Dal Sessantotto alla fine della guerra fredda

La rivolta dei giovani che non si riconoscono più nei valori borghesi dei genitori e si battono per la fine delle discriminazioni socio-economiche, razza e sesso, ispirandosi alla lotta degli oppressi in grado di piegare gli oppressori: la rivoluzione cubana, la guerriglia vietnamita e la rivoluzione culturale cinese.


Dal Sessantotto alla fine della guerra fredda

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi

1. L’omicidio di Robert Kennedy e il Sessantotto

Dopo la scelta di Lyndon Johnson di non ricandidarsi, nelle successive presidenziali per i democratici si candida Robert Kennedy, fratello di John, con un coraggioso programma di riforme sociali e di rinnovamento dei rapporti internazionali, ma è assassinato senza che anche questa volta si individuino e puniscano i mandanti in quanto troppo altolocati. 

La presidenza Nixon e il movimento del Sessantotto

Presidente diviene il conservatore Richard Nixon, costretto più tardi alle dimissioni in seguito a uno scandalo in cui emerge che utilizza la CIA per far spiare i propri avversari politici. Nel frattempo proprio dalla California si è sollevato in tutto il mondo il movimento del sessantotto che si rivolta contro le ingiustizie sociali e la violenta politica imperialista e colonialista, in nome di una società più giusta, libertaria ed egualitaria. Si tratta anche di uno scontro intergenerazionale, con i giovani che non si riconoscono più nei valori borghesi dei genitori e vorrebbero la fine delle diseguaglianze di ricchezza, razza e sesso, ispirandosi alla lotta degli oppressi in grado di piegare gli oppressori: la rivoluzione cubana, la guerriglia vietnamita e la rivoluzione culturale cinese. La rivolta colpisce l’autoritarismo della società, dalla scuola, alla famiglia ai posti di lavoro, incidendo in profondità sui costumi. Cambia anche il modo di vestire, che diviene più semplice (il cui simbolo sono i blue jeans) e non è più volto a esibire ricchezza e prestigio. Si afferma la musica rock con i Beatles, che assume con Bob Dylan e Joan Baez anche contenuti di protesta politica e sociale. Nonostante i profondi cambiamenti nei costumi prodotti dal sessantotto i grandi ideali di profonde trasformazioni sociali si realizzano solo in minima parte.

2. La Cina dopo la rivoluzione culturale

Del resto la stessa situazione internazionale stava mutando. La grande onda libertaria della Rivoluzione culturale cinese è stata lentamente riassorbita, per essere del tutto rinnegata dopo la morte di Mao nel 1977. La classe dirigente cinese ha ripreso il controllo della situazione, portando avanti una rivoluzione senza rivoluzione dall’alto, mirando allo sviluppo economico e a fare della Cina una potenza mondiale. 

I conflitti interni al campo socialista

Nel frattempo la completa rottura e il conflitto con l’URSS, convince i cinesi ad accettare le offerte di pacificazione degli ex nemici statunitensi che intendono così isolare l’Unione sovietica. Il conflitto sino-sovietico spacca l’intero mondo socialista portando a guerre fratricide che consentiranno in seguito la vittoria del capitalismo nella guerra fredda. La Cina si scontra con il Vietnam nel 1978, che aveva preferito l’alleanza con l’URSS Il Vietnam a sua volta dichiara guerra e sconfigge la Cambogia, dove si è imposta la terribile dittatura dei Khmer rossi filo cinesi. Oggi si è arrivati a un completo rovesciamento di campo, con il Vietnam e gli USA che si sono riavvicinati in funzione anticinese, dopo che i cambogiani filovietnamiti sono riusciti a sconfiggere la sanguinosa guerriglia dei khmer rossi sostenuti da Cina e USA. 

La svolta di Deng Xiao Ping

In Cina, dopo la morte di Mao, si afferma ai danni della sinistra, capeggiata dalla vedova di Mao, la destra del PCC guidata da Deng Xiao Ping, il quale apre un nuovo corso, con una NEP portata sino alle più estreme conseguenze, tutta volta allo sviluppo delle forze produttive. Da questo punto di vista i risultati sono stati straordinari, la Cina è presto divenuta la seconda potenza mondiale, capace persino di mettere in discussione lo strapotere USA. Ciò ha significato, al contempo, un notevole arretramento della trasformazione in senso socialista dei rapporti di produzione. La borghesia cinese ha rapidamente rialzato la testa e ripreso l’iniziativa mettendo nel 1989, con la rivolta di piazza Tienanmen, in serio pericolo il predominio del PCC che, tuttavia, con una dura repressione ha ripreso il pieno controllo politico, pur lasciando spazi crescenti in campo sociale ed economico alla nuova borghesia cinese.

