Gli anni Ottanta e Novanta in Italia

Con l’aumento della composizione organica del capitale è aumentata la disoccupazione lasciando spesso come unica alternativa il lavoro nero o l’attività illegale, che hanno rafforzato il controllo sociale e del territorio da parte della malavita organizzata, che ha avuto così modo sia di aumentare la corruzione nel mondo della politica politicante, nella magistratura, nelle forze dell’ordine, sia la capacità di piazzare uomini di fiducia ad alti livelli.


Gli anni Ottanta e Novanta in Italia

Evasione fiscale e debito pubblico

Se la ripresa economica ha permesso la diffusione di un relativo benessere sociale anche al di là delle classi privilegiate, è stato pagato con un enorme aumento del disavanzo pubblico di cui paghiamo ancora ora le conseguenze, dal momento che il rilancio è drogato dall’evasione fiscale. Per far fronte al disavanzo lo Stato ha dovuto indebitarsi con i privati, cui deve pagare interessi sempre più elevati, che aumentano il disavanzo e, quindi, rendono necessari nuovi debiti a tassi di interesse più elevati, in una diabolica spirale.

La malavita organizzata

Il deciso aumento delle differenze sociali, in conseguenza della sconfitta del movimento dei lavoratori alla fine degli anni Settanta, ha segnato l’aumento del divario fra il Nord e il Sud del paese. Inoltre, con l’aumento della composizione organica del capitale è aumentata la disoccupazione, soprattutto giovanile, lasciando spesso come unica alternativa, soprattutto al sud, il lavoro nero o l’attività illegale, che hanno rafforzato il controllo sociale e del territorio della malavita organizzata, che ha avuto così modo sia di aumentare la corruzione nel mondo della politica politicante, nella magistratura, nelle forze dell’ordine (borghese), sia la capacità di piazzare propri uomini di fiducia ad alti livelli nella macchina dello Stato.

1 . Scandali e questione morale

Lo sviluppo dopo il Sessantotto anche in Italia di una stampa di inchiesta e il fatto che la classe economica dominante, dopo la sconfitta del movimento operaio, intende controllare direttamente la classe dirigente politica, eliminando la sua relativa autonomia dovuta alla forza economica del settore pubblico di cui il capitale si vuole appropriare con le privatizzazioni, ha permesso anche in Italia di far conoscere all’opinione pubblica la cosiddetta questione morale, ovvero che nei lunghi anni di governo democristiano poi affiancato da liberali, repubblicani, socialdemocratici e socialisti, si è diffusa una notevole corruzione che ha portato ministri, capi di partito, dirigenti di industrie di Stato, ad approfittare della loro posizione per arricchire se stessi e il proprio partito, con vere e proprie ruberie ai danni della cosa pubblica e dei ceti sociali subalterni.

I grandi scandali dalla fine degli anni Settanta favoriscono qualunquismo e antipolitica

Il primo grande scandalo a emergere alla fine degli anni Settanta, legato alle commesse per l’acquisto di aerei da guerra statunitensi che coinvolge, oltre ai ministri, anche i vertici delle forze armate, costringe persino il capo dello Stato della Democrazia cristiana Giovanni Leone alle dimissioni.  Da allora sempre più frequentemente gli scandali travolgono i vertici politici di governo, militari e più in generale i dirigenti corrotti del settore pubblico gestito privatisticamente, favorendo l’affermarsi fra i ceti subalterni del qualunquismo dell’antipolitica e la sfiducia nell’intervento pubblico dello Stato, che ha favorito a livello politico ed economico l’affermarsi di concezioni improntate al liberismo più sfrenato.

