La concezione hegeliana del tragico negli anni di Stoccarda

La formazione illuminista del giovane Hegel decisamente opposta a quella concezione “romantica e mistica” che gli attribuiranno diversi interpreti decisamente sopravvalutati.


La concezione hegeliana del tragico negli anni di Stoccarda Credits: https://library.weschool.com/lezione/sintesi-vita-filosofia-georg-wilhelm-friedrich-hegel-7037.html

Questa dignità di un’universalità, di un diritto, è ciò che rende così timide, quasi fosse una cosa che va contro coscienza, le istanze avanzate dalla sofferenza degli impulsi che vengono in contraddizione con la vita esistente,ammantata di quell’onore. Al positivo dell’esistente, il quale è una negazione della natura,viene lasciata la propria verità, cioè che un diritto deve esserci. [1]

Originario di una famiglia di perseguitati religiosi evangelici, che avevano trovato rifugio nella riformata Stoccarda, Georg Wilhelm Friedrich Hegel vede la luce nel 1770 in tale città, capitale del ducato del Württemberg bastione della fede luterana circondato da principati cattolici. Hegel riconoscerà il grande portato storico della riforma protestante, senza perciò sottostare all’ortodossia luterana che, al contrario, sarà ben presto sottoposta alla sua critica politico-filosofica. La riforma, inizialmente interpretata come un passaggio indispensabile dello sviluppo storico che ha aperto la strada all’illuminismo, costituirà in seguito per Hegel una tappa della progressiva acquisizione della libertà dei moderni, che ha il proprio fondamento nell’individualizzazione della sostanza divina. Persino negli sconvolgimenti politici, sociali e culturali della rivoluzione francese Hegel ritroverà il semplice sviluppo degli ideali di libertà che si erano affermati, a livello potenziale nella coscienza umana, proprio grazie alla riforma protestante. Debbono, quindi, essere abbandonate le letture ideologiche che, da Dilthey ad Asveld, hanno preteso di rinvenire il fondamento della formazione di Hegel nella cultura tradizionale protestante della sua nativa Svevia.

Negli scritti di questi anni, come ha osservato Janicaud, “troviamo una non smentibile testimonianza dell’impronta, sullo spirito del giovane Hegel, dell’illuminismo, con i suoi noti elementi – razionalismo, lotta alla superstizione, umanesimo –, ma senza l’orientamento anticristiano della maggior parte dei ‘filosofi’ francesi del suo tempo. Il modello fondamentale in quest’epoca è Lessing e il suo Nathan il saggio”. [2] Si consideri, inoltre, che fra le classi dirigenti del Württemberg era piuttosto diffusa la considerazione della religione in funzione della morale pubblica; ciò vale anche per Hegel, come si può vedere da alcune pagine del suo diario giovanile. Ciò appare in modo esemplare dalla dissertazione scolastica relativa al sacrificio da parte di Socrate di un gallo ad Esculapio. [3] Come è stato osservato a proposito di questo diario giovanile: “in queste pagine, così come manca ogni dimostrazione di fervore religioso o di ossequio al culto della religione, manca altresì l’espressione di un’alta concezione della vita religiosa in nome della quale si fondi la critica e l’opposizione del giovane studente”. [4] Del resto, lo stesso catechista e direttore spirituale di Hegel, tale Griesinger, è definito dal primo biografo di Hegel, J.K.F. Rosenkranz, un “teologo razionalista”. [5]

La formazione di Hegel è, al contrario, di stampo decisamente umanista, un umanesimo certo passato al vaglio dell’illuminismo. Trattasi di una visione del mondo più o meno condivisa tanto dagli insegnanti di Hegel – che avevano finito con l’appropriarsi di diversi princìpi pedagogici dell’illuminismo, quanto dai ceti dirigenti del Württemberg, arrivando a influenzare lo stesso clero luterano. Come traspare persino dal sermone che Hegel ascolta presso la comunità cattolica, da lui lodata in quanto improntata all’esigenza di superare gli steccati “positivi” che separano le diverse confessioni religiose cristiane. [6]

