I limiti di Marx da una prospettiva hegeliana

L’estinzione dello Stato è, secondo Losurdo, sinonimo più di idealismo della prassi che di materialismo storico


I limiti di Marx da una prospettiva hegeliana

La critica di idealismo storico, che spesso è stata utilizzata contro la filosofia hegeliana, è possibile rivolgerla, a parere di Domenico Losurdo, anche a Karl Marx e a Friedrich Engels: “nella società comunista auspicata da Marx ed Engels, assieme alla divisione in classi, dileguano il mercato, la nazione, la religione, lo Stato e forse persino la norma giuridica in quanto tale, resa tanto più superflua da uno sviluppo delle forze produttive così prodigioso da consentire il libero appagamento di ogni bisogno e quindi il superamento del difficile compito della distribuzione delle risorse” [1]. Questa visione è, secondo Losurdo, sinonimo più di “idealismo della prassi” [2] che di materialismo storico. L’ultimo Lukács, nell’Ontologia dell’essere sociale [3], aveva sottolineato i pericoli dell’idealismo storico: “o l’essere sociale non è stato distinto dall’essere in generale, oppure lo si è visto come alcunché di radicalmente diverso senza più affatto il carattere dell’essere” [4]. Ed è proprio a questo secondo tipo di idealismo che, a parere di Losurdo, è andato incontro il pensiero rivoluzionario da Johann Gottlieb Fichte fino al giovane Lukács [5] a causa della “sua insistenza sulla prassi” e sulla “trasformazione del mondo” [6].

L’idealismo storico presente nella visione del comunismo di Marx ed Engels è, certo, a parere di Losurdo, piuttosto comprensibile, visto che essi si formano in un’epoca rivoluzionaria [7]. Sono gli “anni in cui […] sono ancora possenti gli echi della Rivoluzione francese”, che aveva spazzato via l’Ancien Régime e in cui “già si intravedono i segni premonitori della gigantesca ondata rivoluzionaria del ’48” [8], che “nelle speranze dei due giovani rivoluzionari, al di là dei vecchi rapporti feudali, avrebbe dovuto mettere in discussione anche l’ordinamento borghese” [9]. Da questo punto vista, è più che giustificabile che la loro elaborazione del comunismo contenga degli aspetti poco realistici quali l’estinzione dello Stato, delle nazioni, del mercato e della religione. Tuttavia, a parere di Losurdo, tale visione è eccessivamente schematica: se è vero che nazione, religione e lingua hanno una realtà storica, arrivare a concepirne il superamento è eccessivo. Ciò comporta lo smarrimento della “dimensione della lunga durata, o avere una visione distorta dell’essere sociale, configurandolo come una realtà omogenea regolata da un tempo storico omogeneo” [10]. In verità, ogni istituzione statale, nazione o lingua si sviluppa in un tempo storico e in circostanze diverse, quindi, è caratterizzata da “uno spessore ontologico di volta in volta diverso” [11]. In un certo senso, ciò che Marx ed Engels smarriscono nella loro visione del comunismo è “l’essere dell’essere sociale” [12]. 

D’altro canto, anche il non considerare l’aspetto naturale presente nella realtà storico-politica porta, a parere di Losurdo, a smarrire l’essere dell’essere sociale. L’uomo, anche nella società più avanzata, mantiene la sua individualità e la sua fragilità di essere naturale con le sue paure e le sue passioni. È utopistico quindi credere, come fanno “le correnti più messianiche del movimento comunista” [13], che individuo e genere possano coincidere immediatamente. L’aspettativa, ad esempio, del dileguare della religione a fronte del superamento dell’oppressione di classe significa non tenere conto dell’elemento naturale presente nella realtà storica; in questo caso, ciò che si sottovaluta è la “precarietà dell’esistenza individuale e la paura della morte” [14].

