Gli anni sessanta in Italia

La Democrazia cristiana si orienta alla formazione di un governo di centro-sinistra per rafforzare le proprie basi di massa con una politica di programmazione economica, sviluppando l’industria pubblica, tenendo i socialisti in una posizione subordinata e, al contempo, isolando i comunisti all’opposizione.


Gli anni sessanta in Italia

 

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi

L’Italia dal centro-sinistra all’“autunno caldo” e alla “strategia della tensione”

Nelle elezioni legislative del 1958 la Democrazia cristiana – che si presenta agli elettori come il partito del progresso senza avventure – conquista voti a spese della destra monarchico-fascista rafforzando la propria maggioranza relativa, a sinistra cresce il Partito socialista italiano, mentre il Partito comunista italiano, nonostante i gravi sconvolgimenti del 1956, riesce a mantenersi stazionario. Nel frattempo anche in Italia, grazie alla politica della distensione pacifica portata avanti dall’Unione sovietica, la guerra fredda si è attenuata, il paese si industrializza e si accresce sempre più il peso della classe operaia. Gli sconvolgimenti del 1956 hanno fatto prevalere nel Partito socialista le forze ostili ai comunisti e tale partito ha rotto la precedente alleanza con il P.C.I.. La Democrazia cristiana, interessata a emarginare il Partito comunista, comincia a considerare favorevolmente un governo di centro-sinistra. Tale svolta è favorita dalla morte di Pio XII, totalmente ostile alla sinistra, e l’elezione nel 1958 di Giovanni XXIII, che comprende l’esigenza, per non finire nell’emarginazione, di aprire la chiesa cattolica alle esigenze sociali e alla distensione internazionale, dopo l’atteggiamento di crociata ultra-conservatrice del suo predecessore.

Il governo Tambroni e il Luglio 1960

Tuttavia l’ala della Democrazia cristiana capitanata da Amintore Fanfani, favorevole a un accordo con il Partito socialista, è sconfitta anche per le pressioni vaticane e nasce un governo Tambroni, che non ottiene l’appoggio dei socialdemocratici e dei repubblicani favorevoli al centro-sinistra, e si basa per governare sui voti determinanti della destra liberale e fascista. La fortissima opposizione popolare a un governo che si regge nuovamente sul voto fascista, esplode quando il Movimento sociale italiano pretende, provocatoriamente, di tenere il proprio congresso nella città proletaria e antifascista di Genova nel luglio del 1960. Contro tali provocazioni, si svolgono manifestazioni popolari in diverse città italiane, di fronte alla quali il governo risponde spingendo la polizia a una violenta repressione che provoca diversi morti. L’indignazione nell’opinione pubblica e fra le masse popolari è a tal punto impetuosa da costringere il governo Tambroni alle dimissioni.

Il centro-sinistra

Nel 1962 la Democrazia cristiana si orienta alla formazione di un governo di centro-sinistra per rafforzare le proprie basi di massa con una politica di programmazione economica, sviluppando l’industria pubblica, tenendo i socialisti in una posizione subordinata e, al contempo, isolando i comunisti all’opposizione. Il primo governo di centro-sinistra presieduto da Fanfani e con l’appoggio esterno del Partito socialista dura un anno e dà risultati di rilievo. Nel 1962 viene nazionalizzata l’industria elettrica creando l’Enel, pur dando indennizzi elevati ai privati espropriati. Si crea la scuola media unica obbligatoria. Tuttavia, non si approva il punto più importante dell’accordo di governo, l’istituzione delle regioni, previste dalla Costituzione, alle quali si oppongono i moderati, per paura di governi locali comunisti.

Il centro-sinistra si sposta su posizioni moderate

Alle elezioni legislative del 1963 Democrazia cristiana e Partito socialista perdono consensi, guadagnati a destra dal Movimento sociale italiano e a sinistra dal Partito comunista. Il nuovo governo presieduto da Aldo Moro, principale esponente della sinistra democristiana, vede la partecipazione diretta di ministri socialisti e ha come obiettivo l’attuazione delle regioni e il lancio della programmazione economica. Il governo è ostacolato dalla destra democristiana e dalla sinistra del Partito socialista, che si scinde dando vita al Partito socialista italiano di unità proletaria 1964. A peggiorare le cose interviene nel1964 la crisi economica di sovrapproduzione. Il governo rilancia le esportazioni, ma per far ciò provoca l’aumento dell’inflazione e della disoccupazione. Nel 1964 la destra democristiana fa cadere il governo. Si forma un nuovo governo Moro di centro-sinistra più moderato. Nel 1964 è eletto presidente della repubblica il social-democratico Giuseppe Saragat. Nel 1966 il Partito socialista si riunifica con il Partito socialista democratico italiano dando vita al Partito Socialista Unificato.

