Processo alla Resistenza

Il libro di Michela Ponzani ci presenta i partigiani dopo la Liberazione, non in veste di combattenti ma in quella di imputati di un vero e proprio “processo alla Resistenza”, e utilizzando fonti storiche e giudiziarie ricostruisce il contesto in cui questo processo è stato possibile, restituendo dignità a chi si è sacrificato per la nostra libertà (peraltro da difendere sempre attivamente non dandola per scontata).


Processo alla Resistenza

Una splendida tradizione, tutta italiana, vuole che allo scoccare dell’anniversario della liberazione, ogni 25 aprile, una folta schiera di giornali, televisioni, trasmissioni (televisive o radiofoniche) e varie penne di commentatori (benpensanti moderati) si rianimino con uno scopo ben preciso: la banalizzazione retrospettiva dei meriti e delle bassezze, delle ragioni e dei torti, dei valori e dei disvalori” da p.179 op.cit. nel testo.

La Resistenza è stata documentata dagli storici anche per quei territori dove gli scontri tra partigiani e nazifascisti furono maggiormente drammatici. La ricerca storica non si è mai fermata, ma su che cosa accadde ai partigiani dopo il 25 aprile del 1945 invece no. Fino ad oggi abbiamo avuto soltanto delle discontinue attenzioni da parte degli storici su questo tema che ha avuto sempre delle ombre perché sono state pubblicate pochissime opere. Oggi però abbiamo un’opera che presenta soprattutto le fonti d’archivio che dopo Settant’anni dagli eventi sono accessibili:

Processo alla Resistenza. L’eredità della guerra partigiana nella Repubblica (1945-2022)

L’autrice è Michela Ponzani, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Tor Vergata di Roma, l’opera è stata pubblicata dall’editore Einaudi, 2023; con 232 pagine copre un vuoto che non aveva eguali su tutte le altre tematiche della Resistenza e presenta i partigiani, non mentre combattono contro i nazifascisti, ma come imputati nei tribunali della Repubblica italiana. Con 8 capitoli, introduzione, conclusioni, e con un apparato di note, indice dei nomi citati nel testo e con un elenco delle abbreviazioni bibliografiche e d’archivio presenta un quadro dinamico delle coordinate di ricerca che l’autrice ha percorso analizzando le pieghe degli eventi che sono oltre che importanti in sé, decisivi per comprendere che cosa accadde ai partigiani subito dopo la Seconda guerra mondiale.

Il libro è anche una guida per conoscere agevolmente i significati delle vicende giudiziarie e la cronologia delle stesse che inizia nel 1945 e arriva fino al 2022, ma si leggono anche vari tratti ben delineati che riguardano il neofascismo che ha caratterizzato la Repubblica fin dalla sua nascita a partire dai movimenti di Guglielmo Giannini, “L’Uomo qualunque”, e di Renato Angiolillo, “Il Tempo”. Rispetto ai media è interessante notare come l’autrice dimostri che i partigiani siano sempre stati considerati in maniera dispregiativa proprio dai mezzi di informazione. Nelle conclusioni, a p. 180, viene citato e analizzato l’articolo pubblicato dal giornale “Il Messaggero” del 24 aprile del 2019 dal titolo: “Lo strano caso dell’Anpi, la «partigianeria» senza più partigiani”, dove l’Anpi risulta una specie di compagnia di finti reduci e dove si ignora completamente la questione anagrafica.

Al di là del neofascismo strisciante che oggi come negli anni dopo la fine della guerra è sempre attivo, abbiamo avuto anche una serie di attacchi allo Stato soprattutto contro la Costituzione invocando riforme radicali. Oggi però, esiste un antifascismo molto vigoroso nonché cosciente e animato dai giovani che sono protagonisti di nuovi processi di aggregazione come quelli delle lotte contro le mafie. L’antifascismo offre sempre una sponda per la democrazia.

Come comunista, non posso non mettere in evidenza come una serie di vicende giudiziarie siano state drammatiche e accese dall’anticomunismo che è stato continuamente alimentato dalla Democrazia Cristiana, ma quest’aspetto non è stato messo in evidenza nel libro. L’autrice invece descrive bene come molti partigiani siano stati condannati per aver ucciso dei fascisti a guerra conclusa. Forse si è ritenuto che non era necessario ucciderli? oppure che meritavano un processo con la possibilità di essere scagionati? 

