Brecht, l’eticità e i rapporti di produzione

Brecht, contro ogni impostazione moralista o idealista, considera le problematiche etico-morali sempre in relazione alle questioni socio-economiche. Perciò, come Nietzsche, non crede esista una sola morale, ma un’etica degli oppressori cui necessariamente si contrappone un’etica degli oppressi


Brecht, l’eticità e i rapporti di produzione Credits: https://www.libriantichionline.com/divagazioni/bertolt_brecht_contro_seduzione

Segue da Brecht, i comunisti e l’eticità

Link al video della lezione su argomenti analoghi tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci

A parere di Bertolt Brecht è utile appellarsi a determinate virtù in situazioni molto negative. Ad esempio per lottare contro l’oppressione vi è bisogno di essere molto coraggiosi, valorosi, pronti al sacrificio, a usare la violenza (se necessario), a nascondere le proprie intenzioni etc. D’altra parte nel momento in cui quella situazione molto negativa, anche grazie a tali virtù è stata eliminata, continuare a richiamarsi a esse e volerle seguire in maniera pedissequa fa sì che esse divengano “spesso la causa di nuove situazioni fortemente negative” (68) [1].

Brecht amava molto la massima “beato il paese che non ha bisogno di eroi”, di uomini pronti all’estremo sacrificio, a utilizzare la violenza quando necessario, esperti nel nascondere la verità etc. In un paese razionale e giusto non ci dovrebbe più essere bisogno di un particolare eroismo, valore, abnegazione, dedizione alla causa, spirito di sacrificio per poter fare il proprio dovere. In quanto non solo questa società premierà chi si batte per l’emancipazione del genere umano e punirà chi si schiera contro, ma perché si affermerà una nuova eticità, nuove leggi e costumi improntati a una società in cui l’uomo tenderà spontaneamente a solidarizzare e cooperare con gli altri uomini. In questi casi ci vorrà, eroismo, abnegazione etc. per restaurare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Inoltre, determinate virtù sono essenziali per superare lo Stato di eccezione, ma se poi finiscono per perpetuarsi non possono che assumere una funzione negativa, come ci insegna buona parte del socialismo reale, in particolare di quello sovietico non a caso auto-dissoltosi. Del resto anche le virtù portate all’eccesso, divenendo dei valori in sé, finiscono per essere deleterie conducendo a una sorta di fanatismo. Come ci insegna da una parte la storia della fase più radicale della Rivoluzione francese, quella dominata dal fanatismo morale giacobino, dall’altra la filosofia morale kantiana e del primo Fichte che pongono le virtù e la morale come dei valori assoluti. Arrivando all’assurdo che, pur di non mentire, un uomo morale dovrebbe persino favorire l’assassinio di un altro.

Il pensiero di Brecht si chiarisce meglio al capoverso successivo, nel quale offre un esempio molto significativo: “gli oppressi e gli sfruttati sono per la giustizia, ma per loro non devono cessare oppressione e sfruttamento affinché trionfi la giustizia” (68). La loro prospettiva non è, dunque, moralista o idealista, ma materialista. Gli sfruttati vedono, quindi, nella giustizia non un fine in sé, ma un mezzo necessario o quantomeno utile affinché cessino oppressione e sfruttamento. In una società giusta, ovvero comunista, non vi sarebbero più classi sociali e, di conseguenza, oppressione e sfruttamento. Eliminare questi ultimi due è, dunque, lo scopo della lotta degli sfruttati e degli oppressi. Quindi, pur mirando a una società giusta per potersi emancipare, loro stessi non possono essere giusti, in quanto saranno costretti a utilizzate ogni mezzo necessario se davvero vogliono conseguire questo scopo. Non è il fine in astratto a giustificare i mezzi, ma è questo alto e grandioso fine, una società in cui non vi saranno oppressi e sfruttati, a legittimare pienamente i mezzi necessari, sebbene non giusti, per poterlo conseguire.

Naturalmente non vi è la contraddizione che pretende di cogliere il moralista o l’idealista, pronto a sentenziare fiat iustitia et pereat mundus (perisca anche l’intero mondo, purché sia fatta giustizia), nel fatto che oppressi e sfruttati utilizzino anche mezzi ingiusti, se necessari, a raggiungere una società giusta (comunista), in quanto non più funestata da questi mali. Sarebbero al contrario auto-contraddittori se affermassero di volere una tale società, ma poi non si servissero dei mezzi indispensabili a realizzarla, in quanto ingiusti dal punto di vista della morale astratta. Anzi, dal loro superiore punto di vista materialista e dialettico è l’idealista moralista a essere auto-contraddittorio, in quanto in nome della giustizia sarebbe pronto a fare la cosa più ingiusta immaginabile, ovvero far perire l’intero mondo.

Ad esempio, dal punto di vista astrattamente morale di Kant la rivoluzione è in sé riprovevole e nessun uomo che voglia agire moralmente può sostenerla, perché per realizzarla richiede atti ingiusti. Quindi, proprio Kant, definito a ragione il pensatore della rivoluzione francese – che per altro appoggia anche nei momenti più radicali – del tutto contraddittoriamente sul piano teorico si dichiara contro ogni forma di rovesciamento del potere esistente. Tanto che, dopo che l’atto rivoluzionario è stato portato a termini, sostiene gli atti del governo rivoluzionario, in realtà perché ne condivideva i valori, ma dal punto di vista teorico perché contrastarlo fattivamente e rovesciarlo avrebbe comportato una nuova ingiustizia. In tal modo, questa posizione che vuole essere puramente morale, si rivela essere la più immorale e opportunistica, perché finisce con l’essere sempre e comunque con il potere costituito, a prescindere da che potere sia, cadendo in quella banalità del male propria di chi considerava morale rispettare gli ordini dei superiori, anche in uno Stato totalitario e persino se avevano comportato il rendersi coprotagonisti di uno dei maggiori crimini contro l’umanità, come il genocidio degli ebrei.