Craxi e Napolitano

L’opposizione di sinistra sembra riuscire a reagire a tale situazione con l’elezione a presidente della repubblica di un ex partigiano: Sandro Pertini, ma prevalendo nel Pci la componente più moderata, la principale alternativa socialdemocratica non appare in grado di distanziarsi fino in fondo dal craxismo, che domina negli anni Ottanta e cerca di preservare una relativa autonomia della classe dirigente scambiando i propri favori ai potentati economici con il sovvenzionamento illecito ai partiti di governo.  Nel frattempo nel Pci il conflitto fra chi, come Enrico Berlinguer, intende marcare la discontinuità con il craxismo e chi, come Napolitano, vuole scendere a patti con esso, vede la progressiva affermazione di quest’ultimo.

2. L’Italia negli anni Novanta

Finita la guerra fredda in Italia con lo scioglimento nel 1990 del Pci, anche il pesante apparato politico che ha sino a quel momento gestito il potere politico, la Dc, il Psi, e i tre partiti minori laici Pri, Psdi e Pli, sono rapidissimamente smantellati da un’inchiesta della magistratura di Milano denominata Mani pulite.  Emerge, infatti, ciò che che l’opposizione di sinistra sospettava e denunciava da anni, ovvero che gli imprenditori pagano delle tangenti al ceto politico al governo per assicurarsi la realizzazione dei lavori pubblici, per avere copertura politica in operazioni finanziarie illegali, atte fra l’altro a coprire la loro evasione fiscale. Tali finanziamenti illeciti sono serviti per finanziare i partiti politici che per tutto il dopoguerra hanno sbarrato – con ogni mezzo, anche il più truce e truffaldino, l’accesso al governo ai comunisti. Il più importante uomo politico della maggioranza di governo, Bettino Craxi, si rifugia in Tunisia per sottrarsi all’arresto. Sotto il peso di condanne e arresti tutti questi partiti, che non c’è più bisogno di finanziare perché l’opposizione di sinistra si è autodissolta insieme al Pci, si sciolgono. Così alle elezioni politiche del 1994 si crea una situazione inedita in cui si presentano agli elettori quasi esclusivamente nuovi partiti, tanto che il più giovane dei precedenti, la Lega nord, diviene il più vecchio.

L’ascesa della destra: Forza Italia, Lega Nord e Alleanza nazionale

Nonostante lo scioglimento del Pci, la parte più conservatrice della classe dirigente e la stessa malavita organizzata sono molto preoccupate dalle vittorie delle sinistre nella tornata di elezioni locali precedenti.  Ai vertici del blocco sociale dominante si è infatti creato un enorme vuoto di potere, con lo smantellamento del pentapartito, che rischia di favorire le forze progressiste, che si sono riunite in una coalizione capitanata dal Pds (Partito democratico di sinistra), con in più il Prc (Partito della rifondazione comunista), i Verdi e la Rete.  Per colmare il vuoto a destra si forma un’inedita alleanza fra la Lega nord, che ha come programma minimo il federalismo come programma massimo la secessione, Alleanza nazionale, il partito sorto dalle ceneri del Movimento sociale erede del fascismo, e un’inedita formazione politica: Forza Italia capitanata da un noto imprenditore televisivo: Silvio Berlusconi, che si pone come espressione diretta del mondo delle imprese e pare incarnare la volontà della classe dominante economica di governare senza dover più ricorrere alla costosa mediazione della classe dirigente politica.

Berlusconi quale Reagan italiano

Fondato in pochi mesi, il movimento Forza Italia, capeggiato da Silvio Berlusconi, si è progressivamente trasformato in un partito azienda, capace di mettere insieme una parte importante del ceto politico sedicente moderato in uscita libera dopo lo scioglimento della Dc e il crollo del Psi. Ciò consente a Forza Italia  di presentarsi come l’erede della parte più conservatrice della Dc andreottiana e della componente più anticomunista del Psi craxiano degli anni Ottanta. Berlusconi, che esercita un dominio assoluto sul suo Movimento Forza Italia, si presenta come una sorta di Reagan italiano, che si pone come punto di riferimento in Italia di Stati uniti e Vaticano, in quanto garante di una politica conservatrice, fautore di una crociata antistatalista e anticomunista e di un programma politico ultra-liberista, anche se deve fare i conti con il populismo di destra dei suoi alleati.

