Riforma e crisi politica in Brasile

Recensiamo in quest’articolo un importante testo di Armando Boito, tradotto in italiano per le edizioni Punto Rosso, nel quale il professore universitario brasiliano analizza la natura di classe dei governi del Pt, le cause che hanno portato al golpe contro la presidente eletta Dilma e le ripercussioni politiche di questa fase storica.


Riforma e crisi politica in Brasile

Il libro di Boito, composto da 11 saggi, divisi in due parti, si apre con un’importante digressione nella quale l’autore descrive il carattere della borghesia brasiliana. Recuperando la tradizione marxista brasiliana e unendola con la concezione di blocco al potere di Poulantzas, Boito ritiene che la borghesia brasiliana sia sostanzialmente divisa in due parti: la borghesia compradora, vincolata direttamente all’imperialismo, e una borghesia interna, i cui interessi sarebbero almeno in parte vincolati al Brasile, permettendogli di fare alleanze con forze apparentemente distanti ideologicamente, come il Pt di Lula, a patto di non alterare gli elementi strutturali del capitalismo brasiliano.

I primi sei saggi sono per l’appunto dedicati ad analizzare le modalità con cui si è potuta realizzare quest’alleanza politica, che con alti e bassi è durata almeno dodici anni, dal 2002 al 2014.

Gli elementi che l’hanno resa possibile devono essere inseriti nel contesto del pieno dispiegamento della fase neoliberista in Brasile, a partire negli anni ’90 con i governi Collor prima e poi con il doppio mandato Cardoso, nei quali gli interessi del capitale finanziario erano garantiti attraverso politiche di privatizzazioni selvagge, apertura commerciale in tutti i settori, compreso quello bancario, molto appettibile per il capitale straniero. Tali politiche avevano sfavorito, come era ovvio, la classe lavoratrice, ma anche quella parte di borghesia legata all’industria, che non riusciva a reggere la concorrenza delle merci estere, non trovando così mercati di sbocco per la sua produzione.

Dal punto di vista politico gli anni ’90 furono anni di grandi sconfitte per il movimento dei lavoratori, colpito in pieno dalla svolta neoliberale impressa all’economia, ma furono anni anche in cui Lula comprese che se avesse voluto vincere le elezioni sarebbe dovuto scendere a compromessi con il capitale finanziario e almeno parte della borghesia interna. Non a caso prima delle elezioni del 2002 che lo videro vincitore Lula scrisse una Lettera ai brasiliani (che sarebbe più corretto chiamare “lettera agli imprenditori”), in cui si impegnava a mantenere l’ambito macroeconomico liberista, in cambio di sviluppo economico e aumento dell’occupazione. Tale scenario fu favorito, come sottolineato correttamente dall’autore, dall’aumento dei prezzi dei prodotti esportati dal Brasile, determinando tassi di crescita sostenuti, in un contesto di valorizzazione, seppur ridotta, del salario minimo, e di creazione di nuovi posti di lavoro nel settore dei servizi, anche se spesso precari. 

Ma le politiche sociali del governo non potevano non scatenare le ire della borghesia compradora, che in particolare denunciò nel 2005 uno scandalo passato alla storia come “Mensalao” (pagamento di tangenti in cambio di voti favorevoli a riforme del governo); ma nel momento più difficile fu proprio quella che Boito definisce borghesia interna a manifestarsi a favore del governo, affermando che quello non era il momento adatto per le polemiche ma che bisognava pensare a far crescere l’economia. Il Pt nel frattempo aveva perso una parte dei suoi consensi nella sua base storica, la classe operaia industriale, colpita dalla riforma delle pensioni e dalla deindustralizzazione del paese, e dopo il risultato risicato delle elezioni del 2006 decise di svolgere il suo sguardo politico all’enorme massa di poverissimi del paese, beneficiari dei programmi sociali del governo, con i quali Lula riuscì a costruire una relazione paternalistico-bonapartista, basata sullo scambio tra consenso elettorale e programmi di riduzione della povertà assoluta.

Dal punto di vista della politica estera i governi petisti si caratterizzarono per Boito per cercare il compromesso tra la consueta subalternità all’imperialismo statunintense, mai attaccato frontalmente, e la ricerca di alleanze internazionali alternative, attraverso una maggiore integrazione latinoamericana (Mercosur) e soprattutto l’ambizioso progetto Brics, progetto che ha visto indubbiamente l’appoggio della borghesia interna, vogliosa di trovare occasioni di profitto in mercati esteri, aiutata anche dai prestiti a tassi agevolati fatti dalla banca di investimenti pubblici brasiliana (la sigla è Bndes).

