Il positivismo

Il positivismo è stata la cultura dominante nei paesi capitalistici dalla seconda metà dell’ottocento allo scoppio della Prima guerra mondiale. Nella forma del neo-positivismo è ancora l’ideologia dominante nei paesi anglosassoni.


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Più che una filosofia specifica o una corrente filosofica, il positivismo ha costituito una mentalità diffusa, una sorta di senso comune delle persone colte occidentali della seconda metà dell’ottocento. La poliedrica cultura positivista ha come denominatore comune lo scientismo, la fede in una concezione lineare del progresso fondata sulla rappresentazione che lo sviluppo economico, tecnologico e scientifico, assicurato dall’affermazione del modo di produzione capitalista, avrebbe eliminato progressivamente tutti i problemi della società, dal pauperismo ai conflitti sociali. Altre caratteristiche comuni alla cultura positivista sono: la concezione che l’unica vera scienza è quella naturale, al cui metodo devono sottoporsi le nuove scienze umane, abbandonando la loro precedente impostazione metafisica, assimilabile alla religione; la concezione grettamente utilitarista della morale, dell’etica e della politica; l’agnosticismo o il deismo, per quanto concerne il rapporto con la religione; la gnoseologia empirista, fondata su un rozzo materialismo, anti storico e anti dialettico. Tale ideologia diviene dominante nei paesi occidentali, che vivevano nello sviluppo prodigioso permesso dalla rivoluzione industriale, prima che la prima grande crisi di sovrapproduzione del 1873 e, in seguito, il suo riesplodere nel 1907 segneranno il tramonto della belle epoque e la conseguente tragedia della Prima guerra imperialistica mondiale.

Il sorgere della filosofia positiva

Negli anni della Restaurazione (1815-48) vi è una ripresa da parte Henry de Saint-Simon del tema illuministico della felicità sociale, in connessione con la questione del riassetto della società europea e francese in particolare, dopo gli sconvolgimenti prodotti dalla Rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. Si tratta di organizzare un nuovo ordine che non sia il semplice ripristino dell’antico regime come volevano i teorici reazionari, ma che consideri le conquiste dell’illuminismo e della Rivoluzione del 1789 il punto di partenza per una riorganizzazione completa della società su basi moderne e scientifiche. Saint-Simon, a torto considerato un socialista utopista, è di fatto un apologeta della società capitalista, ritenendo che grazie alla collaborazione inter-classista fra produttori – in cui a suo avviso rientrerebbero non solo i lavoratori, ma anche i loro sfruttatori impresari – si potrebbe superare lo stesso conflitto sociale, una volta sconfitti i ceti improduttivi, ovvero le classi dominanti dell’antico regime: latifondisti e alto clero.

Auguste Comte (1798-1857)

La fondazione di una filosofia positiva in vista della riorganizzazione su basi “scientifiche” della società è lo scopo perseguito da Comte, discepolo e principale collaboratore di Saint-Simon. Per il suo poderoso Corso di filosofia positiva – pubblicato in 6 volumi fra il 1830 e il 1842 – Comte è considerato il fondatore e il principale esponente del positivismo, che ha rappresentato la cultura egemone nei paesi in cui diveniva dominante il modo capitalistico di produzione.

La sociologia

Da Saint-Simon, Comte riprende l’analisi della moderna società industriale, fondata sulla produzione, a differenza della società feudale che sarebbe stata fondata sulla conquista. Sulla base di questa concezione apologetica della società borghese essa porterebbe alla fine delle guerre, grazie allo sviluppo economico. Inoltre Comte eredita dal suo maestro il programma di riorganizzazione positiva, ossia sedicente scientifica della società. Differisce, però, nei mezzi di attuazione di tale programma, dal momento che Comte non lo crede, come Saint-Simon, realizzabile con l’azione politica, ma attraverso una lunga opera di riforma, in primo luogo intellettuale. Solo la profonda riorganizzazione del mondo intellettuale, con l’instaurazione di una filosofia positiva come sistema complessivo delle scienze, cui Comte dedica la sua vita, genererà una politica sedicente scientifica. Sarà dunque la sociologia, come Comte per primo definisce la nuova disciplina che fonda, quale prima analisi presuntivamente “scientifica” della società, a getterà le basi per la riforma delle istituzioni politiche.