Dalla democrazia al bipolarismo liberale

Si delinea così un sistema bipolare, al quale ha aperto la strada una riforma elettorale che ha sostituito al sistema democratico proporzionale, il sistema liberale uninominale e maggioritario. Il bipolarismo spiazza inizialmente le forze che si definiscono di centro e si pongono come eredi della Dc, le quali sono costrette a dividersi schierandosi: la componente principale con il blocco di destra, la componente minoritaria (partito popolare) con il blocco di sinistra, che divengono così centrodestra e centrosinistra.

Il primo governo Berlusconi

Nelle elezioni del 1994 si impone la destra e diviene presidente Berlusconi, che riesce nella difficile impresa di legittimare la destra postfascista e la Lega secessionista come forze di governo, riciclando una parte consistente del personale politico della Dc e del Psi, grazie alla campagna volta e delegittimare l’inchiesta Mani pulite e ogni altra inchiesta che, sempre più frequentemente, coinvolge Berlusconi e altri vertici del suo partito, denunciandola come un impossibile complotto ordito dalla magistratura – una istituzione in quanto tale volta alla preservazione dell’esistente di contro a chi lo intenderebbe sovvertire, in combutta con i comunisti, cioè proprio con i più incalliti “sovversivi”.

La caduta del governo Berlusconi e il governo Dini

Il governo dura poco per i problemi giudiziari di Berlusconi, strettamente legato in passato a Craxi, e soprattutto per il sorgere di un imponente movimento di opposizione di massa che si oppone al pesante taglio delle pensioni proposto dal governo, su proposta del ministro Lamberto Dini, in rappresentanza del grande capitale finanziario transnazionale, preoccupato, esplicitamente che la classe subalterna tendeva in media a vivere più a lungo del necessario godendo dei contributi versati con le pensioni, allora uno strumento indiretto di solidarietà all’interno della classe lavoratrice, per cui i lavoratori più giovani e in forza si facevano carico dei lavoratori impossibilitati a continuare a lavorare, massimizzando i profitti del padronato.

A questo punto è la Lega che, per non perdere la propria base popolare, si sfila facendo cadere il governo.  Si forma così un governo tecnico presieduto da Dini che – come il governo tecnico di Ciampi, precedente al governo Berlusconi, grazie all’appoggio diretto o indiretto di centrodestra e centrosinistra – realizza quelle dure misure antipopolari di tagli alle spese sociali dello Stato e di riduzioni dei salari che difficilmente poteva realizzare un governo politico di parte, senza mettere a serio repentaglio la pace sociale. Nel caso del governo capeggiato proprio da Dini e sostenuto dal sedicente centrosinistra si realizzano naturalmente quei tagli durissimi alle pensioni delle giovani generazioni, richieste dal Fondo monetario internazionale preoccupato per la crescita della durata della vita media, che tanta contrarietà avevano suscitato quando lo stesso Dini aveva proposti i medesimi tagli come ministro del governo Berlusconi.

Il primo governo Prodi

Nelle successive elezioni del 1996 si afferma una coalizione di centrosinistra capeggiata dall’ex democristiano Romano Prodi, noto come grande svendita ai privati di quell’industria di Stato le cui basi erano state gettate della Rivoluzione passiva fascista. In realtà la coalizione di Prodi ha ricevuto, in termini assoluti. meno voti delle forze di destra, ma il meccanismo maggioritario gli dà la maggioranza, seppur di misura. Sebbene eletto con un programma volto alla difesa dei ceti popolari, il governo porta avanti una politica di tagli ai servizi sociali e di precarizzazione del lavoro (legge Treu), giustificata dalla necessità di entrare a far parte nel 2000 dell’area dell’euro, che richiede secondo i dettami ultraliberisti di Maastricht una politica liberista volta alla riduzione di debito pubblico e inflazione a spese del salario diretto, indiretto (il sedicente “Stato sociale”) e differito, cioè le pensioni dei subalterni.

30/07/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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