3. Il 1973

Nel 1973 la maggiore regione petrolifera del mondo, il Medio Oriente, è sconvolta da una nuova crisi. I paesi arabi che circondavano Israele non avevano potuto accettare lo status quo, dopo che la guerra preventiva scatenatagli contro da Israele nel 1967 era costata loro la perdita di importanti territori conquistati dal proprio nemico, che del resto costringe milioni di palestinesi a vivere come profughi nei paesi arabi confinanti con la Palestina. Né, d’altra parte, Israele aveva approfittato della vittoria militare per giungere a una duratura pace politica.

La guerra dello Yom Kippur

Il momento per la rivincita araba si presenta nel 1973, in quella che è definita guerra dello Yom Kippur, dal nome della festività ebraica in cui Siria ed Egitto scatenano il loro attacco. È di nuovo una guerra breve, ma violenta. Inizialmente gli arabi hanno la meglio, poi gli Israeliani meglio armati si riprendono e grazie anche all’intervento di Stati Uniti e ONU la guerra finisce senza vincitori né vinti.

La svolta di Sadat

Ciò convince Israele di non essere invincibile e, quindi, della necessità di rompere il fronte avverso, arrivando alla pace con l’Egitto, restituendo la penisola del Sinai in cambio della sua neutralità sulla questione palestinese. I nuovi dirigenti egiziani del post Nasser, guidati da Sadat accettano e rompono con l’URSS, avvicinandosi agli USA sperando in un loro sostegno in vista degli accordi di pace. Tuttavia la causa del conflitto, ovvero l’occupazione dei territori palestinesi, i milioni di palestinesi immigrati, l’occupazione israeliana del Golan siriano e di territori libanesi impediscono di giungere a una reale pacificazione nell’area.

La crisi petrolifera

Nel frattempo i paesi arabi hanno reagito al sostegno del mondo occidentale a Israele, con un netto innalzamento del prezzo del petrolio venduto agli occidentali che, da cifre bassissime, raggiunse in pochissimo tempo cifre ragguardevoli. In tal modo i paesi arabi produttori di petrolio si rafforzano enormemente dal punto di vista economico e di conseguenza politico. Dopo la sconfitta in Vietnam e visto l’appoggio dato al mondo arabo dal blocco sovietico agli stati occidentali non resta che pagare questi prezzi più elevati e nel contempo cercare altri acquirenti e sviluppare fonti energetiche alternative, a partire dal nucleare che proprio in questi anni ha notevole impulso.

La crisi

Nel frattempo, aumentando il prezzo della benzina, entra in crisi l’industria automobilistica, fra le più importanti del mondo, facendo aumentare significativamente la disoccupazione. Aumentano anche i prezzi dei prodotti industriali, perché per produrli e trasportarli occorre energia. Ciò spinge i lavoratori a lottare per un aumento dei salari corrispondente all’aumento dei prezzi dei mezzi di sussistenza. Ciò produce una spirale inflattiva che si abbatte sugli strati più deboli della società: pensionati, disoccupati e contadini.

Il meccanismo del debito

L’effetto dell’aumento del prezzo del petrolio è ingigantito da un’enorme crisi di sovrapproduzione che dagli Stati Uniti, dove è esplosa, si stava diffondendo con effetti catastrofici in tutto il mondo non socialista, a eccezione dei paesi petroliferi. Tale ondata di crisi, che i paesi più forti hanno saputo deviare sui paesi più deboli, ha portato questi ultimi a indebitarsi in modo considerevole presso gli organismi sopranazionali come F.M.I. e Banca mondiale, che hanno consentito ai paesi a capitalismo avanzato di impiegare in modo produttivo di lauti interessi i capitali sovraprodotti. Il meccanismo del debito ha coinvolto anche i produttori di petrolio che hanno contratto ingenti prestiti, senza considerare che negli anni Ottanta il prezzo del petrolio si sarebbe decisamente abbassato anche per la scoperta di importanti giacimenti nel Mare del nord. Più in generale, il meccanismo del debito ha investito tutti i paesi ex coloniali, che hanno bisogno di capitali per mettere in moto le loro economie, e i paesi socialisti in cui i comunisti al potere sono poco popolari, come l’Ungheria e la Polonia, e infine anche i paesi a capitalismo avanzato in cui, grazie alla crisi, la classe dominante ha ripreso il sopravvento sulle classi lavoratrici e il ceto medio, che ha perduto notevolmente potere d’acquisto. Per non portare a deprimere ancora di più la domanda e per mantenere alto il consenso sociale, lavoratori e ceti medi e gli stessi Stati capitalistici si sono sempre più indebitati.