Del resto negli anni in cui Hegel si formava presso il ginnasio di Stoccarda (1777–1788) l’illuminismo conservava ancora il fascino della novità culturale radicale, sebbene negli ultimi anni tendeva a divenire l’ideologia dominante fra gli intellettuali. Il gruppo dirigente, che presiedeva alla formazione d’insegnanti e studenti, dopo un iniziale rifiuto, lo aveva fatto proprio, naturalmente privandolo degli aspetti maggiormente radicali sul piano politico e religioso, e lo stesso duca se ne era servito per un programma di riforme finalizzato alla modernizzazione e al rafforzamento della compagine statale, nel segno dell’assolutismo illuminato. Peraltro la stessa famiglia di Hegel, borghese e parte integrante della classe dirigente del ducato – il padre era stato segretario ducale e capo della cancelleria – considerava l’illuminismo una visione del mondo progressista, che ne aveva favorito la scalata sociale e che costituiva un freno all’arbitrio del duca e ai tradizionali privilegi feudali. Come ricorda Franz Rosenzweig, in quell’epoca, il ducato godeva “per la prima volta di alcuni benefici dell’assolutismo illuminato […] Il sovrano non era padrone assoluto del suo Stato”. [7]

D’altra parte si trattava di un illuminismo riadattato al più arretrato contesto tedesco e, dunque, scevro degli aspetti più sovversivi, materialistici e atei presenti in Francia, strutturalmente connesso a una concezione politica fondata sul dispotismo illuminato, distante, dunque, dai motivi democratici presenti in Jean-Jaques Rousseau e riconnesso, senza soluzione di continuità, allo sviluppo della riforma. Si consideri che già nelle pagine del Diario [8] il giovane Hegel, per quanto sensibile alle tematiche della critica al dispotismo e alla necessità del consenso popolare, condanna senza mezzi termini le espressioni – certo ancora immature – dell’autonomia politica dei ceti sociali subalterni.

Tale concezione elitaria dell’illuminismo concentrava i suoi sforzi in una battaglia culturale volta essenzialmente alla formazione delle classi dirigenti, escludendo in tal modo le classi popolari, l’educazione delle quali restava confinata alla religione e controllata dal clero. Si tratta di elementi da tenere ben a mente quando passeremo a occuparci dei manoscritti del periodo di Tubinga, ideologicamente reinterpretati in chiave prettamente teologica dalla scuola irrazionalistica di Dilthey. Come vedremo in maniera analitica in seguito, questa ambiguità ha generato un vasto dibattito ermeneutico – spesso condotto da punti di vista opposti e ugualmente unilaterali – volti a interpretare l’intero percorso della formazione hegeliana alla luce di problematiche teologiche o, al contrario, intenti a espungerle da questi scritti come elementi estranei e del tutto secondari. Sulla base della sostanziale adesione del giovane Hegel a questa concezione dell’illuminismo è possibile scorgere in nuce negli scritti di Stoccarda tracce del problematico confronto politico con la religione, tematizzato negli scritti degli anni seguenti. La riflessione sulla religione è decisamente presente in tali scritti, ma viene considerata, il più delle volte, in maniera strumentale all’esigenza di una pedagogia popolare rivoluzionaria, che implica la purificazione in senso morale della fede da ogni elemento esteriore, tanto “positivo” quanto dogmatico.

Hegel aderiva, dunque, a quelli che potremo definire i princìpi fondamentali della cultura progressista del tempo, che gli erano trasmessi tanto dalla famiglia, quanto dai suoi insegnanti. Da ciò deriva il giudizio ingeneroso di diversi antagonisti del suo pensiero razionale, a partire dai romantici e dal liberale Haym, che hanno dipinto il giovane Hegel come un “filisteo”, a causa della sua adesione, apparentemente priva di dubbi, allo spirito progressista dell’epoca e della diligenza con la quale si era appropriato di questa tradizione culturale, sempre più bandita da reazionari e conservatori.

