell’industria culturale, per cui gli aspetti innovativi sono limitati alla forma. Mentre, dal punto di vista del contenuto abbiamo la consueta narrazione dell’individuo cinico il quale, seguendo il proprio utilitarismo, riesce a mantenere in vita un sistema che, altrimenti, sarebbe travolto dalle sue stesse contraddizioni. D’altra parte il film mostra una volta ancora come tali contraddizioni siano giunte al punto tale per cui vi sia bisogno di un eroismo sempre più estremo e, dunque, sempre meno realistico, e che persino il supereroe - per non soccombere - ha bisogno del supporto di un’equipe e di un deus ex machina.

40) Il gusto del sakè di Yasujiro Ozu, Giappone, 1962, voto: 6

L’ultimo film di Ozu è opera di un regista ormai stanco, senza nuove idee e che finisce con il ripercorrere, in modo piuttosto incerto, le tematiche affrontate nei film precedenti. La totalità del mondo etico è, al solito, ridotta alla sola sfera della famiglia. Il tema fondamentale del patriarcato e dello sfruttamento della donna e, in particolare, delle figlie, è completamente celato dall’ideologia conservatrice dell’autore che non fa che mostrare giovani pronte a sacrificare la propria vita individuale per porsi al servizio dei genitori e, in primo luogo, del padre. Il film resta, comunque, opera di un grande regista e i personaggi sono rappresentati, come di consueto, con garbo e delicatezza.

39) Latin Lover di Cristina Comencini, Italia, voto: 6+

Rivisitazione, in chiave postmoderna, della classica commedia all’italiana. Il film è ben confezionato e abbastanza godibile ma è povero di contenuto e non è particolarmente innovativo. Latin Lover denuncia il comportamento maschilista del grande divo che sfrutta il proprio prestigio per dominare chi lo ama. Allo stesso modo, si mostra in maniera realistica la subalternità delle donne che, in qualche modo, hanno introiettato questa logica da servo-padrone che le relega a un ruolo subalterno, in cambio del prestigio sociale. Perciò sono animate al contempo da ammirazione e risentimento verso il defunto e sono legate fra di loro da un rapporto di complicità e di concorrenza che le mantiene in un ruolo subalterno e in fondo conservatore. Così esse tendono a fare blocco, per non perdere il riconoscimento di una società filistea, contro l’amante uomo e le figlie illegittime del divo. Saranno infine proprio questi ultimi a rompere il velo di ipocrisia e di conformismo e a liberare, almeno parzialmente, mogli e figlie dal loro ruolo subalterno.

38) Babadook di Jennifer Kent, Australia, 2014, voto: 6+

Il film, pur avendo un budget molto ridotto, offre una significativa rivisitazione in chiave psicologica del genere horror. La pellicola suggestiva, avvincente e interessante nella prima parte, quella che più infrange le regole e gli stereotipi, mostrando la natura interiore degli incubi, nella seconda parte tende a ripercorrere i binari troppo rodati del genere, finendo con il frustrare le aspettative e annoiare.

37) Le streghe son tornate di Álex De la Iglesia, Spagna, 2013, voto: 6+

Il film maneggia in modo ironico e autoironico il grottesco, ossia l’elemento caratterizzante dell’attuale cinema di autore europeo, che si esprime in una Koiné Dialektos postmoderna. È proprio questo effetto di straniamento che rende accettabile e godibile il film del regista spagnolo, a differenza di troppi “autori” del cinema italiano che si prendono terribilmente sul serio e non fanno che ammirarsi la lingua. Il film ha significativi spunti dissacranti anche se appare non risolto, in quanto non è in grado, quale tipico prodotto dello scetticismo moderno, di prendere sul serio temi sostanziali quali la ribellione delle donne alla famiglia patriarcale. Fin quando ironizza su ciò che non può essere preso sul serio, come il suo stesso stile postmoderno, il film è godibile, nel momento in cui tratta con la stessa irriverente ironia un tema sostanziale, diviene reazionario, ponendo la singola soggettività romantica al di sopra di tutto.

36) Il terzo uomo di Carol Reed, UK, 1949, voto: 6+ , cfr.Tradizione realista vs mosche cocchiere del formalismo

35) Lettere di uno sconosciuto di Zhang Yimou, RPC, 2014, voto: 6,5 ,cfr.Molto pathos per nulla: Lettere di uno sconosciuto un buon film su un pessimo soggetto

34) Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki, Giappone, 1988, voto: 6,5

Deliziosa commedia, opera giovanile del maestro dell’animazione Miyazaki. Il film, pieno di buoni sentimenti, ci presenta una famiglia ideale che torna a vivere a contatto con la natura, stabilendo con essa, con le sue forze, con il suo spirito, un rapporto organico di reciproco rispetto, fondato sulla conoscenza e il riconoscimento. L’esatto opposto del rapporto di depredazione e saccheggio imposto dal capitalismo. I limiti principali del film consistono nell’individuare solo i lati positivi dell’eticità della famiglia che viene, inoltre, estraniata dalla dimensione della società civile e dello Stato. L’altro limite è che, come un po’ in tutto l’ecologismo, la giusta critica alla mentalità dello sfruttamento della natura a opera del capitalismo, tende a indicare soluzioni regressive come il ritorno all’universo primitivo mitologico-religioso, con la solita idealizzazione reazionaria delle società pre-capitaliste. Infine la commedia è priva del decisivo elemento della satira sociale, per cui finisce con l’annoiare.