Alla fase teologica e metafisica deve succedere una presunta fase scientifica

Secondo Comte Illuminismo e Rivoluzione francese hanno svolto una funzione eminentemente distruttiva dell’antico ordine teologico feudale, che Comte, come tutti i reazionari, tende a idealizzare. Inoltre, in questo intento essenzialmente nichilista, si sarebbero serviti di idee metafisiche – in quanto non dimostrabili sperimentalmente – quali sarebbero la sovranità popolare e l’illimitata libertà della coscienza. Dunque, Comte tende a considerare, in piena continuità con le posizioni reazionarie del secondo Schelling, meramente negative le filosofie razionaliste moderne. Inoltre, da vero reazionario, Comte non critica soltanto socialismo e comunismo, ma la stessa democrazia e il liberalismo che gli avrebbero aperto la strada. Al punto che Comte considera, la stessa libertà dei moderni, ovvero l’illimitata libertà di coscienza, in evidente polemica con Hegel, contraria al metodo delle uniche scienze positive, ovvero le scienze naturali, in cui tutti si attengono alle regole stabilite dai competenti, ossia dagli specialisti. Perciò a parere di Comte alla fase teologica e feudale e a quella critica e metafisica dovrà succedere una fase scientifica, ossia positiva, in cui il potere spirituale spetterà a tecnici e scienziati specializzati e il potere temporale ai capitani d’industria.

La politica, che grazie alla sua fondazione della sociologia, sarebbe divenuta una scienza, sarebbe affidata – in chiara polemica non solo con socialismo e comunismo, ma persino con democrazia e liberalismo – ai soli competenti, ossia ai tecnici, in primo luogo ai sociologi come lui. In tal modo anche la politica dovrebbe esser posta al riparo, al pari delle altre scienze che hanno già raggiunto lo stadio positivo, ossia post-metafisico, dal contrasto delle opinioni e dalle pretese di giudizio della coscienza individuale. Non a caso questa concezione, così radicalmente antidemocratica, è divenuta sino ai nostri giorni la soluzione ideale per la grande borghesia, anche perché eliminerebbe del tutto le stesse strutture rappresentative, divenute pericolose dopo che le masse hanno conquistato il suffragio universale. Tale concezione risente evidentemente della concezione allora dominante della Restaurazione, che mirava a reimporre un sistema assolutistico di potere. Anche se l’impostazione realista si intreccia in Comte con la ripresa dell’assolutismo illuminato, dal momento che a governare ci dovrebbero essere i capitali d’industria consigliati dai sociologi, ossia dagli intellettuali organici alla grande borghesia. La concezione di Comte è a tal punto reazionaria da mettere in discussione i fondamenti stessi della modernità e dello stesso liberalismo classico, dall’opinione pubblica, alla libertà di pensiero, di espressione, etc.

Nello stadio positivo delle scienze ci si limiterebbe a una conoscenza fenomenica

Nello stadio teologico, riprendendo la critica di Hume, i fenomeni non ancora spiegabili in termini scientifici erano intesi come prodotti dell’azione di agenti soprannaturali. Nello stadio metafisico gli agenti soprannaturali sarebbero stati sostituiti da astrazioni personificate, come lo spirito o l’idea di Hegel, concepite come in grado di generare da sé tutti i fenomeni, riprendendo la critica di Feuerbach all’idealismo e anticipando la futura critica di Nietzsche alle idee universali che avrebbero sostituito le divinità, dopo la morte di dio. Inoltre, riprendendo l’attitudine scettica di Hume, così funzionale alla società borghese, nello stadio positivo l’uomo, pontifica Comte, dovrebbe per sempre rinunciare a interrogarsi sull’origine e la destinazione dell’universo, ma si dovrebbe limitare a occuparsi esclusivamente di scoprire le leggi che regolano i fenomeni, ossia le relazioni invariabili di successione e somiglianza.