Tuttavia vi è un altro punto che a Losurdo preme sottolineare riguardo la religione e cioè il legame di quest’ultima non solo con l’aspetto naturale, ma anche con la realtà storico-politica che si palesa nel legame con l’identità nazionale: “piuttosto che essere espressione esclusiva della lotta di classe, la religione rinvia anche a una realtà sociale (la nazione) certamente storica, ma regolata da una temporalità all’insegna di una durata assai lunga” [15].

La critica di Losurdo rispetto al dileguare della religione una volta superata l’oppressione di classe è sicuramente efficace nei riguardi di chi pensa che la religione possa sparire per decreto in seguito a una rivoluzione, come ad esempio i movimenti anarchici o anche parte dello stesso movimento comunista affascinato da tali tesi utopiche. È vero che alcune volte ci sono cadute nel messianismo e nell’utopismo anche nel pensiero di Marx ed Engels, tuttavia non possiamo rivolgere nel complesso anche a Marx questa critica. Per Marx il dileguare della religione non è qualcosa di immediato, ma è un processo graduale. Marx coglie gli aspetti positivi della religione, la quale rappresenta seppure illusoriamente e ideologicamente una risposta al bisogno degli uomini di vivere liberamente e dignitosamente. L’alienazione religiosa [16] non sorge, dunque, di per sé, ma è piuttosto il riflesso a livello ideologico di una alienazione più essenziale come Marx afferma nella IV Tesi su Feuerbach: “ma il fatto che il fondamento mondano si distacchi da se stesso e si costruisca nelle nuvole come un regno fisso e indipendente, è da spiegarsi soltanto con l’auto-dissociazione e con l’auto-contraddittorietà di questo fondamento mondano. Questo fondamento deve essere perciò compreso nella sua contraddizione, quanto rivoluzionato praticamente” [17]. Di conseguenza, Marx critica la possibilità di liberarsi dalla religione attraverso l’immediata presa di coscienza auspicata da Feuerbach, che sicuramente non consentirà giammai la riappropriazione dei tesori riposti in cielo, finché l’alienazione mondana non sarà compresa e rovesciata praticamente. Con il superamento della società divisa in classi, la religione perderà progressivamente la sua ragione d’essere, in quanto il suo fondamento mondano è dileguato. Del resto, se guardiamo alla storia del socialismo reale è facile constatare che già in quel periodo c’è stato un graduale distacco delle masse dalla religione, che ha invece ripreso linfa nel momento in cui quell’esperienza è entrata in crisi e poi fallita [18].

Per quanto concerne il legame tra religione e identità nazionale, possiamo dire che questo legame non è né eterno né necessario. È vero che in alcuni casi specifici c’è stata storicamente un’identificazione tra religione e identità nazionale, come nel caso dell’Irlanda nella sua lotta per l’indipendenza nazionale. Ma la religione si sviluppa prima dello stesso concetto di nazione e ha, almeno nel caso delle grandi religioni monoteistiche, un carattere cosmopolita, basta guardare alla storia del cristianesimo o dell’islam. Il concetto di nazione, invece, nasce essenzialmente con l’affermarsi della borghesia [19] che, come ci insegna Losurdo, fa la sua lotta di classe anche attraverso la lotta per l’indipendenza nazionale. Essendo un prodotto della storia, la nazione, come la religione, può dunque essere superata, anche se, certamente, né in modo semplice, né in modo immediato.

