Engels e l'antropologia delle religioni (parte II)

Continuando la prima parte dell’articolo, esaminiamo come Engels analizza il pensiero delle masse


Engels e l'antropologia delle religioni (parte II)

Queste considerazioni engelsiane - mi pare - mettano in evidenza, in primo luogo, come la dissoluzione di una certa forma di vita sociale determini una situazione di smarrimento generale e di grave crisi morale, nella quale oggi siamo sprofondati anche noi. In secondo luogo, proprio col parallelo stabilito tra il cristianesimo primitivo e il movimento operaio, egli mostra come “il pensiero delle masse” tenda spontaneamente all'interpretazione in termini religiosi - sia pure in senso lato - dei movimenti di rinnovamento, e ciò avviene a mio parere per almeno due ragioni. Innanzitutto, perché l'abbandono dell'atteggiamento religioso implica l'acquisizione -che non è un fatto spontaneo - di una certa consapevolezza riguardante i limiti degli obiettivi proposti e dei metodi utilizzati. Tale abbandono implica, ad esempio, la coscienza che una certa visione della realtà - proprio se ha la pretesa di essere scientifica e per questo falsificabile - può cogliere solo certi aspetti del reale, che essa, inoltre, costituisce uno strumento del tutto revocabile per modificarne alcuni, e paradossalmente che - sulla base di certe accidentalità non previste o non calcolate - può favorire addirittura la realizzazione di scopi opposti a quelli di partenza. In seconda battuta, perché - come scrive Hobsbawm [1] - è più facile spingere gli uomini a battersi, se si tratta di costruire un mondo radicalmente nuovo nella sua globalità, che invitarli a lottare per un mondo, in cui inevitabilmente continueranno a sussistere mali ineliminabili come il conflitto, il dolore, la morte. La dimensione della religiosità, in questo senso, costituisce probabilmente una dimensione difficilmente eliminabile dalla coscienza degli strati più bassi della società.

Questi paralleli presentisti costituiscono una spia interessante per cercare di ricostruire l'influenza che ha esercitato su Engels la riflessione antropologico-filosofica sulla religione, e di individuare quale definizione di tale fenomeno socioculturale lo studioso tedesco ha da essa tratto. Prenderemo in esame così il secondo punto individuato nella parte iniziale di questo scritto, ossia la questione della presenza di una prospettiva filosofica di origine hegeliana nell'indagine sulla religione. Prospettiva in cui viene posto il problema della definizione dell'atteggiamento religioso o della religiosità, che Engels si pone implicitamente nel momento in cui stabilisce paralleli e analogie tra forme di religiosità diverse, come quella propria dei primi cristiani e quella del movimento operaio. 

A questo proposito - mi pare - si possa affermare che Engels mescoli due tipi di definizione di religiosità, che trae da L. Feuerbach e dalla riflessione antropologico-religiosa settecentesca e ottocentesca. Ovviamente Feuerbach è a sua volta debitore di Hegel e attraverso questi di una riflessione antropologico-religiosa millenaria.

Quanto a quest'ultima, come è noto nell'opera di Marx è centrale la nozione di feticismo, derivante sia da Hegel ma anche direttamente da de Brosses, inventore di tale termine, il cui libro sui culti feticistici – sappiamo - Marx lesse negli anni 1842-1843. 

La nozione di feticismo di de Brosses è una specificazione della nozione di antropomorfizzazione sviluppata da Hume, anche sulla base della riflessione filosofica classica. Nella definizione di de Brosses [2] il feticismo è il culto degli oggetti terrestri materiali, come animali, piante, pietre, ma anche - fatto ancora più paradossale - di oggetti costruiti dall'uomo stesso come oracoli, amuleti, talismani, tutti considerati ricettacolo di divinità o dotati di qualche virtù soprannaturale. Il meccanismo psicologico fondamentale che sta alla base del feticismo è quello dell'antropomorfizzazione (non a caso de Brosses nel suo libro riporta alcune pagine della Storia naturale della religione di Hume), sulla base del quale l'uomo attribuisce caratteri umani potenziati alle cose. 

La nozione di antropomorfizzazione sta anche alla base di una delle più celebri definizioni di religione elaborata dall'antropologo inglese E. B. Tylor nella seconda metà dell'Ottocento. Tylor collega, tuttavia, la nozione di antropomorfizzazione a quella di entificazione o di animismo. Dal suo punto di vista, gli uomini religiosi -primitivi o no - da un lato tendono a considerare animata tutta la natura, dall'altro entificano una serie di esperienze in esseri soprannaturali. Non è qui il caso di scendere nel dettaglio, mi limito a ricordare che per lo studioso britannico l'entificazione conduce l'uomo primitivo a elaborare la nozione di anima, intesa come principio vitale dell'intera realtà, uomo compreso. 

Engels conosce e impiega la nozione di animismo, con le sue implicazioni antropomorfizzanti ed entificanti. Tale nozione riguardava però soprattutto il rapporto tra uomo e mondo naturale, come ad esempio, la questione della morte spiegata in termini animistici come allontanamento dell'anima dal corpo o la questione della spiegazione dei fenomeni naturali (ad esempio, l'azione del vento spiegata con l'intervento dello spirito del vento etc). Aggiunge, tuttavia, a tali modalità di manifestazione dell'atteggiamento religioso il processo di entificazione e, quindi, di naturalizzazione delle forze sociali, che invece gli deriva da Feuerbach e che successivamente sarà ripreso da E. Durkheim, il fondatore della sociologia della religione.