In tal caso Comte, come Schopenhauer, riprende in senso sostanzialmente reazionario l’opposizione kantiana fra fenomeni e cose in sé. D’altra parte, al contrario della Ragione pratica kantiana il mondo a cui aspira Comte, da apologeta della società capitalista, è un mondo anti-finalistico e grettamente utilitarista. Nella fase della scienza positiva a dominare saranno nuovamente i fatti, secondo una concezione grettamente empirista, che contrasta non solo con la rivoluzione copernicana di Kant, ma con la stessa fondazione della filosofia moderna sull’Io penso da parte di Cartesio. Quindi, secondo Comte, con lo sviluppo del positivismo ci si accontenterà di una conoscenza solo fenomenica della realtà, riconducibile a un numero sempre minore di leggi generali, sino ad arrivare a una sola legge che sia in grado di spiegare tutti i fenomeni. In tal modo Comte rinuncia, in evidente contrapposizione a Hegel, a qualsiasi forma di conoscenza dell’assoluto, dell’infinito. Perciò lo scientismo professato da Comte è una sorta di ateismo religioso come quello di Schopenhauer. Per cui se gli uomini devono rinunciare alla speranza della religione tradizionale in un mondo migliore, dato che il mondo capitalista sarebbe il migliore dei mondi possibili, d’altra parte il gretto materialismo di una tale società priva di cuore non può che far risorgere un bisogno di trascendenza, di religione, di cui Comte approfitta, con la sua attitudine superomista, per porsi come sommo sacerdote di questa nuova religione positiva, in cui al culto della vergine Maria si sostituisce il culto di una donna da lui amata, prematuramente deceduta.

Comte, che per altro come Nietzsche soffre di turbe psichiche, dimostra in tal modo di non aver il senso del ridicolo. Per tale motivo, nonostante che il suo pensiero apologetico della società capitalista sia ed è ancora oggi ampiamente sfruttato dalla borghesia dominante, quest’ultima ha negato qualsiasi riconoscimento a Comte sino a che era vivo.

Anche le scienze sociali devono divenire positive seguendo il modello delle scienze naturali

Secondo Comte sono già divenute scienze positive: l’astronomia, la fisica, la chimica, ma non le scienze sociali. Perciò è necessario sviluppare una fisica sociale (la sociologia), che studi la struttura e il divenire della società. Ciò consentirà, secondo Comte, anche alla politica di divenire previsione razionale del futuro sulla base delle esperienze passate, come le scienze naturali.

La politica positiva come terza via fra ordine e progresso

Comte, riprendendo la concezione interclassista di Saint-Simon, sostiene sia necessario giungere, idealisticamente, a una conciliazione fra le due grandi forze politiche che si scontrano nel mondo moderno, che sarebbero il partito dell’ordine e il partito del progresso, mostrando che nessun ordine può durare se non è compatibile con il progresso, né che il progresso si compie senza tendere al consolidamento dell’ordine. Dunque, rifiutando il materialismo storico e non legando i conflitti politici ai conflitti sociali ed economici, Comte crede di poter trovare una conciliazione attraverso considerazioni di senso comune. Per altro, pretendo di poter superare la contrapposizione della sua epoca fra fautori della restaurazione e della rivoluzione, Comte propone la presunta terza via della politica positiva, in cui il consenso, che è alla base dell’ordine sociale, sarà determinato dalla necessità scientifica e non dall’arbitrio delle volontà individuali, in quanto stabilirà i principi scientifici della vita sociale. Ritorna la pretesa di poter fissare, una volta per tutte, i princìpi scientifici su cui rifondare la società civile, a cui tutti dovranno attenersi in quanto fondati in modo positivo.

09/08/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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