Si aggiunga, inoltre, la mancanza di quei tratti geniali presenti in altri futuri filosofi a lui contemporanei come Schelling e la profonda distanza del giovane dalle tendenze sturmerianedell’epoca e si comprenderà l’immagine che si fecero di Hegel i suoi avversari e critici, che gli imputarono di non aver preso le distanze dalla cultura illuminista. D’altra parte tali critiche oltre a perdere di vista la determinazione storico-sociale e culturale dell’ambiente in cui Hegel era cresciuto, sembrano fondate su di una rappresentazione sostanzialmente distorta dell’illuminismo tedesco, immediatamente identificato con i suoi più tardi e pedanti fautori, che sarebbero stati incapaci di comprendere le novità della cultura romantica. Al contrario, come abbiamo cercato di mostrare, la cultura umanistico-illuminista si presentava al giovane Hegel con il fascino di una novità culturale ancora in piena elaborazione.

Del resto, al di là della percezione che ne aveva il giovane Hegel, è un dato di fatto storico difficilmente confutabile che l’affermazione dei lumi in Germania corrisponda a una fase di profondo svecchiamento e deprovincializzazione della cultura dei singoli staterelli e del Reich tedesco nel suo complesso. Come scrive Lacorte, caratterizzando questi anni, “si fanno man mano più stretti i rapporti fra il Wüttemberg e il resto della Germania, altrettanto intenso e attivo si fa lo scambio e soprattutto l’apporto della cultura europea, in prima linea francese e inglese, al patrimonio culturale tedesco. Basterebbe da solo a dimostrare ciò l’ingente numero delle traduzioni che vennero alla luce in Germania soprattutto a partire dalla metà del secolo”.

In questa fase della formazione hegeliana non v’è traccia del dramma individual-esistenziale, che avrebbe caratterizzato l’adolescenza di diversi giovani dell’epoca, almeno nell’immagine che ce ne restituiscono le opere del protoromanticismo. Di cui fornisce prova inconfutabile il giovanile diario, che non reca tracce di drammi adolescenziali o delle riflessioni più generali sulla finitezza o caducità della vita umana che a essi generalmente si legano. Come osserva Lacorte: “La secchezza delle osservazioni psicologiche, raramente riferentesi alla sua stessa persona, l’abbondanza delle note relative alla sua quotidiana vita di scolaro, l’assenza assoluta di riferimenti all’intimità dei suoi sentimenti religiosi, o a perplessità morali e, soprattutto, l’interesse spiccatamente culturale – sorretto perciò da uno spirito tendenzialmente obbiettivo e distaccato, desideroso di apprendere e perciò prudente nel giudicare – per i molteplici soggetti che la scuola innanzi tutto, ma anche la vita quotidiana proponeva alla sua attenzione, tutto ciò costituisce sin da ora un atteggiamento che fa presentire piuttosto il futuro avversario delle ‘anime belle’” [10] romantiche.

Note:

[1] G.W.F. Hegel, Il dominio della politica (1794-1831), tr. it. e cura di N. Merker, Editori Riuniti, Roma 1980, p. 105.

[2] D. Janicaud, Hegel et le destin de la Grèce, Paris, Vrin 1975, p. 30.

[3] Cfr. Hegel, Scritti giovanili I, tr. it. di E. Mirri, Guida, Napoli 1993, p. 32.

[4] C. Lacorte, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, p. 83.

[5] K. Rosenkranz, La vita di Hegel [1844], Firenze 1964, p. 28.

[6] Cfr. Hegel, Scritti giovanili… cit., pp. 44-45.

[7] F. Rosenzweig, Hegel e lo stato [1920], tr.it., Il Mulino, Bologna 1976, p. 24.

[8] Cfr. Hegel, Scritti giovanili… cit., p. 31.

[9] C. Lacorte, Il primo Hegel, cit., p. 119.

[10] Ivi, pp. 70–71.

30/10/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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