Il compagno di Marx unifica questi diversi procedimenti, che stanno alla base dell'atteggiamento religioso, nella teoria del riflesso, secondo cui le divinità sono il risultato del riflesso nella testa degli uomini di poteri naturali e sociali. Così scrive nell’Antidüring:"…Ogni religione non è altro che il fantastico riflesso nella testa degli uomini di quelle potenze esterne che dominano la sua esistenza quotidiana, riflesso nel quale le potenze terrene assumono la forma di potenze sovraterrene. Agli inizi della storia sono anzitutto le potenze della natura quelle che subiscono questo riflesso e che nello sviluppo ulteriore passano nei vari popoli per le più svariate e variopinte personificazioni… ma presto, accanto alle forze naturali. entrano in azione anche forze sociali, forze che si ergono di fronte agli uomini altrettanto estranee e, all'inizio, altrettanto inspiegabili, e li dominano con la medesima necessità naturale delle stesse forze della natura” [3]. 

Se effettivamente questi sono i temi antropologico-religiosi impiegati da Engels, possiamo affermare che l'unico elemento di novità, che introduce questo tipo di indagine, è il tema della personificazione e divinizzazione delle forze sociali di derivazione feuerbachacchiana, poi ripreso da Durkheim. Gli antropologi dominanti nella seconda metà dell'Ottocento - come Max Müller e Tylor - vedevano essenzialmente nella religione il culto della natura, benché con modalità diverse.

Possiamo individuare a questo punto - mi pare - due percorsi nell'opera di Engels, tra loro in una relazione dialettica non compiutamente sviluppata. Da un lato, come si è visto, abbiamo la lettura storico-sociologica delle diverse forme di religiosità, secondo cui la religione è l'espressione mascherata di certi contenuti economico sociali; dall'altro, anche sulla base della filosofia della religione, l'idea che la religiosità costituisca una forma specifica di discorso e di atteggiamento, dotato di caratteristiche transculturali, connesso a certe generali modalità di esistenza umana e sociale, non del tutto riducibile alle dinamiche economiche e sociali. Del resto, lo stesso Engels scrive nel 1890 in una lettera a Conrad Schmidt: “Per quanto riguarda i settori ideologici ancora più sospesi per aria, la religione, la filosofia etc., questi hanno un'esistenza preistorica che i periodi storici hanno trovato già pronta e che ciò che chiameremmo sciocchezza si è assunta sarebbe pedantesco voler cercare per tutte queste primitive sciocchezze delle cause economiche” [4].

Da questo punto di vista, se è pur vero che la lettura storico-sociologica ha aperto la strada alle interpretazioni volgari e riduzionistiche della religione, è ugualmente vero che egli era del tutto consapevole della specificità del discorso religioso, che individua nelle tematiche classiche dell'antropomorfizzazione, dell'entificazione, della naturalizzazione. Se egli non porta avanti la tematica del feticismo della merce, sviluppata da Marx, è perché si occupa di forme religiose precapitalistiche e si avvale di definizioni di ordine estremamente generale. Ora invece il feticismo della merce è sicuramente una nozione impiegata dal Moro per cogliere i complessi meccanismi di una particolare forma di religiosità: quella che caratterizza la società capitalistica. Si tratta di un tipo di religiosità che riguarda sia il modo stesso di strutturarsi di tale società sia il modo in cui essa viene interpretata da coloro che vi operano. In questo senso si potrebbe affermare che Marx, pur partendo da una definizione generale della religiosità, è riuscito ad individuarne le specifiche modalità di realizzazione in un determinato contesto sociale.

Se come gli antropologi del suo tempo, Engels non porta a fondo l'analisi di come l'atteggiamento religioso si strutturi nelle specifiche situazioni sociali, sottolineando piuttosto come esso esprime in forma religiosa determinati contenuti che non gli sono propri, ciò avviene a causa di quegli obiettivi politici di cui si diceva prima. In questo senso la sua opera, pur ricca di una serie di osservazioni e di spunti, è più rilevante per chi si pone il problema importantissimo dell'organizzazione della prassi politica che per chi, invece, si pone il problema dell'indagine scientifica della religiosità.



Bibliografia:

 

[1] Hobsbawm E. J., Forme primitive di rivolta, Einaudi, Torino 1966, pp. 79-89.

[2] De Brosse Ch., Sul culto degli dèi feticci o parallelo tra l’antica egiziana e la religione attuale della Nigrizia, a cura di A. Ciattini e S. Garroni, Bulzoni, Roma 2000.

[3] Marx K., Engels F., Scritti sulla religione, Savelli, Roma 1969, p. 115.

[4] Marx K., Engels F., Scritti sulla religione, Savelli, Roma 1969, p. 221.

 

16/02/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alessandra Ciattini

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. Ha studiato la riflessione sulla religione e ha fatto ricerca sul campo in America Latina. Ha pubblicato vari libri e articoli e fa parte dell’Associazione nazionale docenti universitari sostenitrice del ruolo pubblico e democratico dell’università.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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