Secondo Brecht il rapporto apparentemente così complesso dell’uomo nei confronti delle virtù e dei valori si riesce a comprendere soltanto considerando: “libertà, bontà, giustizia, gusto, e generosità problematiche relative alla produzione” (69). Dunque, in contrapposizione alle concezioni idealistiche e moralistiche del mondo, Brecht come Me-Ti, ossia in quanto intellettuale marxista e leninista, sostiene la posizione del materialismo storico per cui vi è un necessario legame fra le questioni strutturali (economiche e sociali) e le sovrastrutture, di cui sono parte anche le problematiche etico-morali.

Anzi nella prospettiva del materialismo storico le questioni sovrastrutturali non sono mai veramente comprensibili se non le si rapporta alle corrispondenti questioni strutturali. Dal momento che il fine in sé della struttura è la produzione materiale della vita umana, per risolvere i dilemmi in ambito etico-morale non si può prescindere da queste esigenze primarie. Così Brecht, in quanto Me-Ti, sostiene “io posso comprendere un comportamento etico solo in relazione a un comportamento produttivo” (69). D’altro canto le società, le classi e gli uomini tendono a considerare valori e virtù in funzione della loro produttività e utilità. Perciò, afferma in modo quasi provocatorio Brecht: “i rapporti di produzione sono le fonti di ogni eticità e immoralità”.

Evidentemente, come dimostrava già Nietzsche, non esistono valori etici e morali in sé, ma si determinano sempre in rapporto al conflitto fra i dominatori, dal punto di vista sociale, e i dominati. La morale e l’eticità dei primi sarà – necessariamente, o quantomeno tendenzialmente – opposta a quella dei subalterni. Così, ad esempio, un lavoratore pronto a svolgere qualsiasi mansione utile all’impresa, che mette al primo posto il bene dell’impresa è un lavoratore da giudicare favorevolmente dal punto di vista etico-morale di chi lo sfrutta. Al contrario dal punto di vista degli sfruttati e oppressi sarà considerato esemplare da un punto di vista etico-morale il lavoratore che non si piega, ma si batte per gli interessi della propria classe e, quindi, necessariamente in contrapposizione con quelli dell’azienda capitalista e del padrone che lo sfruttano, etc.

Perciò Brecht-Me-Ti, per offrire un caso esemplare, sostiene che un “operaio che alcuni definivano buono” (69), da un punto di vista filo-padronale, tale non poteva essere dal suo punto di vista rivoluzionario, dal quale “un operaio innocuo, non è un buon operaio”, in quanto non sarà parte attiva nel conflitto sociale. In effetti, prosegue Me-Ti, se i subalterni hanno piccole ambizioni, ovvero pensano individualisticamente a fare carriera, sono perduti. In quanto, essendo in concorrenza gli uni con gli altri faranno sempre il gioco dei padroni. Proprio per questo i subalterni debbono avere grandi ambizioni, come quella di creare una società in cui saranno i subalterni a dominare, affinché non vi sia più nessuno da opprimere. Questo insegnamento gli operai e, più in generale, i lavoratori salariati “lo apprendono dalla loro lotta”. A ulteriore dimostrazione che solo la lotta paga e favorisce la presa di coscienza degli oppressi e sfruttati.

Perciò, Brecht, in quanto Me-Ti, ci tiene a sottolineare che “Marx e Lenin non hanno fissato una dottrina etica” (69), valida sempre e comunque. Come abbiamo visto, infatti, oppressi e sfruttati per uscire dalla loro condizione di subalternità si battono per una società giusta, ossia una società in cui siano banditi sfruttamento e oppressione, ma proprio per realizzare tale obiettivo non possono essere giusti, in quanto c’è una guerra da combattere e vincere, una guerra civile (particolarmente spietata come tutte le guerre civili).

D’altra parte, aggiunge Me-Ti, “chi non prova gioia per il vivente, non può gioire nel vivere” (69). In altri termini chi non si schiera per l’emancipazione dell’uomo, non potrà nemmeno godere di una reale emancipazione. In quanto si è realmente liberi solo in una società in cui tutti lo siano, mentre chi vive sfruttando e opprimendo gli altri non è mai veramente libero e felice, in quanto dipende da chi sfrutta e deve continuamente lottare con chi è da lui oppresso. Dunque, “chi non si batte per alcuna altra vita salvo la propria, vive unicamente in modo debole” (69), ossia è innocuo e non solidarizzando con gli altri è solo e, quindi, molto vulnerabile. Del resto le persone d’animo piccolo sono costrette a vivere sfruttando gli altri, mentre gli uomini di animo grande danno molto agli altri. Conclude Brecht: “gli operai in lotta in cui mi sono imbattuto erano sempre uomini d’animo grande”, di ampie vedute e animati da grandi ambizioni. Mentre chi per vivere ha sempre bisogno di strumentalizzare, opprimere e sfruttare gli altri non può che essere e rimanere una persona meschina.

Continua nel numero 260, on-line tra quattro settimane

Note:

[1] I brani che commenteremo in questo articolo sono tratti da B. Brecht, Me-ti. Libro delle svolte [1934-37], tr. it. di C. Cases, Einaudi, Torino 1970. Tra parentesi tonde metteremo a fianco di ogni citazione il numero delle pagine del libro in questa sua traduzione italiana. Non segnaliamo i molteplici casi in cui giudichiamo necessario modificare la traduzione.

10/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
Credits: https://www.libriantichionline.com/divagazioni/bertolt_brecht_contro_seduzione

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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