La via italiana al socialismo

Anche il Partito comunista, chiudendo con la linea leninista-rivoluzionaria, segue la via italiana al socialismo, tracciata da Palmiro Togliatti prima di morire, che ritiene possibile arrivare al socialismo mediante riforme di struttura senza rompere con la democrazia parlamentare borghese.

Il golpe De Lorenzo

Finalmente, con il terzo governo Moro fra il 1966 e il 1968 si attuano le regioni, si rafforza la sanità pubblica, ma le riforme più importanti, a partire dalla programmazione economica rimangono inoperanti. Ciò nonostante sin dall’inizio i settori conservatori dello Stato si sono mossi per sabotare il governo di centro-sinistra, a partire dal generale Giovanni de Lorenzo a capo dei servizi segreti dell’esercito, che ha cercato di coinvolgere i politici di destra e lo stesso presidente della repubblica Antonio Segni, della destra democristiana, in un colpo di Stato.

La protesta sociale del 1968-1969, il secondo biennio rosso

Le elezioni parlamentari del 1968 premiano la linea ondivaga della Democrazia cristiana e il Partito comunista che catalizza l’opposizione di sinistra al timido riformismo del governo di centro-sinistra. Mentre il Partito socialista unitario perde molti consensi a destra e a sinistra. Il nuovo pallido governo di centro-sinistra guidato dal doroteo Mariano Rumor deve far fronte all’esplodere della protesta sociale, studentesca e operaia, del 1968-1969.

Il boom economico

Tale movimento, orientato più o meno su posizioni radicali di sinistra, ha le proprie origini strutturali nel miracolo economico della fine degli anni cinquanta, che ha aperto la strada al riformismo del centro-sinistra, che può ridistribuire una parte minoritaria delle ricchezze prodotte ai ceti sociali subalterni, per evitare la loro radicalizzazione dal piano delle rivendicazioni economiche, al piano del potere politico. In effetti il reddito nazionale fra il 1952 e il 1962 è più che raddoppiato e l’Italia da paese prevalentemente agricolo è divenuta una grande potenza industriale. Tuttavia non si presta attenzione agli aspetti sociali e ambientali dell’industrializzazione e il sud arretrato rischia ancora una volta di rimaner tagliato fuori, aggravando ulteriormente la questione meridionale.

La crescita economica favorisce il riformismo

La crescita dell’occupazione favorisce le lotte dei lavoratori salariati che ottengono aumenti salariali, anche se minimi rispetto agli aumenti dei profitti. Tuttavia sono sufficienti, piano piano, ad aumentare in numero dei cittadini che possono permettersi un’automobile, gli elettrodomestici e la villeggiatura. Tale boom economico sembra consentire le riforme del centro-sinistra che, se riesce a modernizzare il paese incide relativamente poco su una distribuzione più equa della ricchezza, anche a causa del ritorno della crisi economica.

L’autunno caldo e la sinistra extra-parlamentare

Alla parziale ripresa economica dal 1966 al 1968 corrisponde la difficoltà di tenuta delle due principali forze politiche, la Democrazia cristiana insidiata a destra dai fascisti e il Partito comunista insidiato a sinistra dalle formazioni rivoluzionarie extra-parlamentari. Queste ultime nascono in seguito al processo di occupazione delle università nel 1968-69 e alle lotte operaie che raggiungono il loro apice nell’autunno caldo del 1969, con il risorgere nelle fabbriche dei consigli di fabbrica e dei comitati di base che, a partire dai metalmeccanici, mirano a superare la frammentazione sindacale, mentre gli studenti non fuggono più dinanzi alla polizia e si susseguono gli scontri di piazza.

Lo Statuto dei lavoratori

Le dure lotte operaie, indipendenti dalle burocrazie sindacali, ottengono notevoli conquiste sul piano dei salari, uniformati al livello europeo, e delle condizioni di lavoro con lo Statuto dei lavoratori, che rinnova in senso democratico il regime di fabbrica, garantendo dai licenziamenti arbitrari, tutelando la presenza sindacale e le libertà nei luoghi di lavoro.

La strategia della tensione

Dinanzi alla durezza dello scontro, con episodi di repressione violenta, il Partito socialista unitario si scinde, mentre le destre chiedono un governo forte che reprima con la forza le proteste. In questo clima il 1969 è costellato da attentati dinamitardi volti a terrorizzare l’opinione pubblica, a criminalizzare le sinistre rivoluzionarie, facendo montare la richiesta di un governo autoritario di destra. All’autunno caldo del 1969 e alle lotte per il rinnovo del contratto metalmeccanico risponde la strage di piazza Fontana a Milano, strage evitata per puro caso lo stesso giorno a Roma. Si tratta di una strategia della tensione, dispiegata dall’imperialismo a livello internazionale, volta a criminalizzare le forze di sinistra radicale, del tutto estranee a tali eventi, pere favorire l’affermazione di governi autoritari di destra e mettere fuori gioco le forze comuniste.

03/09/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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