Ovviamente, nonostante l’egemonia del processo politico-economico fosse nelle mani della borghesia interna, non mancarono iniziative del movimento dei lavoratori, che dopo un decennio estremamente difficile come quello degli anni ’90 del XX secolo, cominciò progressivamente a riorganizzarsi, aumentando il numero di scioperi per rivendicare migliori condizioni salariali e di lavoro. Sebbene il contesto generale di crescita economica e diminuzione della disoccupazione favorisse oggettivamente il movimento di lotta, il fatto che le maggiori centrali sindacali appoggiassero in forma abbastanza esplicita il governo non permise di ottenere conquiste strutturali, ma solo politiche di valorizzazione del salario, in un contesto di moderazione operato proprio in virtù dell’alleanza tra borghesia interna e Pt.

La seconda parte del libro raccoglie invece saggi che si interrogano sugli elementi che hanno condotto alla crisi dei governi di Dilma Roussef e poi al suo impeachment nel 2016. In particolar modo Boito sottolinea lo sfaldarsi dell’alleanza tra borghesia interna e Pt tra il 2011 e il 2012, nel momento in cui il governo Dilma per fronteggiare la crisi economica adottava misure di riduzione dei tassi d’interesse e dello spread che sfavorivano la frazione del capitale interno legata all’ambito bancario. Nel frattempo la frazione compradora della borghesia, appoggiandosi all’aristocrazia operaia e al controllo dei mass media dava vita a una campagna mediatica di grande impatto contro il governo. Le manifestazioni del 2013 contro l’aumento dei costi del trasporto pubblico, inizialmente organizzate dai lavoratori precari, furono ben presto egemonizzate dalla destra in chiave anti-Pt, da un lato per la disgregazione delle organizzazioni della sinistra radicale, dall’altra dall’incapacità del governo di dialogare con quei settori del precariato, tacciando i manifestanti come “sovversivi”. Si giunse così alle elezioni del 2014 in un contesto estremamente polarizzato e nonostante la vittoria di Dilma, seppur di misura, la destra neoliberale cominciò subito una campagna volta a delegittimare il risultato delle elezioni. Un ruolo molto importante ha assunto in questo contesto l’operazione Lava-Jato, operazione formalmente contro la corruzione, ma in realtà rivolta a dimostrare legami di corruzione tra il Pt, le grandi aziende pubbliche e la frazione interna della classe borghese, potendo contare su informazioni privilegiate provenienti dagli Stati Uniti, che permisero di costruire un castello giudiziario, con la complicità della magistratura, da sempre schierata contro il Pt. Infine il colpo di grazia lo ha dato l’atteggiamento di Dilma, che ha adottato una politica di austerità in economia, chiamando al ministero dell’Economia un neoliberista ortodosso, con l’idea, evidentemente sbagliata, di placare così la borghesia a lei avversaria, finendo invece per allontanarsi anche parte consistente dei residui consensi tra le classi popolari. Così quando cominciò il processo di impeachment contro di lei, la cui miccia sarebbe stato il suo aver approvato delle spese senza adeguate coperture in bilancio, non le rimanevano settori sociali da mobilitare a suo sostegno. In particolare Boito si interroga sulla mancata mobilitazione del sottoproletariato del Nordest del paese, la regione di gran lunga più povera, rispondendosi che per le sue condizioni di vita, per la dispersione sociale che vivono e per il mancato processo di coscientizzazione delle masse popolari, era un settore mobilitabile elettoralmente ma non politicamente. La destra quindi ebbe gioco facile, anche e soprattutto per gli errori del Pt, a concludere il processo in poco tempo e a sostituirla con il neoliberista Temer, autore di controriforme devastanti nel campo dell’economia e del lavoro. 

Dal nostro punto di vista si tratta di un testo di estremo interesse per tutti coloro che vogliano comprendere il carattere di classe dei governi del Pt, riconoscerne i limiti e comprendere i motivi che hanno portato alla sconfitta politico-elettorale del 2018. Soprattutto ci sembra importante sottolineare come l’alleanza tra il Pt e la borghesia interna non avrebbe potuto funzionare a lungo andare, perché se in fase di crescita economica e di conflitto sociale potevano esserci dei compromessi, l’esplodere della crisi economica avrebbe portato inevitabilmente la borghesia interna a riallinearsi con quella compradora contro i lavoratori, come di fatto poi avvenuto.

19/02/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Matteo Bifone

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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