L’impressione è che talvolta sia Losurdo a correre il rischio di perdere di vista l’essere sociale finendo così quasi per naturalizzare ossia eternizzare la realtà storico-sociale come nel caso della nazione e della religione. In ogni caso le sue analisi sono particolarmente interessanti e utili, soprattutto quando si tratta di confutare chi, con troppa leggerezza, si lancia in previsioni poco credibili perdendo i contatti con l’oggettività dell’essere sociale. A riprova di ciò, Losurdo richiama la storia del socialismo reale: “la Rivoluzione d’ottobre avrebbe dovuto mettere in moto un processo destinato a sfociare nel dileguare non solo dei confini statali ma anche delle identità e dei confini nazionali. Sennonché, nel marzo 1929 Stalin non può fare a meno di osservare: «la stabilità delle nazioni è grande in misura colossale»” [20]. L’altro paradosso, osserva Losurdo, consiste nel fatto che il movimento comunista, avendo in larga parte contribuito all’emancipazione dei popoli coloniali, ha dato allo stesso tempo una forte spinta “al rafforzamento e al moltiplicarsi delle identità nazionali” [21]. I comunisti, inoltre, conquistato il potere in società ancora di stampo feudale o semifeudale, contribuendo allo sviluppo delle forze produttive, si sono altresì impegnati a favorire lo sviluppo di un mercato nazionale. “In conclusione, la pratica reale di governo metteva in crisi la piattaforma teorica con cui, soprattutto in Russia, i comunisti erano giunti al potere” [22]. A parere di Losurdo, è stato l’idealismo storico a provocare la sfasatura tra progetto politico e situazione reale

 

Note:

[1] Losurdo, Domenico, Hegel, Marx e l’ontologia dell’essere sociale, in “Critica Marxista”, Settembre/ottobre, pp. 40-49, p. 46.

[2] Ibidem.

[3] Alla base dell’impianto complessivo di quest’opera è la distinzione tra ontologia e gnoseologia, con la priorità della prima sulla seconda. La tesi dell’irriducibilità del piano dell’essere a quello della coscienza, dell’ontologico al logico consolida in Lukács la teoria del rispecchiamento della realtà in senso materialistico, con la relativa condanna dell’apriorismo logico-idealistico.

[4] Lukács, György, Per l’ontologia dell’essere sociale I, traduz. e a cura di Scarponi, A., Roma, Editori Riuniti 1976, p. 3.

[5] Il soggettivismo di cui è intrisa la più importante opera del giovane Lukács, ovvero Storia e coscienza di classe del 1922, trovava fondamento, a livello teorico, nel principio di origine hegeliana del soggetto-oggetto identico individuato nel proletariato. A livello politico si esprimeva invece nel messianismo rivoluzionario, giustificabile, in un certo senso, sulla base della situazione storica.

[6] Losurdo, D., Hegel…, op. cit., p. 46.

[7] Certo, una tale giustificazione dovrebbe valere, a maggior ragione, tanto per Fichte, che si forma a ridosso della Rivoluzione francese, quanto per Lukács che abbraccia il marxismo a ridosso della Rivoluzione d’ottobre.

[8] Losurdo, D., Hegel…, op. cit., p. 46.

[9] Ibidem.

[10] Ivi, p. 47.

[11] Ibidem.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Ibidem.

[15] Ibidem.

[16] Marx nelle Tesi su Feuerbach accoglie il concetto dell’alienazione religiosa sviluppato da Feuerbach ne La filosofia dell’avvenire del 1843. Il punto debole del ragionamento di Feuerbach consiste, però, per Marx, nel fatto che egli non ne ha individuato le cause.

[17] Marx-Engels, Opere scelte, a cura di Gruppi, L., Editori Riuniti Roma, p. 188.

[18] Su tale questione Losurdo sembra qui sostenere il contrario: “se pensiamo al Terzo Mondo, è probabile che, sia pure attraverso molteplici mediazioni, promuovendo la riscossa dei popoli coloniali, il movimento storico che si è richiamato a Marx abbia finito con lo stimolare il rafforzamento delle identità religiose e la rinascita religiosa almeno in certe aree del Terzo Mondo” Losurdo, D., Hegel…, op. cit., p. 48.

[19] Secondo la concezione marxista il concetto di nazione sorge insieme all’esigenza della borghesia di un mercato ampio come quello nazionale.

[20] Ivi, p. 47.

[21] Ibidem.

[22] Ibidem.

13/05/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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