33) Foxcatcher di Bennett Miller, Usa, 2014, voto: 6,5

La storia vera narrata dal film può essere considerata un’ottima metafora del modo di produzione capitalistico, che nella sua fase suprema perde la propria funzione progressiva, ovvero il grande sviluppo delle forze produttive e, anzi, diviene unicamente un ostacolo al loro ulteriore sviluppo. I limiti del film sono dovuti alla sua troppo naturalistica fedeltà a una storia realmente accaduta, dimenticando quanto osservava già Aristotele, ossia che l’arte è superiore alla storia proprio perché non si limita a narrare gli eventi ma ne coglie l’essenza. Tutto preso da una ricostruzione quasi filologica dei fatti, il regista finisce per non evidenziarne adeguatamente la logica interna. Detto questo, il film è realistico, ben fatto, curato nei particolari e presenta personaggi tipici.

32) Tarda Primavera di Yasujiro Ozu, 1949, Giappone, voto: 6,5.

Film sapientemente architettato, ma poco emozionante. Non sfiora nemmeno la problematica sostanziale che sottende, ossia il patriarcato che opprime la donna, la quale teme di passare da un dominio paterno, impostato sull’egemonia, al dominio di uno sconosciuto, dal quale la donna, non lavorando, dipende completamente. La protagonista si pone il problema di lavorare solo per non accettare il partner di un matrimonio combinato ma non manifesta altre ambizioni che restare al servizio del padre. Il rapporto etico fra padre e figlia è toccante e significativo ma poco drammatico e il film non tocca quasi per niente il rapporto della famiglia con la società civile e lo Stato. Da qui la rappresentazione buonista e non tipica dei rapporti familiari. Inoltre il film è piuttosto carente nell’effetto di straniamento e, perciò, non considera in una prospettiva critica i personaggi tradizionalisti e conservatori che rappresenta, in modo acritico, naturalizzandoli.

31) Citizenfour di Laura Poitras, Usa, 2014, voto: 6,5 , cfr.Citizenfour: la fine del mito delle libertà individuali nelle società a capitalismo avanzato

30) Tardo autunno di Yasujiro Ozu, Giappone 1960, voto: 6,5

Nonostante sia un film ben girato e, come di consueto, ben recitato e fotografato, Tardo autunno è appesantito e reso poco godibile dall’attitudine conservatrice del regista. L’angolo visuale è quello sostanzialmente astorico e apolitico dell’eticità familiare, resa poco realistica in quanto la si considera al di fuori dei suoi rapporti con il mondo socio-politico. Inoltre, la visione idealistica tende a stravolgere la realtà della famiglia, da cui è sostanzialmente espunta la problematica del patriarcato. Anche i contrasti e le contraddizioni sono troppo smussati ed edulcorati per essere realistici e, dunque, interessanti. Infine l’elegiaco tardo autunno della protagonista è viziato da un’ottica conservatrice, per cui la donna resta prigioniera dell’uomo che ha sposato, secondo un’eticità primitiva che non viene affrontata con il necessario effetto di straniamento.

29) El impenetrable di Daniele Calcaterra, 2012, voto: 7-, cfr. Le contraddizioni dell’ambientalismo

28) La tomba delle lucciole di Isao Takahata, Giappone 1988, voto: 7-

Film ben realizzato e raffinato, genera indubbiamente godimento estetico. Inoltre è antitetico ai prodotti dell’industria culturale dell’animazione per bambini, in quanto è programmaticamente l’opposto dei film della Disney, in cui il lieto fine è garantito dall’inizio. Proprio per questo il film appare piuttosto schematico, in quanto la desolante fine è nota e in qualche modo necessaria sin dall’inizio. Mentre nel suo opposto mercificato anche i cattivi si rivelano in fin dei conti buoni, qui, al di fuori del ristrettissimo ambito dal rapporto fra fratello e sorella, tutti gli altri si dimostrano cinici. Certo, è anche la terribile esperienza della guerra a produrre ciò ma, come nei film dell’industria cinematografica infastidisce la mancanza di contraddizioni reali, qui della tragedia storica vi è solo la parte negativa. Il film infatti è irrisolto proprio perché manca un elemento essenziale della tragedia, ossia la catarsi. Per cui La tomba delle lucciole lascia con l’amaro in bocca e non offre troppo da pensare allo spettatore, al di là della mesta riflessione sui tragici effetti della guerra, sul lato oscuro dello sviluppo tecnologico – quasi un contro canto rispetto all’esaltazione dell’aviazione di Myazaki – e sulla natura terroristica della guerra imperialista condotta con i bombardamenti a tappetto sulla inerme popolazione civile.

27) Hungry Hearts di Saverio Costanzo, 2014, voto: 7-

Film non bello, né godevole, ma certamente utile e interessante in quanto mette in mostra come una società in profonda crisi come la nostra metta a rischio non solo Stato e società civile, ma la stessa famiglia, a partire dalla cura della prole, vera e propria base della vita etica. Il fondamentalismo naturalista della madre, interpretata da una insopportabile Alba Rohrwacher, nella sua folle unilateralità è privo di tragicità, tanto da risultare sgradevole. La stessa catarsi del film è debole, come il colpo di scena finale, e piuttosto ambigua.

30/12/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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