Leggendo, mi sono venute nella mente racconti vari di partigiani che naturalmente non ci sono. Ecco, bisogna fare attenzione a giudicare queste sentenze, soprattutto quelle che sarebbero state in funzione di vendette personali. È necessario tenere conto che i partigiani che sono stati torturati in modo terribile non sono stati pochi, ma è chiaro che le motivazioni delle sentenze vanno analizzate caso per caso in funzione del fatto che nel ventennio e nel periodo della Repubblica di Salò il Diritto non era in vigore perché assente.

Oggi c’è la tendenza a dimenticare che il fascismo non è stato un quadro di opinioni con una cornice dialettica libera e democratica, ma un crimine contro l’umanità. Torture e fucilazioni operate dai fascisti sulla popolazione e sui partigiani hanno alimentato un imperativo collettivo di vendetta e quest’opera permette di coglierne i lineamenti e gli eccessi compreso quello del clima di odio verso i fascisti che negli anni del ventennio si era accumulato. C’è da considerare che in Italia non c’è stata nessuna Norimberga e fatto non secondario, ci sono state varie amnistie sulle quali l’autrice dedica un intero capitolo.

Le responsabilità che hanno caratterizzato le uccisioni dei fascisti a guerra conclusa sono state analizzate anche in relazione alla gestione della giustizia da parte degli Alleati che hanno governato l’Italia nei primi anni, a guerra conclusa. Il metodo d’analisi utilizzato dall’autrice si è basato sull’analisi delle fonti depositate nei vari archivi che riguardano i documenti delle istruttorie e delle sentenze ma anche esposizioni varie presentate in alcuni saggi.

Naturalmente, al di là delle vicende giudiziarie che sono state delineate c’è da tener presente che lo stato d’animo dei partigiani in quella fase era drammatico visto che dopo il 25 aprile del ’43 non avevano più una famiglia (perché distrutta dai nazifascisti) o vivevano accampati alla meglio perché non avevano più una casa ed erano senza un lavoro e non si trovavano certo in una situazione di ordinario equilibrio sociale.

Quindi avevano accumulato un odio verso i fascisti sia per quelli che erano stati e sia per quelli che ancora si dichiaravano tali e spesso se ne vantavano, e questo è stato un tratto caratteristico della nostra Repubblica fin dalla sua nascita. Peraltro la ricostruzione post-bellica se materialmente iniziò subito, quella dell’aggregazione sociale non decollò con tappeti di rose e quindi per molti partigiani, dopo le elezioni del 18 e 19 aprile del 1948, iniziò un periodo molto duro visto che gli ex fascisti furono definitivamente riabilitati a tutti i livelli e non soltanto nella pubblica amministrazione come se il ventennio non ci fosse stato e furono preferiti e scelti per primi a livello di occupazione lavorativa. Il processo alla Resistenza c’è stato e ora fa parte della nostra storia, ma spero verrà approfondita.

Se a Parigi, il 10 febbraio del 1947, il trattato di pace fra le potenze alleate vincitrici della Seconda guerra mondiale fu firmato anche dall’Italia, fu possibile perché un ruolo importante in Italia lo aveva avuto la Resistenza dei partigiani contro i fascisti e i nazisti che dopo l’8 settembre del ’43 avevano occupato l’Italia dopo la caduta del fascismo a seguito dell’Ordine del Giorno Grandi, votato e approvato il 25 luglio dal Gran Consiglio del Fascismo contro Benito Mussolini che subito dopo era stato deposto dal re Vittorio Emanuele III e arrestato ma poi liberato dai nazisti.

La Resistenza che si svolse tra il 1943 e il 1945 è stata molto dura e provocò stragi da parte dei nazifascisti che ancora oggi dopo 78 anni rimandano a un ricordo così vivo che invoca con forza e rispetto e non dichiarazioni snobbanti sulle vicende che provocarono la morte di civili e dei partigiani. Attenzione, però, la storia a distanza di 78 anni va letta, ma è inevitabile, ed è anche giusto, che faccia formare opinioni. Quindi, non basta leggere soltanto, ma la lettura deve coniugarsi per quanto possibile con una ricerca personale, diversamente c’è il rischio di non avere opinioni proprie ma quelle che si agitano nell’ambiente mediatico contro la nostra Repubblica. La democrazia deve essere continuamente difesa non è mai data una volta per tutte.

09/06/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Felice di Maro

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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