La crescente crisi dei vincitori della guerra fredda

La globalizzazione non ha affatto risolto, ma ha aggravato la questione sociale, con l’aumento della disoccupazione, l’incremento delle aree di povertà non solo nei paesi arretrati, ma anche in quelli maggiormente sviluppati, crescente individualismo e disgregazione sociale, che hanno portato a l’invecchiamento della popolazione, favorendo la diffusione delle droghe e, più in generale, del disagio sociale.


La crescente crisi dei vincitori della guerra fredda

Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su argomenti analoghi

La ripresa delle guerre calde post guerra fredda

L’Iraq, uno dei principali paesi del Medio Oriente, con una rivoluzione anticolonialista panaraba del partito Baath si era liberato della monarchia impiantata dagli ex colonialisti inglesi per mantenere indirettamente il controllo del paese. L’Iraq era stato fino al 1979, anno della rivoluzione in Iran, il principale alleato sovietico nell’area. Visto il sostegno sovietico alla rivoluzione antimperialista iraniana, Saddam Hussein, presidente del paese, si avvicina agli Usa, che lo spingono negli anni ottanta alla guerra contro l’Iran, guerra finanziata dalle petromonarchie, le quali temevano che l’ondata rivoluzionaria iraniana le potesse travolgere. Inizia una terribile decennale guerra che sfianca entrambi gli avversari, con il solo vantaggio di favorire all’interno un accentramento dei poteri e la cancellazione degli spazi per le opposizioni, all’esterno il comune nemico israeliano che, come gli Usa, aveva fatto di tutto per fomentare la durata del conflitto. Il Kuwait, fra i principali finanziatori della guerra irakena, pretende nel 1990 improvvisamente la restituzione dei propri prestiti a uno stremato Iraq, che risponde militarmente in quanto considera il principato una creazione degli ex colonizzatori inglesi per indebolire l’Iraq, al momento dell’indipendenza, mantenendo sotto il proprio controllo i ricchissimi pozzi di petrolio kuwaitiani. Gli Usa dopo aver lasciato intendere all’Iraq che sarebbero rimasti neutrali, nel momento che l’Iraq conquista il Kuwait, organizzano una grande coalizione internazionale, finanziata dalle petromonarchie arabe e dal Giappone, cui è consentito per la prima volta uno strappo alla costituzione pacifista imposta dagli Usa dopo il 1945. La grande coalizione, grazie soprattutto a un ampio uso dei bombardamenti, ha rapidamente avuto ragione dell’esercito iracheno.

La dissoluzione degli stati multietnici dell’est Europa

Dopo la disgregazione del blocco socialista sono emersi conflitti etnici, volti spesso a separare regioni ricche di un paese a danno di regioni povere, conflitti sui quali spesso hanno soffiato potenze imperialiste interessare a indebolire il paese vicino o rivale e annettersi economicamente le regioni più ricche. Tale processo ha interessato anche il nostro paese, anche se non è per il momento riuscito a disgregarlo, ha portato alla separazione della Cecoslovacchia, in Repubblica Ceca e Slovacca, in modo pacifico, ha prodotto terribili guerre quando si è passati allo smembramento della Federazione socialista di Jugoslavia nel 1992. Le più ricche Slovenia e Croazia, interessate a entrare nell’area del marco e a distaccarsi da una Jugoslavia ancora governata dal partito socialista, contrario a una piena resa alle forze della restaurazione del capitalismo internazionale, proclamano l’indipendenza, che è immediatamente riconosciuta e sostenuta dalla Germania e dal Vaticano, interessato al distacco di questi due paesi cattolici dalla Serbia ortodossa. Con il sostegno sempre più deciso del mondo imperialista, la Croazia non solo ottiene l’indipendenza, ma sotto la guida degli eredi degli Ustascia, movimento clerical-fascista collaborazionista della Germania nazista, operano una vera e propria pulizia etnica costringendo alla fuga la popolazione di origine serba in particolare nelle zone di confine.