Le liberalizzazioni imposte

Inoltre il meccanismo del debito mira a far sì che il debitore non estingua, ovvero non sia in grado di estinguere mai il proprio debito, così da continuare a pagare sempre più interessi. Inoltre gli interessi sul debito fanno sì che da decenni i paesi più poveri finanziano quelli più ricchi, mentre anche nei paesi più sviluppati sono stati fatti pagare generalmente ai ceti sociali più deboli. Infine, anche solo per concedere debiti, le istituzioni internazionali, controllate dalle potenze capitaliste, hanno sempre di più imposto come condizioni per la concessione dei debiti liberalizzazioni, ovvero svendita ai privati, spesso dei paesi stranieri più potenti, delle ricchezze nazionali, abbattimento delle spese sociali e dei diritti dei lavoratori.

4. Gli anni Ottanta

Tutto ciò ha prodotto negli anni Ottanta una svolta radicale, che già si preparava nella seconda metà degli anni Settanta, che ha portato i ceti sociali privilegiati a riprendere il controllo che, in parte significativa, gli era stato progressivamente sottratto dai ceti subalterni nei decenni precedenti.

La controffensiva neoliberista della Thatcher e di Reagan

Dal punto di vista politico la svolta si può far risalire all’elezione di Margaret Thatcher nel 1979 (in carica fino al 1990) e di Ronald Reagan 1981 (in carica fino al 1987). Ex attore, Reagan deve il suo successo alle eccezionali capacità di comunicatore attraverso la tv. Reagan ha saputo interpretare con forza le esigenze dei grandi gruppi economici dell’ovest, ovvero dell’apparato industrial-militare, sia di una larga parte dell’opinione pubblica americana legata ai valori di potenza e supremazia degli Stati Uniti e all’odio per il nemico comunista e più in generale di sinistra. Reagan ha lanciato una vera e propria crociata anticomunista in primo luogo contro l’“impero del male sovietico”. Reagan mira ad aggirare la crisi di sovrapproduzione con il rilancio dell’apparato militare e punta a costringere l’Urss a seguirlo su questo terreno, riducendo le spese nei servizi sociali e alienandosi in tal modo il sostegno popolare. I dirigenti sovietici, a partire da Breznev, cadono nella trappola, accettando il conflitto caldo nei paesi periferici e l’acutizzazione della guerra fredda, con un ingente riarmo. Questo fa decrescere il consenso e la produttività del lavoro nel blocco orientale già stagnante; l’irrigidimento del controllo burocratico, volto a perseguire il dissenso, non fa che aggravare la situazione.

Gorbaciov: la glasnost (trasparenza) e la perestrojka (ricostruzione)

Tale situazione di stagnazione economico-sociale e di oppressione burocratica favorisce nel 1985 l’ascesa al potere di un dirigente come Michail Gorbaciov, espressione di una profonda volontà di cambiamento che proveniva dai settori più propulsivi della società: ceti urbani intellettuali, dirigenti, tecnici più sensibili alle ideologia e ai modi di vita occidentali; sostanzialmente una parte considerevole del ceto dirigente che pensa di sfruttare la situazione di crisi per divenire anche classe sociale dominante. Gorbaciov può anche giocare sul fatto che lo statalismo burocratico ha lasciato troppo poco spazio all’iniziativa individuale, la democrazia sovietica non è mai decollata e anche all’interno dei popoli associati alla Russia nell’URSS crescono le spinte autonomiste.

Il disarmo unilaterale di Gorbaciov e la dissoluzione del blocco orientale

Gorbaciov, in primo luogo, decide di sottrarre risorse al confronto militare con gli USA per utilizzarle in ambito economico-sociale. Questo lo porta prima a una politica di distensione e poi a un progressivo disarmo. In primo luogo Gorbaciov ritira le truppe dalla fallimentare spedizione in Afghanistan, dove erano intervenute nel 1979 su richiesta del governo comunista locale per sostenerlo nel conflitto con i ribelli fondamentalisti islamici, che portavano avanti una guerriglia che aveva fiaccato l’esercito russo, grazie al generoso sostegno dei paesi arabi conservatori o reazionari come Pakistan e Arabia Saudita, ma anche di Stati Uniti e Cina in funzione antisovietica. Gorbaciov si disimpegna poi da tutti i terreni di conflitto con l’imperialismo o a sostegno degli alleati in Etiopia, Angola, Nicaragua ed El Salvador. Come si disimpegna dal sostegno al Vietnam e al governo cambogiano nel conflitto con i ribelli di Pol Pot sostenuti da Cina e USA Gorbaciov prosegue con una politica unilaterale di disarmo che lo porta a smantellare tutti i missili posti a difesa dell’Europa dell’Est in reazione agli euromissili impiantati dagli USA. A questo punto, però, gli alleati dell’Europa orientale da una parte perdono fiducia nella protezione sovietica dall’altra perdono il timore del suo dominio. In tal modo, in brevissimo tempo, il blocco sovietico in Europa orientale si dissolve.

10/12/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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