La guerra in Bosnia

La guerra si sposta presto, con esiti ben più disastrosi, nella vicina Bosnia-Erzegovina che, su impulso della maggioranza musulmana, con il sostegno di Arabia Saudita e Iran, ma anche degli Usa, proclama l’indipendenza, contro cui reagiscono le forti minoranze cristiane serbe e croate chiedendo l’annessione alla Croazia e a quanto resta della Federazione di Jugoslavia. Dopo una spaventosa guerra civile, si arriva a una pace, più o meno imposta dalle forze della Nato, anche a suon di bombe, che sancisce non solo la pulizia etnica operata dai croati, ma l’indipendenza della Bosnia-Erzegovina con una larga autonomia per le minoranze croate e serbe.

L’aggressione della Nato alla Federazione di Jugoslavia

Non sazie le forze della Nato, per cancellare ogni traccia della Federazione socialista di Jugoslavia sostengono non solo la separazione del piccolo Montenegro (2006), che per sopravvivere è divenuto uno dei principali centri di traffici illeciti, ma anche del Kosovo (2008), regione a sud della Serbia, abitata da una forte minoranza albanese. Quest’ultima con il sostegno occidentale aveva organizzato una milizia armata, l’Uck, che cercava con la violenza di prendere il controllo del territorio. Quando interviene l’esercito serbo si apre una nuova guerra civile, con la Nato che interviene a favore dell’Uck, con violentissimi bombardamenti che distruggono e costringono alla resa la Serbia. Gli indipendentisti albanesi hanno creato anche profondi conflitti nella Macedonia del Nord, controverso nome di un’altra Repubblica nata dalla dissoluzione della Jugoslavia, che ha creato forti attriti con la Grecia.

Il mondo alle soglie del terzo millennio

Con la caduta dell’Urss e l’apertura della Repubblica Popolare cinese a un’economia mondiale, il mercato è divenuto potenzialmente globale, anche se la crisi di sovrapproduzione ha ridotto gli scambi internazionali, favorendo il protezionismo. Alla consueta migrazione della mano d’opera e alla circolazione di merci sempre più standard, visto l’affermarsi di poche grandi multinazionali, si aggiunge una crescente esportazione di capitali e delle stesse attività produttive, propria della fase di sviluppo imperialista del capitale. Ciò ha prodotto una crescente deindustrializzazione delle nazioni a capitalismo avanzato, con l’esportazione di capitali e attività produttive in aree con manodopera a più bassi prezzi (est europeo, Asia, America latina), dove non si pagano tasse, magari in zone più vicine alle materie prime e a mercati meno saturi. Tale processo, che ha aumentato la disoccupazione, è stato solo in parte compensato dallo sviluppo del terziario, cioè da un’economia incentrata sui servizi, che ha accresciuto il deficit della bilancia commerciale e di conseguenza il debito pubblico e indebolito le forze della sinistra perché nei servizi è più difficile organizzare la forza lavoro, sindacalizzarla per mancanza di tradizioni storiche e per la presenza di lavoratori con contratti differenziati e precari.

Le speculazioni finanziarie

Inoltre, viste le difficoltà negli investimenti produttivi a causa della sovrapproduzione, cresce il capitale speculativo, gestito da fondi d’investimento o da grandi banche, che non solo acquistano azioni industriali, divenendo capitale finanziario, ma debito pubblico, condizionando la politica degli Stati, o scommettono sull’andamento di qualsiasi cosa mediante i futures. I loro gestori finiscono per avere un potere enorme, in grado come il noto speculatore Soros di mettere in ginocchio anche un grande paese o comunque di tenerlo sotto ricatto, anche grazie alla mobilità telematica del capitale che consente di spostare enormi somme in un attimo da una parte all’altra del pianeta. Tutto ciò rende estremamente instabile la situazione economica e, dunque, politica internazionale. Per esempio lo spostamento dei grandi investitori dai titoli del tesoro italiano, facendo variare lo spread con la Germania, condiziona l’economia, la società e la politica italiana. Questa situazione favorisce le tendenze transnazionali del capitale, che non solo non è legato alle singole nazioni, ma le condiziona pesantemente.

Disoccupazione e precarizzazione

La tendenza del capitalismo avanzato all’esportazione di capitali, l’aumento della composizione organica del capitale – per cui aumenta la meccanizzazione della produzione in particolari in anni di crisi – e la crisi stessa di sovrapproduzione accrescono paurosamente la disoccupazione o la precarizzazione del lavoro, indebolendo le forze sindacali.

Il toyotismo

Inoltre la informatizzazione ha consentito lo spezzettamento delle grandi unità produttive in un’impresa centrale ridotta all’osso e in una miriade di subfornitori, formalmente indipendenti, ma in realtà del tutto vincolati agli ordinativi della centrale. Ciò consente una separazione accentuata dei lavoratori, che non favorisce la loro organizzazione in sindacati. Tutto ciò produce una frammentazione e disgregazione sociale del mondo del lavoro, che spesso non ha più nella grande fabbrica o nel grande ufficio il luogo di coesione, di solidarietà. In tal modo diminuisce il potere contrattuale, ma anche la possibilità di sviluppare un modo di pensare autonomo da quello imposto dai grandi mezzi di comunicazione di massa, sotto il controllo del grande capitale monopolistico.

La “rivoluzione” informatica

D’altra parte la cosiddetta rivoluzione informatica ha reso quantità immense di informazioni istantaneamente disponibili a chiunque in ogni punto del pianeta grazie al collegamento via internet. Al contempo la tv via satellite rende accessibili un gran numero di programmi a spettatori in ogni parte del globo, anche grazie alla diffusione della lingua inglese come mezzo di comunicazione internazionale. Ciò non comporta immediatamente un incremento del livello culturale diffuso, se cultura significa anche capacità critica di interpretare e selezionare le informazioni e conquista di un proprio punto di vista autonomo. Senza questa capacità, l’incremento di informazioni può portare alla passività, al conformismo, all’accettazione acritica dei modelli dominanti di vita.

Le contraddizioni della “globalizzazione” del capitalismo

La mobilità mondiale di merci, capitali, informazione tende a rendere il pianeta omogeneo e strettamente interconnesso, tanto che si parla di globalizzazione dell’economia. Il che non significa affatto il venir meno delle differenze fra classi sociali e fra paesi ricchi e poveri, perché anzi in tale processo la povertà di molti è funzionale alla ricchezza dei relativamente pochi. D’altra parte l’ideologia diffusasi, dopo il crollo del blocco sovietico, che afferma la fine delle ideologie, la fine della storia, in quanto ormai ci sarebbe stato da attendersi unicamente uno sviluppo quantitativo del modo di produzione capitalistico e non più cambiamenti qualitativi, né grandi crisi, rivoluzioni o guerre, pare ormai entrata in una crisi irreversibile, perché questo modo di produzione è sempre più in crisi, questa crisi favorisce sempre più le guerre, la stessa prospettiva di un rilancio di questo modo di produzione rischia di entrare sempre più in contraddizione con la sua sostenibilità ambientale, producendo terribili minacce come la scarsità delle risorse energetiche, dell’acqua, l’effetto serra con il conseguente surriscaldamento del pianeta, lo scioglimento dei poli e l’innalzamento del livello del mare, oltre che l’espansione delle aree desertiche, l’assottigliamento della fascia dell’ozono che favorisce il surriscaldamento e l’aumento di radiazioni nocive, fino al problema dei rifiuti tossici sempre più difficili da smaltire. È venuto meno il ricambio organico fra uomo e natura e l’allevamento intensivo ha favorito la diffusione di virus da animali a uomini, provocando una pandemia, a partire dal 2020, che ha portato alla recessione l’economia mondiale e favorito il sorpasso economico della Cina sugli Stati Uniti sempre più in crisi, come tutti i paesi a capitalismo avanzato, anche perché le politiche neoliberiste hanno fatto da volano alla diffusione della pandemia.

La crisi sociale diviene crisi culturale

Inoltre la globalizzazione non ha affatto risolto, ma ha aggravato la questione sociale, con l’aumento della disoccupazione, l’incremento delle aree di povertà non solo nei paesi arretrati, ma anche in quelli maggiormente sviluppati, crescente individualismo e disgregazione sociale, che hanno portato a un invecchiamento della popolazione, favorendo la diffusione delle droghe e in generale del disagio sociale. Tutto ciò prepara le condizioni oggettive per il risorgere di un movimento di emancipazione, in grado di riaprire l’orizzonte storico verso forme di organizzazioni sociali più giuste e razionali.

25/03/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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